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spiega la Porta istessa. Per questa via, se male io non mi apposi, giungesi a rischiarare per intero tutto l' Epigramma presente, senza lasciare dubbiezze ed oscurità.

V. 45, 46. Praeterea addebat quendam, quem dicere nolo Nomine, ne tollat rubra supercilia.

Col non volere poi il Poeta far significare quest'uomo dalla Porta altro che per segni e circostanze, invece che per nome, come fa senza timore per altri, sembra che da lui si voglia designato qui o qualche grande e potente Personaggio di cui si mostra paurosa la Porta stessa, percotendolo però con dire che fin dal suo nascere (olim) egli ebbe a patire contrasti e liti come figlio supposito : o più veramente, a maggior flagello della sua Padrona, un qualche altro della Casa pure, succeduto al Vecchio già morto. Locchè darebbe un più acre significato a quel l'isti populo janua quidque facit: vale a dire; non tutto il male passa per la porta: anzi il maggiore sta dentro Casa, e la Porta non ne sa cica.

CARME LXVIII.

V. 131, 132. Aut nihil, aut paulo quoi tum concedere digna
Lux mea, se nostrum contulit in gremium.

Sopra questo luogo si esprime così l'ill. Doering: Redit tandem poeta unde digressus fuerat. Respondere igitur debet hic versus 131. versui 73. e 74; sed quamvis nullum Interpretem hic haesisse video, parum ille respondet ob omissam quae desideratur particulam sic: cohaerere enim debebat oratio ita: Ut olim flagrans amore in domum Protesilai venit Laodamia, sic meis quoque amplexibus se obtulit puella mea. Est igitur vel anacoluthon, vel versus rescribendus est ita: Sic nihil aut paulo quoi tum concedere digna Sic puella mea digna quae ei (Laodamiae) tum nihil, aut parum certe cederet, in gremium meum se contulit. Secondo me questa particola congiuntiva sic non è

necessaria in questo luogo; e mi pare che il distico presente anzi che legarlo al superiore vv. 73, 74: Conjugis ut quondam flagrans advenit amore, Protesilaëam Laodamia domum, mediante la particola sic ora proposta, possa collegarsi benissimo coll' antecedente (vv. 129, 130.); ed ecco in qual modo corre il sentimento. Dopo le lodi che fa Catullo a Laodamia dice di lei vv. 129, 130. Sed tu horum magnos vicisti sola furores, Ut semel es flavo conciliata viro: poscia volgendosi in questo pensiere di subito alla sua Amica, dice in sua lode : Quoi (Laodamiae) Lux mea (Amor meus) aut nihil, aut paulo tum concedere digna, se nostrum contulit in gremium. Questa instantanea ed estuante conversione dell' animo del Poeta da Laodamia sempre costante ed ardente, alla sua Amica e per sua lode, è molto propria ed acconcia, e spesso piuttosto si osserva usata dai Poeti.

CARME LXXI.

V. 1, 6. Si quoi, Virro, bono sacer alarum obstitit hircus,
Aut si quem merito tarda podagra secat;

Ecco qual è l'interpretazione dell' ill. Doering circa a questo Epigramma: Virro, si quis unquam homo insipidus alarum odore merito infectus fuit, aut gravi dolore podagrae merito corripitur; sane aemulus iste tuus qui etc. mirum in modum utrumque malum merito a te nactus est. V. 1, Bono; ironice pro stulto, insipido: Vulpius cum Vossio bono ridicule sumit pro adverbio, ut sit; commode, apte V. 4, Mirifice; mira quadam contagione, mirum in modum, vel praeter modum. A te: in tuo contubernio. È questa come dissi la interpretazione del sullodato Commentatore; ma quanto si mostra a me poco soddisfacente subito al primo aspetto, altrettanto è lontana dal vero. Or ecco invece qual senso io estimo si debba apporre più veramente a tutto questo Carme.

V. 1, 2. Si quoi, Virro, bono sacer alarum obstitit hircus

O Virro, si alicui pro bono aliquo obstitit sacer i. e. execratus hircus alarum, ciò che meglio risponde al verso susseguente; aut si quem merito tarda podagra secat.

V. 3, 4. Aemulus iste tuus, qui vostrum exercet amorem, Mirifice est a te nactus utrumque malum.

A te mirifice ossia, quoad te, ex parte tua vere mirifice nactus est, ossia sortitus est (a natura) utrumque malum; nam quoties etc. Che veramente il significato di quell'a te sia quoad te, ex parte tua si può chiaramente conoscere dagli esempi de' migliori fra gli Antichi in fatto di maniere di dire e prima d'ogni altro scorgesi da Plauto Curcul. I, 1, 51, il quale dice Tam a me pudica est, quam si soror mea, cioè a dire quoad me; poscia da Terenzio Hecry. I, 2, 70. ove è detto Narratque ut virgo a se integra etiam tum siet, cioè quoad se parimente; e finalmente da Cicerone Epist. ad Att. Lib. VI, Ep. II che così termina la sua lettera: Valebis igitur et valere Piliam, et Caeciliam nostram jubebis litteris, et salvebis a meo Cicerone; vale a dire ex parte mei Ciceronis. Da tutto questo non risulta ella dunque erronea l'interpretazione proposta dall' ill. Doering? Si certo: e in fatti quando mai il puzzo caprino delle ascelle, quando la podagra furono mali contagiosi? Lo stesso ch. Naudet che mal digeri egli pure questo luogo, non sapendo qual senso migliore e più piano apporre a quell' a te, nè sapendo approvare del pari quello assegnatogli dal Doering, propone pel verso 4. questa correzione: Mirifice est adeo nactus utrumque malum: ma quanto male a proposito; quanto questa lezione sia poco soddisfacente, e lontana dai modi sempre così propri ed eleganti del Poeta nostro, qui se non erro, di leggeri ognuno sel vede. Peggio fa poi chi legge arbitrariamente può dirsi, come fanno i moderni, viro per Virro, ed Ateo per a te, traendosi così d' impaccio a buon mercato.

CARME LXXV.

V. 5, 8. Nunc est mens adducta tua, mea Lesbia, culpa
Atque ita se officio perdidit ipsa pio;

Ut jam nec bene velle queam tibi si optima fias,
Nec desistere amare, omnia si facias.

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La spiegazione dell' ill. Doering a questi versi è così: v. 5, Mens: pietas, benevolentia. Adducta: idest contracta; sed valde dubito de lectione adducta, mihi enim Catullus scripsisse videtur abducta, scilicet alienata, avocata. Sic Cic. Tusc. I, 31. Animus a Corpore abductus, v. 6. Atque ita se off. perd. ipsa pio. Atque hoc modo, prosegue il Doering, ipsa se privavit pietatis, quem ei probabam, officio ut etc. etc. Che cosa voglia propriamente intendersi con questa interpretazione, non troppo bene io so comprenderlo; certo che ella è per me un' abbastanza intricata spiegazione di un sentimento altrettanto piano che chiaro. Così dunque mi sembra vada reso questo passo: Nunc, o Lesbia, mens mea, scilicet sensus meus intimus erga te, vel mens animi mei, eo est adducta, i. e. perducta est adeo tua culpa, cioè tuis flagitiis; atque ita cioè atque adeo se perdidit, i. e. se pessum dedit officio pio, h. e. pro officio suo pie amandi, et fidem servandi; ut jam nunc ego nequeam bene velle tibi si optima fias, nec desistere amare, omnia (monstra) etiam si facias. Egli è questo il vero senso de' presenti versi, dai quali come si vede, rilevasi molto chiara la connessione dei sentimenti, e così del pari la distinzione fra i due verbi Bene velle, ed Amare. Sono due sorta diverse di Amore; il primo è quell' amore dell'Animo e dell' Intelletto, che giammai non può andare scompagno della Stima; anzi da quella inseparabile forma la vera Amicizia. L'altro è l'Amore della passione del Cuore, ossia dell'Anima; quella subita fiamma cioè di cui resta preso il Cuore, e tutto si accende il sangue al primo e solo aspetto ancora di una Persona, e non si sa il per

chè: Ut vidi, ut perii, ut me malus abstulit error dice Virgilio Egl. VIII, v. 41. È la differenza insomma fra l'Amico e l'Amante; e come l'Amico non può esser tale se non per fino che la Stima gli nutra l'Animo, e gli mantenga il buon volere; l'Amante invece può durare benissimo acceso l'Anima le Vene e il Cuore, quantunque spenti e perduti già i sensi di Stima, di Benevolenza, di Amicizia: anzi può sentirsi dalla sua Passione tutto compreso e dominato, anche a dispetto del suo non volere istesso. Vedi la medesima sentenza parimente espressa al Carm. LXXII, v. 8. Qui potis est, inquis? Quod amantem injuria talis Cogit amare magis, sed bene velle minus.

CARME LXXX.

V. 5. Nescio quid certe est. An vere fama susurrat etc.

Est certe aliquid in causa dice il Doering, sed quid sit nescio e qui cita il Volpi. Certo il senso egli è questo; ma però per esprimere il vero spirito di questo verso e renderlo più elegante, così dovrassi interpungere ;

Nescio quid certe est. An vere fama susurrat etc.

e per tal guisa il sentimento non è già quid sit nescio; ma bensì il nescio va in accordo col quid dicam: cioè; che dirò o Gellio ec.? Nol so: qualche causa v'è certo; poi segue col dirla sarcasmaticamente allora che prosegue : An oere fama susurrat etc.? Per questa guisa vi è sicuramente molto più pungente sale satirico. E quanti non sono i luoghi che avrebbero bisogno di questa cura dell'interpunzione per farli più spiritosi, o maggiormente a proposito? Per dire qui di alcuni soltanto; nel Carme LXXXI. i versi 5, 6. così dovrebbero essere interpunti per maggiore esattezza

Qui tibi nunc cordi est, quem tu praeponere nobis
Audes? Ah! nescis etc.

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