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Dionigi Strocchi Chiarissimo

Che Napoleone Primo Ordinò Fra' Suoi Cavalieri del Regno: Che Italia Scrisse in Tutte Sue Accademie: Delle Greche Latine Italiane Lettere Maraviglioso Conoscitore: Degl' Inni Omerici Degl' Inni di Callimaco Delle Virgiliane Buccoliche e Georgiche Classico Traduttore: Caro a Città Caro a Principi: Queste Critiche Considerazioni Ancorche Tenue Pegno: Ad Argomento di Affetto di Gratitudine di Riverenza Offre e Consacra

(1841)

Il Suo Nipote Amorosissimo
JACOPO SACCHI.

CARME II.

V. 7, 8. (Ut solatiolum sui doloris:

Credo ut tum gravis acquiescat ardor)

Io non so perchè tutti gl' Interpreti si siano tanto occupati di questo Ut ripetuto due volte, proponendosi cento varianti e spiegazioni a questi due versi; nè come l'ill. Doering abbia potuto proporre la sua volta in al luogo di ut, così spiegandolo: Quum Desiderio meo nitenti carum nescio quid lubet jocari, in solatiolum sui doloris. Non so del pari troppo acconsentire alla spiegazione che più tardi potei leggere proferita dal Ch. Naudet nel suo più recente Commentario; e trovo per me inutile affatto il rinchiudere che si fa tra parentesi questa sentenza. Egli è diverso il senso di questi due ut: il primo significa quale, il secondo affinchè quindi senza bisogno di parentesi, credo l'Autore abbia voluto dire: Quoi primum digitum dare adpetenti etc... quum Desiderio meo nitenti carum nescio quid lubet jocari tecum, quale solatiolum sui doloris, i. e. solatiolum ut es sui doloris, credo ut tum gravis acquiescat ardor etc. Ciò posto quel tecum del v. 9 non è bene inteso dal Doering, spiegandolo si tecum: sarà molto più energico esprimendolo per modo di esclamazione siccome per l'appunto è nello scritto: poichè regolando i vv. 5, 6, altro non ha l'Autore voluto che esclamare: Tecum ego quoque possem ludere sicut ipsa!

NB. Le Note aggiunte nella presente Edizione sono distinte con un asterisco (*)

(*) V. 11. Tam gratum mihi, quam ferunt puellae
Pernici aureolum fuisse malum,

Quod zonam soluit diu ligatam.

Fu questione fra gl' Interpreti se questo Carme ed il seguente si avessero a credere scritti con doppio significato: l'uno semplice e naturale, l'altro allegorico e lubrico. Molti stettero pel naturale, e fra questi è pure il Sanazzaro, ed ultimamente M. Collet (vedi la Collezione de' Classici Latini di M. Nisard), il quale dice: Ch'egli è un avere ben poca opinione del pudore di Catullo: quasi egli avesse l'abitudine, parlando di cose lubriche, di velare i suoi detti (locchè fu saviamente da altri osservato): e che l'auraient aussi remarqué nos Commentateurs avec un peu de bon sens, si le bon sens éteit une qualité de Commentateur. Altri invece stettero pel senso allegorico; fra quali vi è il Poliziano, e Corradino di Allio. Considerando però a dovere questi tre versi, parmi si possa benissimo sostenere il senso allegorico dato dall'Autore, con grande maestria, ai Carmi II.° e III." Non vi ha dubbio alcuno che riesce d'un senso naturalissimo il dire passerem tam gratum mihi, quam puellae pernici malum; quod (malum) soluit zonam etc. - volendosi esprimere con ciò la dispiacenza somma della morte di quel passero, e la molta affezione per lui. Ma quell' animaletto era di Lesbia; il compianto è relativo al dolore di lei, a cuiflendo tur giduli rubent ocelli: ora dunque essendo così la cosa, perchè quel tam gratum mihi, quam ferunt puellae pernici etc. ed il tam bellum passerem mihi abstulisti? Perchè in ambi i casi mihi e non illi, come pareva richiedesse il senso naturale? Perchè in somma questo dolore, questa affezione espressa da Catullo con interesse maggiore da parte sua, che non in nome della fanciulla, se non ascondessero un'allusione? D'altronde apponendo al quod del v. 13 il senso di eo quod, anzichè accordarlo con malum; costruendo come segue i primi due versi, e riferendo a

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