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nel Carme XCII. i versi 3, 4. così dovrebbero essere notati

Quo signo? Quasi non totidem mox deprecor illi
Assidue? Verum dispeream nisi amo

e così dicasi di altri ancora.

V. 4.

CARME LXXII.

si quid carius est oculis.

In questo luogo l'ill. Doering seguendo la lezione di Achille Stazio si quid invece dell'antica seu quid, ha male interpretato il senso e lo spirito di questo Epigramma. Lo scherzo sta per l'appunto in questo seu quid a parer mio. Poichè dice il Poeta: Quinti, si vis Catullum debere tibi oculos, aut aliud carius oculis, si quid est (si tamen est); noli eripere ei quod est illi reapse multo carius oculis, seu quid est (omnino pro cunctis) carius oculis: h. e. ejus venustam et amatam puellam. Dunque l'Autore dubita dapprima se vi sia cosa più cara degli occhi, poscia soggiunge che v'è per lui cosa molto più cara degli occhi istessi; anzi afferma in fine che dev' essere non per lui solo, ma per tutti più cara degli occhi stessi, la sua amata Fanciulla. Modo veramente elegante, pulito, ed arguto di lusingare il suo Amore.

CARME XCIV.

Io non so se Catullo abbia veramente voluto scherzare sopra Mamurra con questo Epigramma, come avverte l'ill. Doering dietro la comune opinione: per me non trovo modo a persuadermene; giacchè non veggo in che cosa consisterebbe il frizzo, dirò pur anche il senso di questi versi. Penso invece che si nasconda il sale ed il gioco in ciò, che rimproverato forse qualcuno di un tal suo vizio (dicasi a modo d' esempio di furto) ed avendo risposto

sua difesa non lui avere rubato, ma essere la mano e ruba, il Poeta risponde, che certo è la mano che ba; e ciò val quanto il detto di quel tale, ipsa olera la legit. A proposito poi di questo modo proverbiale tino, racconta Achille Stazio che venne fra i Romani da 10 che sorpreso in un Orto in flagranti crimine, mentre ava rubando lattughe e insalata; confuso cercando come osto schermirsi e difendersi, non seppe trovar di meglio he dire, non lui avere colte quell'erbe, ma l'olla istessa ov' erano. Interpretando in questo senso il distico, vi si rova a parer mio più facilmente e senso e sale; intanto he nell'altro modo non saprei così facilmente trovarvi aè l' uno nè l'altro.

(*) CARME XCVII.

V. 3. Nil immundius hoc, nihiloque immundius illud.

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Questo verso venne manipolato e rimpastato in mille modi dai Chiosatori, ed i più strani a parer mio. Ultimamente l'ill. Lachmann crede bene di ritenere la lezione de' Manoscritti di Stazio Nihilo mundius hoc, nobisque immundius illud ed il chiariss. Rosbach l'altra Nihilo mundius hoc, nihiloque immundior ille Ma oltre che questi versi nulla avrebbero della spontaneità e della venustà Catulliana, che pur bisogna attendersi; quali modi latini siano, e che cosa significhino quell' hoc mundius nihilo, e l'ille immundior nihilo, nol so comprendere. Io credo adunque torni miglior consiglio, sia per la spontaneità e la eleganza della frase, sia pel significato, seguire la lezione del Volpi, proposta in questa guisa:

Nil immundius hoc, nihil ore immundius illo; parendomi tanto il concetto, che la scioltezza, e l'armonia del verso, di conio perfettamente Catulliano.

CARME C.

V. 5, 6. Quoi faveam potius? Caeli tibi nam tua nobis
Perspecta exigit hoc unica amicitia.

Lectio vulgata habet exigitur parum opinor latine, dice l'ill. Doering: poscia aggiunge ecquidem jam olim pro exigitur legendum esse suspicabar exigit hoc: quam quidem lectionem, quum sponte illa se commendet facilitate sua, et, ut nunc video, a Mureto jam exhibita sit, non dubitavi in textu recipere. A seconda di questa interpretazione bisogna dunque intendere, tua amicitia (cioè di Celio) erga nos jam nobis perspecta: ma come si accorda poi il verso 7. Quum vesana meas torreret etc.? Io per me non so a meno di preferire la vecchia lezione exigitur, che non mi pare poi così poco latina; e interpretando diversamente quel tua Amicitia, così scriverei questi versi con altro intendimento da quello degl'ill. Doering e Naudet:

Quoi faveam potius? Caeli tibi; nam tua, nobis
Perspecta, exigitur unica amicitia,

Quum vesana meas torreret flamma medullas.

Il senso allora diventa quanto più facile, altrettanto piccante, tale essendo la costruzione di questi versi : Quoi faveam potius? Caeli tibi; nam tua Amicitia, nobis perspecta jam, quum vesana meas torreret flamma medullas, exigitur unica; non è, locchè viene a dire implicitamente, dell' Amicizia di Quinzio amatore di Aufilena. L'Autore usa di questo modo per esprimere tanto fortunato l'Amore di Celio, quanto sventurato quello di Quinzio; e come egli precedette Celio ne' suoi Amori, siccome la chiusa istessa dell' Epigramma viene a maggiormente indicare. Egli è poi dall' insieme di tutte queste espressioni che risulta in fondo una fina ed acerba satira contro cia

scuna delle nominate persone. A biasimo di Aufilena, e della sua mala fede parla il Poeta in particolar modo nei Carmi CX, e CXI.

CARME CX,

V. 1, 2. Auflena bonae semper laudantur Amicae :
Accipiunt pretium, quae facere instituunt.

L'ill. Doering interpreta come segue tutto questo Carme: v. 1, Bonae; fidae, honestae quae stant promissis, v. 2, Quae facere instituunt; i. e. eae quae corporis copiam facturae sunt, v. 3. Junge tu es inimica (haud bona Amica), quod, mentita es id quod mihi promisti, scilicet etc. v. 4. Das intellige promissa Veneris munuscula; sic dare passim in re venerea, v. 5. Ingenuae est, fidem quam dedit praestantis, v. 6. Data conripere h. e. munera eripere corradere; data pro donis passim, v. 7. Efficitur supple ex versu quarto facinus: non infrequens locutio efficere pro facere etc. Ma chieggo io in grazia, una interpretazione siffatta di questo Carme si fa ella chiara; può dirsi esatta? Qual è dunque il senso del primo distico? Di quale maniera si lega per bene con quelli che seguono? All' ill. Naudet non quadra per certo questa maniera d'intendere, ed egli ne soggiunge una sua propria, come più piana, e più naturale dicendo al v. 2, Misera indagatio versatur circa hoc verbum facere, neque orationis indolem deprehendit. Nempe latinitatis ingenium verbo facere jubet adjici praetium, ut quadrent inter se et cohaereant ambo sententiae commata, hoc scilicet sensu; accipiunt praetium quae facere instituunt suis muneribus amatoriis praetium. Praetium facere dicitur de iis qui praetium statuunt rebus, quas aut emere aut vendere volunt. Igitur ea mens esse mihi videtur distichi hujus caeterique Epigrammatis: Poeta duas amicarum classes dividit; hanc bonarum quae satis

habent laudari ob animi liberalitatem; alteram earum quae venales habentur, praetium facere instituunt, et accipiunt. Aufilena autem quia mentita est quod promiserat, non Amica bona est, immo inimica; et quia fert munera, nec dat quidquam, scelesta est, facit facinus. Itaque nec pudica est, quae promiserit, nec bona aut ingenua quae non faciat, non exequatur quod promiserat. Quin etiam avaritiam meretricis supergressa est, quippe quum perfidiam cum turpi lucro conjungat: v. 7, Repetere facinus a versu quarto non opus; frequentissima locutio judicis est, est viri etc. Effcitur idem ac est vicem obtinet, neque verbum plusquam quidquam mutaverit: data conripere est plusquam meretricis avarae. È in questo modo adunque che cerca rendere il senso vero del presente Carme il ch. Naudet. Con pace però del Doering, con pace del Naudet istesso uomini per quanto chiarissimi, dacchè mi venne fatto di leggere anche questa sua interpretazione e spiegazione, meno contento dell' una che dell'altra, non ho potuto a meno di sempre più raffermarmi nella mia già fattami dapprima, e la quale, se non erro, toglie ogni difficoltà, ogni inganno. Mi sia adunque concesso di qui riportarla: prima di tutto, è per così che si dovrà interpungere questo distico primo; poscia che i due versi contengono insieme una sola sentenza:

Aufilena; bonae semper laudantur amicae,

Accipiunt praetium quae, facere instituunt.

Dopo di che soggiungerò non ritrovarmi io pago della interpretazione del Doering perchè male troppo si legherebbe il verso terzo cogli antecedenti; non di quella del Naudet perchè, anche per l'indole di Aufilena già fatta nota, al verbo facere è realmente da apporre qui il senso datogli dal Doering. Se col Naudet si spiegasse per facere praetium io non veggo come potesse di poi esser dato per bene il senso del verso quinto: giacchè non quadrerebbe troppo esatta l'antitesi tra facere praetium e non

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