Page images
PDF
EPUB

V. 13.

Quid prius dicam solitis parentis
Laudibus, qui res hominum ac deorum
Qui mare ac terras variisque mundum
Temperat horis?

[ocr errors]
[ocr errors]

Interpunta com'è questa strofa dice: quid dicam parentis
prius, solitis laudibus, qui res hominum temperat etc?
ma dopo a questa proposta e interrogazione; che cosa viene
ad esporre? Nulla: e passa a parlare di Pallade. Credo
assai migliore consiglio adottare la lezione parentem ed
interpungere come segue:

Quid prius? Dicam, solitis, Parentem,
Laudibus; qui res hominum ac deorum,
Qui mare ac terras, variisque mundum
Temperat horis:

Unde nil majus generatur ipso etc.

e questo sarà il sentimento:

Quid prius (memorem)?

Dicam Parentem, solitis laudibus, qui res hominum ac Deo

rum temperat etc.: unde nil majus etc.

La quale sentenza equivale all' Ab Jove principium Musae, Jovis omnia plena di Virgilio Egl. III, v. 60.

ODE XIII.

dulcia barbare

Ledentem oscula, quae Venus

Quinta parte sui nectaris imbuit.

barbare ledentem oscula: cioè ruditer mordentem labella. E qual è questa quinta parte del nettare di Venere? Marcello Donato così la dice: Quinque sunt Amoris lineae, sive gradus: Aspectus, Collocutio, Tactus, Osculum, Concubitus

[ocr errors]

V. 1.

ODE XIV.

O navis referent in mare te novi
Fluctus! O quid agis? Fortiter occupa
Portum!

Prima del Bentlejo questi versi erano scritti con un punto fermo dopo fluctus. Io stimo che vadano interpunti come segue:

O navis; referent in mare te novi
Fluctus? O quid agis; fortiter occupa

Portum!

Orazio Repubblicano di cuore, dubita di una reazione novella, di una nuova sventurata Guerra Civile. Non è dunque in tono positivo, ma dubitante che chiede alla Nave della Repubblica, se intenda di avventurarsi ancora in mezzo ai flutti, e tenta dissuaderla. Pare che il Poeta abbia voluto lludere con quest' Ode alla Congiura del Console Licinio Jurena (a cui fu scritta l'Ode 10. del Lib. II) e Fannio Cepione contro di Augusto, scopertasi in Roma l'Anno 732 per la quale il primo fu condannato nel capo.

[blocks in formation]

Aequor? Non tibi sunt integra lintea,
Non di, quos iterum pressa voces malo.

[ocr errors]

la frase

L'ill. Bentlejo trova satis quidem insolentem durare aequor per dire sustinere, perferre; ed io pure alla maniera che s'intende e si spiega, la trovo affatto strana. Durare nel senso ordinario attivo significa; perferre, sustinere nel neutro vuol dire; durescere, indurire, ed è usato colle preposizioni ob o in: come può dunque riescire regolare la espressione durare i. e. ferre vel sustinere aequor imperiosius? Il Bentlejo pone innanzi alcuni esempj in appoggio di questa frase per vedere, dic' egli,

di pure sostentarla se sia possibile, e cita il durare laborem di Virgilio Aen. Lib. VIII, v. 577: il durabis quascumque vias, vallumque tenebis di Stazio Silv. V, Car. 2: e va benissimo perchè nel primo caso vale, sostenere il peso della fatica; nel secondo è detto: qualunque via tu segua, durabis, cioè in senso neutro; starai saldo: così pure è del Durate, et vosmet rebus servate secundis di Virgilio Aen. Lib. I, v. 207. Cita pur anche il, primo potes hoc durare sub aevo, di Valerio Flacco Lib. VIII, v. 338: e questo pure sta bene, perchè detto per, durare, perferre vitam sub hoc aevo. Ma come può poi usarsi in senso neutro questo verbo rispetto al mare; o come si può applicare alla nave, che è il contenuto, il significato che quadra giusto al Mare che è il continente? Dietro a tal riflesso adunque, e l'altro del Bentlejo, che la voce carinae in plurale applicata ad una nave sola non istà, non potendo averne che una (ond'è che conclude doversi intendere di più navi, che stavano in porto d'intorno a quella); così credo vada diversamente interpunto ed interpretato questo luogo:

Vix durare carinae

Possint? Imperiosius

Aequor, non tibi sunt integra lintea;

Non di, quos iterum pressa voces malo.

e di questa guisa l'imperiosius (est) aequor, è un epifonema molto esprimente; e legandolo col

lintea etc.

--

non tibi sunt integra

viene a dire, che il mare è più che mai fiero e prepotente, ed ella non ha vele salde ed intere, non Dei

da invocare etc.

V. 31.

ODE XV.

Sublimi fugies mollis anhelitu,
Non hoc pollicitus tuae.

Si spiega di questo modo quem Tydidem tu, mollis, fugies anhelitu sublimi, non pollicitus hoc tuae -.

La

spiegazione che si dà dell' anhelitu sublimi è per anelito premente, tirato a capo elevato, e colla sommità del petto: sarà una bella spiegazione; ma per me non è molto propria e credo quel sublimi posto con anhelitu un aggiunto quasi ozioso, o per lo meno meschino. Stimo assai meglio accentare ed intendere come segue:

[ocr errors]

Sublimi, fugies mollis anhelitu,
Non hoc pollicitus, tuae.

cioè tu mollis, fugies anhelitu; non pollicitus hoc Sublimi tuae. Trattandosi di un ratto di quella celebrità; di Elena figlia di Giove e Leda, sorella di Castore e Polluce, Moglie di Menelao; di un Vaticinio fatidico di Nereo concitato e sdegnoso: non può dire Orazio, in voce di lui, così secco, secco il pollicitus tuae a Paride ebro d'Amore. Non si ricorda ad uno qual sia l'amata sua, per quanto modesta ed umile, senza un aggiunto lusinghiero qualunque, come a dire: la tua bella, la tua buona, la tua cara; e Nereo non chiamerà Elena rispetto a Paride se non, la tua?

V. 13.

ODE XXIV.

Quod si Threicio blandius Orpheo
Auditam moderere arboribus fidem;
Non vanae redeat sanguis imagini,
Quam virga semel horrida, etc.

[ocr errors]

L'ill. Stallbaum adotta la lezione quid in posto della comune quod, e l'altra num in luogo di non, ponendo un interrogativo in fine del v. 18: e dicendo (De Vita et Script. Horat.) Vulgo quod si Threicio etc.: sed recte, quid si Threicio Sebbene questa lezione sia citata dal solo Jano, pure sembra sia da ammettere. Così leggendo, non vi ha dubbio che si introduce un complimento a Virgilio assai grazioso ed onorifico: giacchè se col quod si ed il non, Orazio dice a Virgilio: Avessi tu pure la cetra di

[ocr errors]

Orfeo, nulla otterresti: col quid si ed il num porrebbe invece il dubbio, se Virgilio, colla cetra di Orfeo da lui toccata, non sapesse rinnovare il miracolo di Euridice dicendogli: Che cosa avverrebbe se tu sposassi la potente tua vena alla Cetra di Orfeo? forse che (num) torneresti in vita quell'ombra? E senza dire la cosa impossibile, concluderebbe sclamando, essere ora cosa dura ed irreparabile. Ed io l'ammetto questa correzione perchè mi sembra voluta dalla sana critica: ma tanta lode da parte di Orazio a Virgilio, suo Amico è vero, però pari ed emulo, sembrandomi soverchia; io riterrei il quid si e il non: e attribuendo ad errore di Amanuense l'incavalcatura de' versi 17 e 18, come pare sia voluto dal sentimento, così scriverei ed accenterei questo luogo, per chiarezza maggiore: Vedi pure Lib. I, Od. 10, v. 18:

Quid, si, Threicio blandius Orpheo,
Auditam moderere arboribus fidem?...
Non vanae redeat sanguis imagini!
Quam, virga semel horrida,
Nigro compulerit Mercurius gregi;
Non lenis, precibus fata recludere!...
Durum: sed lenius fit patientia,

Quidquid corrigere est nefas.

Di questa guisa il Poeta chiamando Virgilio degno di trattare la Cetra di Orfeo, e movendo il dubbio se avesse forza con essa di rinnovarne i portenti: col negare la possibilità di tanto, dopo al lusinghiero complimento fattogli; viene a dirlo non sopra di sè al punto, da vincere col canto, novello Orfeo, la potenza del Fato.

V. 3.

ODE XXVII.

verecundumque Bacchum Sanguineis prohibete rixis.

Vi ha fra i Chiosatori chi vuole dato a Bacco questo aggiunto pel di lui aspetto giovanile ed ingenuo; altri

« PreviousContinue »