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dare ed interpretare questo passo, senza aggiungere o mutare parola: tanto più che la costruzione e la sintassi del v. 18, che sanno così di guazzabuglio, diverrebbero assai più regolari.

Est ne novis nuptis odio Venus? anne parentum
Frustrantur falsis gaudia lacrymulis,
Ubertim thalami quas intra limina fundunt?

Non ita me Divi, vera gemunt, juverint.
Id mea me multis docuit regina querelis,
Immiscente novo praelia torva viro.
Et tu non orbum luxti deserta cubile,
At fratris cari flebile discidium.
Quum penitus moestas exedit cura medullas ;
Ut tibi, nunc toto pectore sollicitae,
Sensibus ereptis, mens excidit !

Corretta in tal modo la lezione di questo passo, e per questa guisa interpretato, il sentimento corre allora assai facile, e diventa chiaro il nesso di tutto il discorso, tanto per gli antecedenti che pei conseguenti. In somma il filo da cui dipende questo paragone è attaccato alla parola discidium, cioè distacco: ed ecco in che si risolve per via dritta l'intero ragionamento. La Chioma osserva che le giovani spose partendosi dai loro Genitori piangono ; e però fa questa domanda: piangono esse davvero per odio che elle abbiano a Venere, o piangono al contrario lagrimette ingannevoli onde nascondere vergognoselle ai Parenti il loro troppo amore della medesima. Alla quale domanda fa da sè la risposta dicendo: No, non è vero l'un dubbio, nè l'altro; e a me lo prova il fatto della stessa Regina mia. Che Venere non sia loro in odio, da lei lo conobbi al forte amore che la prese del suo Compagno, dacchè Venere trassela fra le braccia di lui la prima volta. Che di Venere il desiderio non sia smodato da farle vergognosette; da lei pure lo conobbi al dolore che appalesò in sul partire del suo dolce Amico e Consorte per

alla guerra. E qui voltandosi intanto la Chioma alla Regina medesima, così prosegue: E tu allora, o mia Regina, non piangevi no i diletti perduti di Venere e le vedove piume; ciò che a me prova non essere questa la Cura Prima delle giovani spose, da dover fingere partendo di Casa lagrimette ingannevoli onde coprirla; ma bene il crudo distacco (per te poi veramente lagrimevole) del tuo Compagno volto alla guerra; ciò che a me prova come sian vere le poche lagrime delle giovani spose, per quanto innamorate, nel distacco dai loro amati parenti, presso dei quali, come dopo accanto allo Sposo, esse viveano in affettuosa consuetudine.

E non torna così più regolare la sintassi? più chiaro, più lucido e conveniente il paragone? Lo Strocchi stesso, mio Zio Materno, sentì la verità delle mie osservazioni, e si corresse conformemente nell' ultima edizione del suo bello volgarizzamento di quest' Inno. In luogo di Invisente seppi dal celebre Amico mio il dottissimo Cesare Montalti, a cui feci parola di questa mia opinione, che presso l'ill. Sig. Conte Antaldi di Pesaro è un Codice, non noto io credo ai Bibliografi, e appartenente un tempo, se ben mi ricorda, all' Eruditissimo Padre Lagomarsini, nel quale si legge Immiscente., Quanto riesce più retta più esprimente questa lezione; alla quale tanto più meglio corrispondono le parole flebile discidium - Berenice e Tolomeo erano figli di fratelli, e ognuno sa come presso gli Antichi si chiamavano col nome di Fratelli anche i Cugini: è per ciò che qui è detto Fratris cari discidium.

V. 38. Pristina vota novo munere dissolüo.

Novo munere qui sta per novo officio, cioè a dire: nunc reddita Coelesti Coetui dissolvo hic loci pristina vota, fungendo muneri novo. S'ingannano adunque il Doering ed il Naudet interpretando il novo munere per novo beneficio inter Coelites reddita, ossia relata. E ben si vede da tutto. il contesto del Componimento che non può essere questo

il sentimento; poichè bastava alla Chioma l'aver detto Coelesti reddita Coetu per significare il nuovo onore ricevuto. Ma di questo anzi che lieta si mostra invece scontenta e apertamente lo fa palese quando ella esprime v. 38. invitam cessisse Berenicis e vertice; quando si scaglia contro alla forza del ferro a cui non ha potuto resistere v. 47-50. laonde impreca ai Calibi che lo purgarono e temprarono i primi, a far spade e taglienti; quando prosegue v. 63. Diva posuit me sydus novum uvidulam a fletu; quando coi vv. 69. e segg. si scusa con Ramnusia (Dea punitrice dell' arroganza); e confessa non his (gli onori celesti) tam laetari, quam discruciatur abfore a Dominae vertice; quando in fine v. 94. prega Berenice a richiamarla dal Cielo, ed esclama Sydera cur retinent? Utinam Coma regia fiam!

V. 59. Scilicet in vario ne solum limite Coeli

Sembra che questo verso vada sicuramente unito cogli antecedenti, e non diviso come suole usarsi nella comune interpunzione, così correggendo :

Ipsa suum Zephiritis eo famulum legarat

Grata Canopaeis in loca litoribus,
Scilicet in vario ne solum limite Coeli

Ex Ariadneis aurea temporibus

Fixa corona foret; sed nos quoque fulgeremus etc. Vale a dire Arsinoe misit Zephirum in Canopi litora, loca sua dilecta et grata, scilicet cioè utique, i. e. expressim, adamussim, ne in vario limite Coeli solum Corona fixa foret aurea ex temporibus (capite) Ariadneis; sed fulgeremus nos quoque, exuviae devotae verticis Berenicis, Conjugis filii ejus.

V. 73. Non si me infestis discerpant sydera dictis. A maggior forza di espressione si dovrà così interpungere questo verso

Non si me infestis discerpant sydera dictis.

Imperocchè dice la chioma namque ego non tegam vera pro timore ullo; e poscia aggiunge rinforzando Non: etiam si me infestis discerpant sydera dictis; proseguendo di più, quin etiam evolvam condita pectoris veri cioè veracis.

CARME LXVII.

V. 1. O dulci jucunda viro, jucunda parenti.

Vi ha chi trova il contesto e l'andamento di questo Carme non affatto piano ed alquanto oscuro, giusta le attuali interpretazioni. Forse mutata la spiegazione di un passo solo, è possibile renderlo tutto maggiormente chiaro e fra sè consentaneo. L'ill. Doering giudica che qui si tratti di una Femina di mal affare (scortum), la quale, Amica fra gli altri di un tal Padre, questi volle fosse tolta in Isposa dal suo Figlio, uomo ingenuo e semplice. Altri invece hanno sospettato raffigurati in questo Epigramma Balbo Padre di Clodia, che fu menata in Moglie da Cecilio Metello della quale congettura non pare disconvenga il ch. Naudet. Stando così la cosa (e pensa con senno il Doering non aversi a cercare di porla in luce, prima perchè difficile a rilevare dalle Storie, poi perchè di veruna utilità), la sentenza del Doering medesimo circa alla condizione e costumatezza della Donna caderebbe. In quanto a me eccone il pensier mio: guardando a tutto il contesto del Carme, parmi che qui si tratti piuttosto di una Giovane la quale, forse da principio non disonesta (vedi v. 11.), divenne dopo (qual che si fossero Ella, il Marito, e lo Suocero) Moglie di mali costumi (moecha). Ed il Poeta facendo descrivere dalla Porta più minutamente le miserie e nequizie di costoro, già note dice ella in genere a Brescia tutta, e però a quelli ancora che malignamente ne la dimandano; ha voluto con fiero sarcasmo trafiggere questa riprovevole Sposa, assieme allo Suocero sfrontato, e allo stupido Marito, da

lui designato col titolo di dulci, cioè terque quaterque bono. Mostra parimente per questa via come la pessima riuscita della Femina ebbe cagione e procedere non tanto da lei, quanto dalla nullità del Marito (vv. 21, 22), come dal rotto costume di uno Suocero laido e vituperoso (vv. 19, 20).

V. 3. Janua, quam Balbo dicunt servisse benigne,

Il Doering spiega quel benigne per bene et honeste; ma i versi 23. e segg. non permettono una tale interpretazione: benigne sta qui meglio dunque per bene et faventer.

V. 4. Olim quum sedes ipse senex tenuit.

Ipse cioè a dire il Padrone, e vale: jam olim vivente sene, et domum et dominam regente. Il sedes tenuit è detto satiricamente in doppio senso, riferendosi alla Casa e alla Nuora insieme e quell' ipse vale qui come il suam ipsam del Carme III, v. 7. più sopra: cioè quando il suo Signore era il Vecchio.

V. 6. Postquam est porrecto facta marita sene.

Questo verso viene dal Doering inteso come segue: facta marita est, trahunt Interpretes ad januam, et maritam pro maritali explicant; sed id admodum durum mihi videtur: ego intelligo mulierem. Fra le varianti lezioni poi trovasi la seguente: Postquam es porrecto facta marita sene ed a questa aderendo il ch. Naudet così spiega: Locus vexatissimus expeditur, si unam literam deleas, es pro est rescripto, ut sic versus explicetur: postquam facta es marita, scilicet janua domus, ubi Conjuges commorarentur, quae antea Caelibis Senis eras janua. Per me questo verso è da spiegare come segue; e di qui dipende tutta la piana connessione del Carme. Quamque (i. e. janua) ferunt servisse rursus votis malignis (scortationi) postquam (hera tua) facta est marita (vedi i vv. 29, 30.) a sene nunc porrecto. Id quod se dicit (jam) cognitum habere Brixia; atqui non solum hoc, sed etc. secondo che poi si

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