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b) per la locazione di mobili occorre esaminare il fr. 5, 15. D. 13, 6.

Ulpianus libro vicensimo octavo od edictum. «........ verum in vehiculo commodato vel locato pro parte quidem effectum usum habere, quia non omnia loca vehiculi teneam: sed esse verius ait et dolum et culpam et diligentiam et custodiam in totum me praestare debere: quare duo quodammodo rei habebuntur et, si alter conventus praestiterit, liberabit alterum et ambobus competit actio furti ».

Il fr. nel suo complesso considera la questione della responsabilità nel caso di più locatari e commodatari del oggetto. Intorno a tale questione, sembra, che i giuristi classici non fossero d'accordo. Alcuni sostenevano che si dovessero i locatari o commodatari ritenere responsabili solo pro parte; altri invece che ciascuno fosse responsabile per il solido in guisa, che contestata con uno di essi la lite, non fosse più possibile rivolgersi verso gli altri. Ulpiano avrebbe seguito questi ultimi. Ma il fr. è stato specie nell' ultima parte gravemente interpolato per metterlo all' unisono colle innovazioni giustinianee in materia di consumazione processuale dell'azione.

Eisele 1), Ascoli 2), Ferrini), sono concordi nel riconoscervi la mano dei compilatori, e nel dichiarare indubbiamente interpolata l' ultima proposizione del fr. Eisele 1) aggiunge che un'alterazione deve pure essere avvenuta subito prima di: sed esse verius... Ne consegue che l'unica proposizione che riguarda il nostro studio: « sed esse verius ait et dolum et culpam et diligentiam et custodiam

1) EISELE, Arch. für Civ. Prax., Vol. 77, pag. 435.

2) ASCOLI, Obbligazioni solidali, pag. 33.

3) FERRINI, op. cit. nell' Arch. Giur., Vol. 53, pag. 300 e segg. 4) EISELE, Arch. für Civ. Prax., Vol. 77, pag. 436.

in totum me praestare debere » verrebbe a trovarsi fra due parti modificate dai giuristi giustinianei. Ciò che darebbe già forte ragione a dichiararla sospetta 1). Ma io non voglio far ciò. Mi limito ad osservare che il valore di quell' inciso dipende tutto dalla portata che nel classico diritto aveva l'espressione custodia. Sino ad ora si è potuto escludere che essa indichi una responsabilità che va al di là della colpa. Occorre però che il lettore mi segua sino al termine di questo studio; perchè solo quando quell'asserzione avrò potuto ripeterla, dimostrandola, per tutti i testi che hanno sollevato qualche dubbio, mi sarà lecito conchiudere, con sicurezza, anche in riguardo al fr. esaminato. Ugualmente per il diritto giustinianeo: il valore di quell' inciso non può non dipendere dal significato che presenta in quest'epoca il termine custodia come fondamento di responsabiiltà.

Io propendo a credere qui come altrove che un mutamento sia realmente avvenuto e che essere tenuti per custodia voglia dire, secondo Giustiniano, essere tenuti per qualche cosa di più e di diverso dalla colpa. La frase finale del fr. et ambobus competit furti actio, che scritta. dai compilatori ha ben diverso fondamento che non scritta dai classici giuristi, messa in correlazione con tutto il discorso sarebbe un ulteriore conferma di quanto sono andato dicendo 2).

Anche le istituzioni dedicano un paragrafo alla responsabilità del conduttore di oggetti mobili (III, 24, 5). « Qui

1) Si aggiunga, per la forma, il ritmo compilatorio < sed esse verius ecc. ».

2) BARON, art. cit. nell' Arch. für. Civ. Prax., vol. 78. pag. 258, in riguardo al fr. considerato nel testo, si limita a ribattere: « La mia opinione si è che per tutti i mobili il conduttore abbia da prestare la custodia tecnica. Ciò è chiaramente espresso nella 1. 5, 15. D. 13, 6 ».

pro usu vestimentorum aut argenti aut iumenti mercedem aut dedit aut promisit ab eo custodia talis desideratur, qualem diligentissimus paterfamilias suis rebus adhibet quam si praestiterit et aliquo casu rem amiserit, de restituenda ea non tenebitur 1)

Baron 2) ha criticato, come in parte almeno inesatta, la dizione di questo testo: per confine della custodia secondo lui dovevasi addurre il casus maior non il casus in genere che è confine soltanto alla colpa. E qui si trattava veramente della responsabilità per custodia tecnica: tanto è vero che poco prima è ricordato come termine di misura il diligentissimus paterfamilias.

Ferrini) invece che rappresenta l'opposta tendenza non vede neppure in questa frase niente che conduca necessariamente a pensare ad una responsabilità che ecceda la colpa. Egli scrive: « Nei due passi fr. 25, 7. D. 19, 2 e § 5. Ist. 3, 24 si tratta di indicare i confini tra la colpa ed il caso il giurista vuol chiaramente dimostrare che quest' ultimo comincia dove non v'è alcuna negligenza da rimproverare al conduttore. E si tratta anche di un genere di negozi, in cui il buon padre di famiglia suole effettivamente adibire molta cura » 4).

In verità pare a me che il § in questione si presti

1) Cfr. FERRINI, Fonti delle Istituzioni in cui il nostro § è attribuito a GAIO res cottidianae.

2) BARON, op. cit. nell' Arch. für. Civ. Prax., Vol. 78, pag. 258 e segg.

3) FERRINI, art. cit. sull' Arch. Giur., Vol. 53, pag. 264.

4) Del resto lo stesso FERRINI vede nel diligentissimus paterfamilias una espressione particolare a GAIO.... Il superlativo non avrebbe altro ufficio che di contraddistinguere con maggiore energia la diligentia del buon paterfamilias dalla diligentia quam suis.... in ogni caso la citata espressione non implica un incremento di responsabilità oltre gli ordinari confini della colpa.

male tanto alle deduzioni di Baron come a quelle di Ferrini. Forse il passo è tolto dalla res cotidianae di Gaio come Ferrini appunto vuol credere. Ma i compilatori trasportandolo nelle istituzioni giustinianee vi hanno almeno recato (cosa del resto ad essi solita) qualche cambiamento di forma. Niente ad ogni modo ci autorizza a convenire col Ferrini che la formola diligentissimus paterfamilias sia una particolarità solita a Gaio. Nell'altro fr. 25, 7. D. 19, 2, riferito dall' autore, e da noi poco sopra esaminato, si è visto come la medesima forma appaia secondo ogni probabilità introdotta dai compilatori. Inoltre, e l'argomento mi pare assai importante, se quell' espressione è realmente particolare e solita a Gaio, come mai di essa non si trova traccia nell'unico libro del medesimo giurista, la cui genuinità non puo essere messa in dubbio, nelle sue istituzioni? Molto probabilmente se il passo è stato tolto, e nulla si oppone a crederlo, dalla res cottidianae la genuina dizione suonava « .... ab eo custodia talis desideratur, qualem diligens paterfamilias suis rebus adhibet.... ».

Cosi anche l'altra frase et aliquo casu rem amiserit trovava la sua giusta e coerente ragione di essere. I redattori delle istituzioni mutarono in diligentissimus l'originario diligens. Ma il mutamento voleva per essi significare qualche cosa di più della solita variazione grammaticale diretta a distinguere con maggior energia un concetto 1). Data la tendenza generale giustinianea, che scopo appunto di questo lavoro è il rilevare, e che in molti altri fr. appare certo assai più chiaramente che non nell'ora discusso

1) Sul valore grammaticale del superlativo cfr. PERNICE, Labeo, Vol. II, pag. 235 e VINDSCHEID, Lehrb. der Pand., Vol. II, § 269, n. 9 cui risponde assennatamente BARON, art. cit. nell' Arch. für. Civ. Prax., Vol. 78, pag. 236.

paragrafo delle istituzioni, non è irragionevole il dubbio che il diligentissimus pf. non abbia qui un diverso valore di quello che si è creduto di potere ad esso attribuire nel fr. 25, 7. D. 19, 2. Si aggiunga che l'impaccio che alla teoria di Baron dà la proposizione « et si aliquo casu rem amiserit de restituen da non tenetur » non si ripete per me. Se è vero che nel diritto giustinianeo custodia significa qualche cosa di più e di diverso dalla colpa cioè la responsabilità illimitata per furto e damnum iniuria datum, e se i compilatori hanno voluto dire che tale responsabilità incombe anche al conduttore di una cosa mobile, l'indicare poi, come limite di quella responsabilità il casus non guasta di certo.

Non è possibile infatti, considerando il valore tecnico che la parola ha nelle fonti, qualificare il furto e il damnum iniuria datum come casus.

c) Un testo che si può indifferentemente riferire alla conduzione di mobili come alla conduzione di immobili è il fr. 14, 16. D. 47, 2.

Ulpianus, libro vicensimo nono ad Sabinum. « Qualis ergo furti actio detur ei, cui res commodata est, quaesitum, et puto omnibus quorum periculo res alienae sunt, veluti commodati item locati pignorisve accepti, si hae subreptae sint, omnibus furti actionem competere ; condictio autem ei demum competit, qui dominium habet ».

Il conduttore avrebbe dunque secondo questo fr., l'azione di furto perchè come ad altri, cosi a lui incombe il rischio della cosa affidatagli.

Potrei, richiamandomi alle osservazioni fatte a proposito del § 17 del medesimo fr. e del fr. 12 pr. D. del medesimo titolo, mettere a priori in serio dubbio la genuinità del paragrafo ora riferito; tanto più che la stessa cattiva redazione di esso potrebbe essere una ragione ulteriore per far sospettare che Ulpiano non si fosse ori

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