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usu

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Ed avea ben ragione: perchè se egli è nascosto, o sepolto, come può lucicare per l'uso? Dietro a tale osservazione, in posto di argento abdito leggeva abditae lamnae, che però non è di Codice veruno. Questa lezione e questa spiegazione salì al naso dell' ill. Bentlejo, che così prese a bronfiare contro di lui: Magnam se rem praestitisse credit Lambinus! quod, invitis omnibus libris qui abdito argento hic exhibent, abditae lamnae reposuerit, hunc in modum: Nullus argento color est avaris abditae terris inimico lamnae, Crispe Sallusti, nisi temperato splendeat Quippe, inquit, si ita locutus esset Horatius; Nullus est color argento abdito terris (et proinde minime splendenti) nisi splendeat usu temperato: nonne esset ineptissime locutus? Recte quidem disputat Lambinus, modo ita (ut ille somniat) Horatius esset locutus ! Sed fefellit plane Lambinum ipsa verborum constructio. Ponamus enim lectionem in omnibus Mss. Codicibus receptam, distinctionem tantummodo novam Nullus argento color est avaris abdito terris, inimice lamnae Crispe Sallusti, nisi temperato splendeat usu:-jam haec verba non negant colorem esse argento abdito, nisi argentum illud splendeat; sed Sallustium narrant inimicum esse lamnae, nisi lamna illa splendeat usu —. Indi egli esclama: — Ubi nunc, obsecro, Lambini acumen? Et tamen omnes fere, post ipsum, editiones, scabies illa occupavit! Dietro di che conclude commentando che per lamnam egli intende, come tutti, ipsum argentum vel aurum, vale a dire la Moneta istessa: e che Sallustio non istima questa lamina, lamnam, se non per quanto serve agli usi umani. Come dunque dopo il Lambino, fu dagli Editori seguito il suo concetto; così fu del Bentlejo rispetto a quelli che vennero dopo di lui. Ora, messa da parte la questione della variante abdito od abditae: sarà poi così impropria l'interpretazione dal Lambino proposta; o così calzante come si vuole quella del Bentlejo? Colla lezione del Lambino, il passo riesce a me pare ordinato e chiaro: colla comune si può intendere ugualmente

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bene; ma forzando la voce lamna ad esprimere ciò che io penso non abbia mai espresso, cioè pecuniam. Secondo il Lambino, che cosa si dice? Nullus argento color est, nisi temperato splendeat usu, Crispe Sallusti inimice lamnae abditae terris poichè egli come padrone di una Miniera di Rame faceva mestiere di portare in luce il metallo per utilità pubblica. Diversamente il Bentlejo dice - Nullus argento color est avaris abdito terris, Crispe Sallusti inimice lamnae i. e. pecuniae, nisi temperato splendeat usu—. Quando poi si voglia tenere la lezione conforme ai Codici, io credo che per lamna si debba intendere non la Moneta; ma l'Argento manufatto in lamine, come patere, lanci, guantiere: o ridotto in altri oggetti di lusso quali sono, chiamati genericamente Argenterie. In tale supposto, il concetto di questa strofa ritorna bene di questa maniera. Crispo Sallustio nemico degli Argenti smodatamente profusi, anzi che regolatamente, onestamente diffusi, quali sono nella tua Casa (nisi temperato, lamna, splendeat usu); sicchè contento nella tua modestia, ride at argento, anzi che fulgeat:e questa interpretazione può calzare benissimo, essendo noto il lusso stemperato delle suppellettili d'Argento in Roma. Plinio racconta Lib. XXXIII, cap. 52, che enormi Bacili d'Argento esistevano in Roma; de' quali più che 500 pesavano 100 libbre l'uno, prima della Guerra Civile fra Mario e Scilla. Al tempo di Claudio, il servo Rotondo Drusillano, divenuto poi tesoriere nella Spagna Citeriore, ne aveva uno del peso di 500 libbre: sicchè abbisognò una officina a bella posta costrutta onde fabbricarlo. Aggiunge che fra il Vasellame de' suoi colleghi erano otto Bacili pesanti insieme 850 libbre. È questione se questo Crispo Sallustio sia il celebre Istoriografo, come pensano gli Scoliasti più Antichi; uomo immensamente ricco, padrone de' famosi Orti Sallustiani, splendido ma non lussureggiante, e posseditore di una preziosa Miniera di Rame nelle Alpi Centroniche, oggi Monti della Tarantasia, secondo ci narra Plinio Hist. Nat. Lib. XXXIV, § 2: o se come

dai più recenti si vuole, sia invece Cajo Crispo Sallustio Nipote da Sorella dello Storico, il quale fu da lui adottato, e fatto erede di tutto il suo. Vedi Tacito Ann. Lib. III, cap. 30. Quest'uomo, che Orazio nota come splendido Lib. I, Sat. II, v. 48, divenne assai temperato in mezzo alla sua grande ricchezza, e talmente positivo; che sebbene fosse molto Amico di Augusto, al pari che lo Zio, pure non volle mai accettare di uscire dall' Ordine Equestre per onoranze maggiori.

V. 17.

ODE III.

Cedes coemtis saltibus et domo

Villaque, flavus quam Tiberis lavit,
Cedes et extructis in altum

Divitiis potietur haeres.

Par

Ho letti una quarantina circa di Espositori, chi per intero, chi partitamente delle Opere di Orazio, e trovo che quasi tutti, specialmente i moderni, seguendo la traccia di Porfirione, e del Landino, hanno spiegato i versi 19 e 20 come segue Cedes: et haeres tuus potietur divitiis exstructis in altum i. e. pecunia alto cumulata landosi però di denaro o di materie sdrucciole, il verbo exstruere mi parrebbe qui meno adatto, e molto più l'altro congerere; che per me è il vero termine per cose che si riducono in massa senza congegnarle e comporle. Egli è per ciò che io stimo da seguire una interpretazione molto più significante e vivace. Pochi degli Antichi, fra' quali l'Ascensio, ed Ermanno Figulo, hanno spiegato il divitiis per molibus exstructis in altum; cioè i grandi Palazzi Urbani alti contro il Cielo: ma questo pure non credo sia il vero senso della strofa presente. Il solo Acrone, che io mi sappia, così ha inteso, e dico assolutamente bene,

Exstructis i. e. compositis: In altum i. e. mari jactis operibus, et exstructis in altum aedificiis potietur haeres È noto che gli Opulenti di Roma, per una stempiata lus

suria, volevano luoghi variatamente ameni e deliziosi; e, come al monte ed al piano boschi e giardini, così dentro mare, terreni e stupendi edifizj, e dentro terra vasti laghi e canali e piscine. Ciò che non solo autorizza, ma costringe a conoscere vera la chiosa di Acrone, è il seguente numero di passi analoghi di Orazio stesso e di altri. Egli dice Lib. II, Od. 18, v. 19-struis domos, Marisque Baiis obstrepentis, urges Summovere litora, Parum locuples continente ripa -Nel Lib. III, Od. 1, v. 33 scrive Contracta pisces aequora sentiunt Jactis in altum molibus ed ivi Od. 24, v. 3 Caementis licet occupes Thyrrhenum omne tuis, et mare Apulicum. Così ha Lib. I, Epist. 1, v. 83 Nullus in orbe sinus Baiis praelucet amoenis, Si dixit dives; lacus et mare sentit amorem Festinantis heri e Lib. II, Od. 15, v. 1 Jam pauca aratro jugera regiae Moles relinquent: undique latius Extenta visentur Lucrino Stagna lacu aggiungendo v. 10 Non ita Romuli Praescriptum, et intonsi Catonis Auspiciis, veterumque norma — Anche Petronio Arbitro dice Satiric. de Bello Civili cap. 119, v. 88 Aedificant auro, sedesque ad sidera mittunt; Expelluntur aquae saxis, mare nascitur arvis; Et permutata rerum statione rebellant e cap. 39 nella Cena di Trimalcione dice pare et mari et terra multa possideo Provato per ciò in questa guisa il significato della strofa in discorso, così è da interpungere, a mio avviso, la medesima:

Cedes coemtis saltibus; et domo

Villaque, flavus quam Tiberis lavit;
Cedes et exstructis in altum:

Divitiis potietur heres!

.

E quanto è maggiore così lo spirito di questo luogo, quanto più dice; tanto diventa più viva, più dignitosa, dirò più Oraziana questa sentenza finale; essendo egli poco proclive, quale si mostra spesso, al favor degli eredi. Orazio qui non esprime soltanto: l'Erede tuo si piglierà

il tuo grande peculio: ma tuona, pronostico, di questo modo Andrai dalle tue selve in stuolo comprate (coemtis), onde far mostra d'immensa ricchezza: andrai dalla superba tua Villa e Casina, che lambe ed inaffia suburbana il biondo Tevere andrai dalle sfoggiate Moli, per te costrutte innanzi nel mare!... Le tue dovizie afferrerà un Erede (divitiis potietur haeres!): cioè; le tue dovizie si piglierà impaziente e in orgoglio, non già il tuo Erede; ma in senso indeterminato un Erede, che forse appena te conobbe, e dal quale nessun officio mai ti provenne Un sentimento simile vedilo pure più sotto Lib. II, Od. 14, vv. 21-28.

V. 21.

ODE XI.

Quis devium scortum eliciet domo
Lyden? Eburna, dic age, cum lyra
Maturet, in comtum Lacenae

More comas religata nodum.

Io sto per la lezione incomtam portata dall'Ascensio, e seguita da Ermanno Figulo, da Antonio Mancinelli, e dal Bentlejo; checchè ne dicano altri in contrario, ed il dotto Fea istesso, così scrivendo io diversamente anche dall' ill. Schmid:

Eburna, dic age, cum lyra
Maturet; incomtam, Lacenae

More, comam religata nodu.

Trattandosi di una berghinella non da posto, ma veneticcia e randagia (devia), la quale balla o canta sulla lira; è naturale il dire che si spicci a venire colla cetra o chitarra, rifacendosi la scomposta chioma senza studio veruno, e semplicemente annodandola alla Spartana. Il chiariss.o Carlo Fea respinge per altro vivamente questa lezione, sebbene portata da Codici ed Edizioni più o meno antiche, così parlando: Coloro i quali preferiscono la lezione

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