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affatto piano, e chiarissimo. In questa gara jattatoria dei due pastori, Dameta per darsi vanto richiede Iola della sua Fillide (fosse questa una di lui pertinente, o meglio la servitrice) e la dimanda sola, dicendogli che poi in altra occasione verrà egli pure. E Menalca, non volendo restare al dissotto, ed anzi volendo mostrarsi maggiormente nell'animo di que' due, che cosa risponde ? Io amo Fillide sopra di tutte; perchè al mio partire da lei la vidi piagnere, e mostrarmi così quanto io mi fossi nell'amor suo. Riguardo a Iola poi, egli mi disse allora un Addio!... Addio Caro! in sì lunga nota sostenuto, che puoi ben comprendere da ciò come io mi viva nella sua confidenza, ed accetto al suo cuore. Spiegato così questo luogo, quanto ritorna più chiaro, altrettanto riesce più vero, e però più elegante.

(*) CARME XXIX.

V. 16. Quid est? ait sinistra liberalitas,

Parum expatravit, an parum helluatus est?

Io penso che questi due versi abbiano ad essere interpunti così, per essere più chiari, e più propriamente intesi:

Quid est? ait sinistra liberalitas :

-

Parum, expatravit ! An parum helluatus est?

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Enumerando il Poeta le somme ingenti che Cesare lasciava assorbire a Mamurra, che con arguto sarcasmo chiama ista vostra dif. men. egli fa escir fuori di botto la Profusione (sinistra liberalitas) a dire: — Quid est? parum, expatravit! cioè; E che: ben poco ha consumato. E allora il Poeta tosto ribatte An parum helluatus est? ossia: Dunque poco ha divorato e disperso l'Imperatore Unico? Quindi enumera le dilapidate Provincie, oltre i tesori di lui già biscazzati e profusi.

V. 21. Hunc Galliae timetis et Britanniae?

Non è così che si abbia da interpungere questo verso, a parer mio; poichè fa parte della enumerazione de' paesi spogliati. Converrà dunque correggere, con senso e anda mento migliore, come qui presso;

(praeda) inde tertia

Hibera, quam scit aurifer Tagus:

Hunc, Galliae timetis et Britanniae !...

Quid hunc malum fovetis? aut quid hic potest etc. V. 24. Imperator Unice socer generque, perdidistis omnis Questo socer generque viene inteso da tutti quanti i Chiosatori per Cesare e Pompeo; dicendo che il primo rovinò tutto colla sua liberalità verso Mamurra, e l'altro la Repubblica. Ma Catullo nemico acerrimo di Cesare, ed amico delle parti di Pompeo, come poteva associarlo di questo modo con Cesare, in un fiero biasimo di esso lui, e dell' odiato Mamurra? L' ill. Corradino di Allio così osserva a questo passo Cur vero immiscere voluit Pompejum? Quia quum dixisset Imperator Unice, recordatus est Poeta de Pompejo, qui et ipse fuit alter Imperator unicus; quique Caesaris Socer, perdidit omnia Reipublicae Ma questa ragione basterebbe ella ancora per giustificare un così amaro sfogo contro Pompeo, al quale non è d'altronde una parola sola che faccia cenno in tutto il Carme? Io non l'ammetto; e invece dubito che con questo socer generque, suscettivo appunto di una doppia interpretazione, si veli ed asconda un velenoso sarcasma contro Cesare solo; e relativo alle nequizie femminili di lui, e alla sua tresca con Servilia, Moglie di M. Bruto Cepione, e Madre di Bruto, la quale egli amò teneramente. Svetonio dice Iul. cap. 50. che oltre averla regalata di una costosissima gemma; nella Guerra Civile, fra gli altri doni, le acquistò per minimo prezzo poderi immensi, alle Pubbliche Auzioni dell' Asta: — et bello civili, super alias donationes, amplissima praedia ez auctionibus hastae, nummo addixit. Della qual cosa fa

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cendo parecchi le meraviglie, come di cosa impropria e vile; Cicerone rispose loro con motto arguto e faceto Quo melius emptum sciatis, Tertia deducta est. - cioè a dire E perchè meglio sappiate la compra, fu ridotta la Terza scherzando così fra le due parole, la Terza significante la terza parte del valore dei fondi, e la Terza, cioè Terza Giunia la Figlia di Servilia, e pare di Cesare; come pure sulla parola deducta, che tanto vale, fu ridotta, risecata la somma; quanto, fu ridotta, condotta la Terza ad un luogo di convegno. E questo era detto da Cicerone, perchè si riteneva che Servilia avesse piegata alle voglie di Cesare anche Giunia Terza la figlia sua, già maritata in Cajo Cassio (vedi Svetonio 1. c.). Io dubito adunque che il Poeta profittando di tutte queste circostanze, da quelle traesse partito onde aspramente trafiggere Cesare, con questo ambiguo detto socer generque; volendolo dire in fondo per eandem personam socer et gener padre e marito insieme, cioè, adultero e incesto.

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ossia,

V. 24. perdidistis omnia - questo perdidistis omnia non è quindi relativo a Pompeo con Cesare, come si vuole, ma a Cesare e Mamurra; e vale come il vostra dif. men. del v. 13. più sopra. E però l'Autore ripigliando il senso de' versi 11-14. esclama: eo ne nomine, cioè: e a questo titolo: Imperator Unice: Duce Supremo ed Unico (perchè Pompeo era già morto) perdidistis omnia, cioè: tuque et Mamurra perdidistis omnia?

(*) CARME XXXV.

La interpretazione di tutti quanti i Chiosatori, dai più Antichi ai Recentissimi, intorno allo spirito di questo Carme versa circa all' avere inteso il Poeta, che Cecilio avesse iniziato un Poema sopra Cibele : Magna Caecilio inchoata Mater Il chiariss. Dionigi Strocchi nei suoi Discorsi Accademici (Ravenna 1836.), parlando di Catullo e di Orazio, spiega diversamente; e così si esprime

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...

latinamente per rispetto alla materia Omnes in hujus poematii ima cera interpretes a Poetae sententia mihi videntur aberravisse, mirum quam longissime! dum putant hic agi seu de tabula, seu de poemate in matrem deorum a Caecilio inceptis, uti Vossius, Muretus, Achilles Statius, Parthenius, Vulpius, et quot scio sentiunt. locatur Poeta in sodalem, qui mollitie difluens, inter Gallos Cybeles sacerdotes referendus sit; uti solemus, cum juvenes mollicellos vocamus Attides. Puella quae Caecilium conjugem vehementius ardet, ex quo ille Cybeles mysteria inivit, Sapphone dicitur doctior, quae virum specie tenus, re autem ipsa foeminam amplexa, pudori consuluit cui Sappho non pepercit. Ovid. Eroid. Epist. Sapphonis v. 201. Lesbides infamem quae me fecistis amatae Legere idem ac inire Virg. Aen. Lib. IX. v. 593. : vestigia retro Observata legit.... Initiare vel initiari dicitur de illis, qui ad sacra deorum admittuntur. Initiare Bacchas, vel initiari Bacchis idem ac inchoare Bacchas; hoc est earum Orgiis adscribi. (Vide Tit. Liv. Lib. XXXIX. cap. 9-14.) Virg. Aen. Lib. VI. v. 253. » Tum Stygio regi nocturnas inchoat aras " Inchoare est verbum sacrum, uti monet Servius. Qui in vita Catulli scripsere de Caecilio utpote cujus in matrem deorum extitit vel poema, vel tabula, nisi aliunde quam ex hoc carmine notitiam hausere, profecto inanes protulerunt ariolationes Così pensa lo Strocchi: a me sembra però che lo scherzoso Carme di Catullo sia stato mosso, più che dal sapere Cecilio datosi ad una vita molle, dall' avere inteso invece che appunto avesse intrapreso il surriferito Poema: ed il Poeta da ciò, scherzando, lo dicesse iniziato ai Misteri di Cibele. Non mi pare dovesse essere stato sufficiente motivo quello di un abito lussureggiante o lussurioso intrapreso, per giudicarlo un già ini ziato a Cibele, un Ati; che poi per le cause attribuitegli, sarebbe stato alla sua bella da quel che pare anzi che maggiormente accetto, men gradito compagno, anche per sentimento di gelosia.

...

(*) CARME XXXVI.

V. 9. Et hoc pessima se puella vidit
Iocose lepide vovere divis.

I chiariss. Lachmann e Rossbach nelle recenti Edizioni loro (1860.) hanno richiamata questa lezione antica in posto della comune.

Et haec, pessima se puella vidit
locose et lepide vovere divis

nè veggo per quale meglio, sia del concetto, sia dell'armonia. Non è che la fanciulla tristarella, puella pessima, vidit se i. e. putavit se hoc (modo), vovere divis lepide i. e. cum lepóre ma è la fanciulla che vidit i. e. putavit, se vovere divis lepide et jocose haec (scripta Volusi), tamquam omnino pessima.

CARME XXXVIII.

V. 7, 8. Paulum quid lubet adlocutionis,
Moestius lacrymis Simonideis.

Se questi versi vengano presi nel senso di una preghiera, e il quid lubet non s' intenda per opto ego aliquid, come vuole il Doering, ma s' attribuisca a Cornificio il quale è dimandato dall' Autore, oppresso ed in angustie, di paulum moestius lacrymis Simonideis, quid illi mage lubeat; allora il senso non sarà più come lo dice il Doering istesso, paulo obscurus atque implicitus. Giacchè il Poeta, corrucciato dapprima, così esclamando, si riconcilia alla fine con Cornificio; e lo dimanda di sollievo con qualche suo poetico dettato quale più piaccia a lui; sul gusto però, e più mesto ancora de' lamenti di Simonide: ciò che serve a lodare Cornificio, e a rendere più assai grazioso questo Epigramma. Tanto maggiormente mi ha confermato in questo mio sentimento la coincidenza da me

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