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base di queste osservazioni. Meglio però, credo io, interpungere come qui segue:

Albi, nostrorum sermonum candide judex,

Quid nunc te dicam facere in regione Pedana?
Scribere quod Cassi Parmensis opuscula vincat;
An tacitum silvas inter reptare salubres,
Curantem quidquid dignum sapiente bonoque est.
Non tu corpus eras sine pectore: di tibi formam,
Di tibi divitias dederunt, artemque fruendi.

e l'ordine delle idee mi sembra correre più spontaneo.

EPISTOLA V.

V. 6. Sin melius quid habes arcesse, vel imperium fer.

Questa lezione è de' Chiosatori più Antichi; i più recenti però, massime i venuti dopo il Bentlejo, portano, come più adatta, la lezione seguente :

Si melius quid habes arcesse, vel imperium fer.

-

spiegando: se hai di meglio mandalo, e si tu capo del Convito Io credo si debba tenere l'antica lezione così punteggiando:

Sin; melius quid habes arcesse, et imperium fer. lo scherzo diventa in questa guisa assai più grazioso: poichè Orazio offre a Torquato quanto ha di meglio, in particolare di Vini; i quali però, atteso ai Vigneti d'onde provengono, non sono de' più commendati e squisiti. Quindi è che dice Berrai vini del Minturno e del Petrino: e se questi non ti vanno, sin; manda tu ciò che hai di meglio, melius quid habes arcesse, e sii Re del Convivio.

V. 24.

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Sit qui dicta foras eliminet; ut coëat par
Iungaturque pari, Butram tibi Septiciumque,
Et nisi coena prior potiorque puella Sabinum
Detinet, assumam ;

riesciranno più chiari questi versi così distinti:

ne fidos inter amicos

Sit qui dicta foras eliminet. Ut coëat par
Iungaturque pari, Butram tibi Septiciumque;
Et, nisi coena prior, potiorque puella Sabinum
Detinet, assumam;

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EPISTOLA VI.

V. 50. Mercemur seroum qui dictet nomina, laevum Qui fodicet latus, et cogat, trans pondera, dextram Porrigere:

ctum est divinationibus

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L'ill. Gargallo traduce » Punzecchiando ne avverta oltre agl' imbrogli La destra a stender per la via » Su di che, questo osserva lo Strocchi (Discorsi Accad. Ravenna 1822) Quanto bella, quanto evidente è la scena del condotto servo monitore, che a manca del Candidato col mover del gomito, avvisa dell' accostar di coloro, che in questa e in quella tribù sono potenti; tanto mi sembra difficile poter comprendere di che fatta fossero que' pesi, quegl' ingombri, oltre i quali si avesse a stender la destra, se già altro Codice, o nuovo Edipo non li venga a chiarire. Il Doering dice: - quid per pondera intelligendum sit, reliAcrone intende i sassi che ingombrano la strada, o i rocchj che ne sorgono a lato, oltre ai quali il Candidato stende la mano; il Landino intende la calca che grava sulla mano che cerca stendersi attraverso il Lambino intende i sassi o legni o carretti che passano tirati per la via: il Ferrario de Re Vest. intende il peso del lembo delle maniche e di tutta la Veste; opinione appoggiata dal Fea: il Noël de Verger ( Etude Biographique sur Horace pag. 43.) approva la interpretazione dell' Archeologo della Università di Bologna, (il Professore Francesco Rocchi) che crede pondera siano que' piccoli pesi di bronzo che si attaccavano alle vesti

per farne cadere le pieghe con grazia; e però che trans pondera significhi, oltre l'inviluppo delle pieghe della toga : opinione che segue il Dillemburger. L' Orelli e il Dübner approvano il parere del Lupi (in Morcelli Opp. pag. 316. Epig. 1.) che cioè il Candidato stenda la mano al bottegajo a traverso il banco ed i pesi delle stadere (pondera), per dargli una stretta, ed agguantare il suo voto. L'ill. Lemaire spiega il trans pondera per; ultra aequilibrium corporis ponderibus suis librati (l'aplomb du corp), eztendere manum, cum periculo cadendi: - Il Bentlejo nulla dice gli altri molti seguono chi l'una chi l'altra di queste spiegazioni, traendo quadri troppo immaginosi dalle sole due parole trans pondera. Di tutte queste allusioni però la più naturale parmi sia quella di piegare la vita fino ad uscir di equilibrio. Ma perchè usa il Poeta l'espressione trans pondera per dinotarla? Se vuolsi attribuire a lui qui un po'di bassezza vernacola; un po'di meno decenza scherzevole, il » Devoluit illa acuto sibi pondera silice » di Catullo, Atys v. 5. offrirebbe la più pretta spiegazione. Nè questa interpretazione sarebbe poi indecente, o sì fuor di posto, se si consideri che in questa Epistola, fin da principio, l'Autore ha posto un tantino di aceto. D'altronde Stazio usò pure questa voce e con tutta decenza, allora che a proposito dell'Editto di Domiziano contro l'uso di castrare i fanciulli, dice Lib. III. Carm. 4. v. 77. " (lege sinistra) Ferre quidem famulae, natorum pondera, matres » In questo caso verrebbe a dire, che l'orgoglioso Candidato rende il saluto ora, stendendo la mano, ed allungandosi fino a portare le spalle più oltre assai delle anche, trans pondera, mentre d'ordinario lo rende come un palo fitto, cioè obstipo capite, et se super pondera tenens Se poi vogliasi ritenere la lezione pondera per pondus, come lo trovo usato parecchie volte da Ovidio, e così da Virgilio e da altri; io veggo adoperata costantemente da Lucrezio la voce pondera ad esprimere l'attrazione e la gravità molecolare de' Corpi verso la terra; e l'altra pondus quasi

dapertutto parlando della pesantezza de' medesimi semplicemente. Non era nota la Attrazione de' Corpi al Centro della Terra, ma veduta e sentita; ond'è che Ovidio dice a proposito de' Quattro Elementi Metam. Lib. XV. v. 240. » duo sunt onerosa, suoque Pondere in inferius tellus atque unda feruntur " ed ivi pure Lib. I. v. 12. » Nec circumfuso pendebat aëre tellus, Ponderibus librata suis: » e Dante Inf. C. XXXIV. 139. chiama il centro della Terra il punto, » Al qual si traggon d'ogni parte i pesi» : mentre avrebbe forse dovuto dire: Dal qual son tratti ec. E da ciò ne veniva che volendo accennare l'Attrazione o Gravitazione centrale e perpendicolare di un Corpo, dicevano essere quello in pondera; e per contrario extra vel trans pondera, cioè fuori del centro di gravitazione. Cicerone dice Somn. Scip. c. 4. " in terram feruntur omnia suo nutu pondera » e De Fato cap. 10. » motus oritur extra pondus et plagam: cioè la gravitazione, o centro di gravità: locchè verrebbe ad esprimere precisamente l'azione di cui è ora discorso rispetto al Candidato.

EPISTOLA VII.

V. 1. Quinque dies tibi pollicitus me rure futurum,
Sextilem totum mendax desideror.

Sembra che queste parole di Orazio, non siano che la ripetizione di quelle stesse, che Mecenate a lui dirigeva invitandolo a ritornarsi una volta in Roma. Egli è per ciò che va sotto inteso il principio Tu dicis mihi.

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V. 37. Saepe verecundum laudasti; Rexque Paterque Audisti coram, nec verbo parcius, absens :

Inspice si possum donata reponere laetus.

Per quanto a me sembra i Chiosatori non intesero troppo bene lo spirito di questi versi. Essi li fanno dire: Tu spesso hai lodata la mia verecondia e modestia; mi hai udito Tu stesso a chiamarti Re mio, e Padre mio;

nè solamente di fronte ciò feci, ma parimente lungi da te: prova ora, inspice sodes, mettimi al fatto; e poi vedrai se io posso restituirti contento il donato Ed a che pro questo tono arrogante, questa lieta baldanza e quasi smania di rendere a Mecenate i suoi donativi, poco dopo vantata la sua verecondia in passato, e l'averlo chiamato suo Re e Padre? E Mecenate uomo eminente qual era, si sarebbe beccata in pace tanta insolenza, senza sciogliere tosto la sua relazione, dopo tanto disprezzo, quale che ne fosse la cagione? Leggendo i versi 22-27. più sopra, indi quello che ora qui dice, onde mostrare a Mecenate il suo attaccamento; io penso debba riescire questo il senso proprio del v. 39. - Guarda, inspice, se con animo lieto io possa restituirti il donato, dividendomi da te Quindi è che un punto ammirativo starà molto bene in capo del verso, indicante la melanconia di simili pensieri.

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V. 40. Haud male Telemachus proles patientis Ulyxei: Non est aptus equis, Itace, locus, ut neque planis Porrectus spatiis nec multae prodigus herbae ; Atride, magis apta tibi tua dona relinquam:

Non so perchè si usi la lezione Itace per Itacense, mentre benissimo sta la lezione Itacae locus, vale a dire; la posizione o regione d'Itaca: molto più che ella sarebbe assai più conforme alle leggi della Prosodia. Anche questo tratto si vuole riportato da Orazio per esprimere in certo modo la cagione della sua ripulsa: venendo a dire; che que' beni avuti in dono non portavano a lui quanto ba stasse per la sua posizione in Roma, e però stavano meglio in mano di Mecenate, che propria. Ma se Orazio cerca qui fare un'allusione allegorica, non bisogna riferirla ad una rinunzia che intenda fare della Villa; bensì del suo vivere in Roma nella condizione in cui è costretto a trovarsi; volendo venire ad esprimere : Roma non fa per me, per le mie ragioni, come Itaca per le sue non

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