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era obbligato « eatenus periculum sustinere, quoad

tradatur vinum ».

Orbene, connessa così la soluzione del quesito col fatto della tradizione, il nostro giurista passava a considerare se mai all' atto effettivo della tradizione qualche altro non potesse sostituirsi, che di quello avesse la medesima efficacia e le medesime conseguenze giuridiche. Il paragrafo secondo del fr. in esame, che molti degli scrittori, che si sono occupati di questo tema, hanno ritenuto e dichiarato, senza poi dare di quanto affermavano esaurienti spiegazioni, dover andare originariamente collegato col principio del fr., viene per tal logico processo a trovare subito dopo la proposizione « eatenus sustinere debet, quoad tradatur vinum » la sua sede naturale e giuridicamente giustificata.

Ulpiano diceva: il venditore, se null' altro è fissato, deve sopportare l' assunto pericolo sino alla tradizione. Poi passava a considerare il caso che i vasi vinari fossero stati contrassegnati. La segnatura equivaleva alla tradizione? Se sì, l' assunto pericolo avrebbe da parte del venditore dovuto cessare appena avvenuto il contrassegno. Senonchè le opinioni erano al proposito discordi: « si dolium signatum sit ab emptore, Trebatius ait id traditum videri: Labeo contra, quod et verum est: magis enim ne summutetur, signari solere, quam ut traditum videatur ». Ma l'opinione accolta nel testo è quella di Labeone (quod et verum est), che nella fattispecie nega l'equivalenza fra « signatio» e« traditio ». Messosi ora in tal ordine di idee, è verosimile che il giurista chiudesse la prima parte della legge di

chiarando, appunto in conformità alla riferita ed accettata opinione di Labeone: « si nondum sunt tradita, signata tamen ab emptore casa vel dolia, consequenter dicemus adhuc periculum esse venditoris ». Così ricostruita, la prima parte del frammento ulpianeo procede logica ed uniforme. È stato venduto del vino « certae quantitatis et certae qualitatis. » La vendita è senz' altro perfetta e passa tosto al venditore omne periculum ». Ma quid se il venditore abbia egli assunto il « periculum »? Deve prestarlo: sino al termine fissato, se il termine è stato posto; sino alla tradizione, se nulla fu aggiunto. Pongasi ora: i vasi vinari contenenti la merce venduta sono stati (si tratta evidentemente di una usanza comune anche a quei tempi) (61) contrassegnati dal venditore. Agli effetti del passaggio del « periculum » equivarrà la « signatio » alla « traditio » ? Trebazio ritiene che il dolio segnato valga per trádito: Labeone, invece, che la segnatura sia rivolta soltanto ad impedire una sostituzione d' oggetti. E poichè l'opinione di Labeone è la giusta, deve ritenersi, nel caso nostro, che se anche i vasi vinari siano stati contrassegnati, il pericolo, sino alla tradizione, continui ugualmente a incombere al venditore.

I compilatori, come si è già cercato di dimostrare, hanno concretata (o forse, avendo frainteso la trattazione di Ulpiano, hanno creduto di correggere) la disputa intorno al « periculum acoris et mucoris »; e quando un termine non sia posto ad

(61) Cfr. ARNO, art. cit., pag. 24 n. 1.

esso pericolo assunto dal venditore, hanno fissato come momento decisivo per il passaggio quello della << degustatio».

Del testo antico molta parte quindi hanno dovuto modificare; notevolissimo il taglio fatto del periodo, che ora costituisce il § 2 della legge, e la sostituzione di esso con alcune proposizioni mal dettate e mal connesse. Parte hanno cercato anche di adattare; ma vi sono malamente riusciti; rilevo ancora il « quoad degustetur vinum », laddove doveva leggersi quoad tradatur vinum », e l'ultimo periodo: « sed si nondum sunt degustata ecc. », dove è evidente lo sforzo di far esprimere un dato concetto a parole originariamente impiegate in un ordine logico profondamente diverso.

b) Il secondo caso che il fr. 1. D. 18. 6 prende in considerazione, è quello di una vendita di vino fatta a misura. Tale vendita, applicando i principî generali, non può riguardarsi perfetta se non quando la misura sia effettuata,« mensura vero non eo proficit, ut aut plus aut minus veneat, sed ut appareat, quantum ematur. » (62) E perchè la vendita sia perfetta occorre appunto che « quod venierit appareat quid, quale, quantum sit. » (63)

Ma prima della perfezione della vendita è nota regola che non passi al compratore alcun pericolo. Sino al giorno, quindi, della misura del vino, dovrà ogni rischio stare a carico del venditore.

Tale principio trova un'esplicita conferma anche

(62) Fr. 34. 5. D. 18. 1.
(63) Fr. 8 pr. D. 18. 6.

nel fr. 35. 7. D. 18. 1 Gaius libro decimo ad edictum provinciale: « Sed et si ex doleario pars vini venierit, veluti metretae centum, verissimum est (quod et constare videtur) antequam admetiatur, omne periculum ad venditorem pertinere: nec interest, unum pretium omnium centum metretarum in semel (64) dictum sit an in singulos eos ».

Risponde a questo principio il § 1 del fr. in esame? Vi si dice: ma il venditore deve prestare, « ad diem mensurae », anche la custodia: imperocchè, prima che il vino sia misurato, la vendita si può considerare come non perfetta. Compiuta la misura, il pericolo cessa di essere del venditore; ma anche prima della misura il venditore è sollevato dal rischio, se egli non ha venduto a misura, ma anfore e dolii determinati.

Il frammento presenta tutti gli elementi necessari per poter affermare che esso non discorda dal principio sovra riferito il riconoscimento che la vendita prima della misura è imperfetta, ragione che esclude la possibilità del passaggio del pericolo al compratore; la dichiarazione: « post mensuram venditoris desinit esse periculum », che lascia indurre che « ante mensuram » incombe precisamente a lui; e la ripresa condizionale: « et ante mensuram periculo liberatur (sc. venditor) si... », da cui risalta il

(64) GRUPE, Zur die Gaianischen Digestenfragmenten nella Zeit. der Sav. Stift. für Rechtsg. vol. XVII pag. 311 e seg., dà come aggiunta dai compilatori l'espressione « in semel » e cita a sostegno dell'ipotesi la legge 3. 2. C. 6. 40. e la legge 13. C. 8. 10. Cfr. anche KALB, Jagd nach Interpolationen pag. 8. Sovra l' interpretazione di questo fr. vedi da ultimo, in modo in parte diverso da me. FADDA, Teoria Generale delle obbligazioni (Lezioni di Diritto Romano, anno 1901-1902) pag. 223.

concetto che, se non intervengono speciali condizioni, prima della misura il pericolo grava sul venditore. Senonchè l'unica frase che dovrebbe in modo diretto fissare il principio, che ha una continua conferma in tutte le proposizioni successive del paragrafo e che anche per la posizione stessa apparirebbe come la più adatta ad esprimere quel concetto, contiene invece la menzione di un elemento affatto diverso: la custodia: « sed et custodiam ad diem mensurae venditor praestare debet ».

Ma chi legge sa già quale sia il valore classico della frase praestare custodiam ». Essa indica il complesso degli atti diretti a preservare la cosa dalla perdita o dal deterioramento, e non si riferisce mai ad una responsabilità che ecceda la colpa lieve. Può dunque darsi che il giurista, preso in esame un caso di vendita a misura e per concludere che « post mensuram factam venditoris desinit esse periculum », si sia, per ciò che riguarda il tempo che precede la misurazione, richiamato ad una tale responsabilità? E quale rapporto ha essa con il « periculum », quando non può mai comprendere del « periculum » neppure una parte?

Nè è possibile intendere qui la custodia nel senso in cui, secondo me, è presa nella 1. 3. 1. D. 18. 6. In questa si pone come confine a tale responsabilità la « vis magna » e il « damnum fatale » (custodiam ante admetiendi diem...... venditorem exhibere debere, ut fatale damnum vel vis magna sit excusatum); il che lascia logicamente dedurre che, anche prima della misurazione, il caso fortuito tipico, il periculum « » per eccellenza (secondo il

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