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Me

fondate.... E in quanto ad Orazio; venendo egli a dire di sè a Mecenate, fin dal primo suo Carme direttogli doctarum hederae praemia frontium Dis miscent superis — fa egli prova di quella verecondia e di quella riverenza, che poi attesta verso di lui Lib. I, Sat. 6, vv. 55-57 e Lib. I, Ep. 7, vv. 37-38? E supposto anche volesse esternare questa albagia; quale Poeta sovrano, si sarebbe egli accontentato della Corona di Ellera? No: ed espressamente da sè lo dice a Mecenate medesimo Lib. I, Ep. 19, v. 26 così parlando Ac ne me foliis ideo brevioribus ornes, Quod timui mutare modos et carminis artem etc. cioè: perchè tu non abbi a cingermi la Corona di corte foglie, ossia di Edera (Vedi la Nota al Lib. I, Od. 19, v. 26) come semplice dotto ed imitatore, anzi che l'altra a lunghe foglie (quella di Alloro) propria de' Poeti sublimi e de' Trionfatori, perchè Poeta originale, etc. E allora come ammettere per più vera la lezione Me invece che Te doctarum etc.? la stessa Ode 30 del Lib. III lo vieta, e così la 3. del Lib. IV. Di più; conservandosi il Me, si vegga un poco in quale guazzabuglio di idee viene a mettersi Orazio, arrogandosi di per sè quella onoranza, che poi in fine del Carme nettamente si aspetta da Mecenate. Egli dice dapprima, pieno adunque di fumo e di orgoglio: La Corona di Edera premio de' Dotti Uomini, porta Me a sedere frammezzo agli Dei Supremi indi aggiunge; Il canto delle Ninfe e de' Satiri mi separano dal volgo, se Poliimnia ed Euterpe mi ajutino: - in ultimo conclude: Se tu, o Mecenate, mi poni fra i Poeti Lirici, allora io toccherò il Cielo col capo. Domando io: quale successione, quale nesso regolare di idee, si trova fra questi concetti? Io non so trovarlo; bensì lo veggo se io legga:

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- I tuoi meriti o Mecenate ed il tuo sapere portano Te a sedere fra gli Dei: Poliimnia ed Euterpe, coll' assistenza loro, dividono Me dal volgo: se tu mi annoveri fra' Poeti Lirici, io pure giungerò a toccare le stelle col capo. - Così io ritrovo una regolare catenazione fra queste idee: e per

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ciò parmi di ragione il concludere che Orazio scrisse veramente Te doctarum hederae praemia frontium Dis miscent superis poichè così consigliano il buon senso e la logica; se anche fu scritto diversamente nel Codice per noi più Antico, dal quale poi ci vennero i mille altri fino ad ora conosciuti.

ODE IV.

V. 16. Jam te premet nox, fabulaeque Manes

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Abben

Il Mureto raffronta questo verso coll' altro di Persio Sat. V, v. 152 cinis et Manes et fabula fies spiegando con tutti quanti i Chiosatori - Manes fabulosi chè Orazio si dica - parcus deorum cultor - locchè però non vuol dire nullus; io non so tenerlo risore del proprio culto a segno, da chiamar favole gli Dei Mani. La sua Ode 6.a del Libro III.° lo mostra ben altro, e così pure si fa conoscere altrove meno che irriverente verso gli Dei e le cose divine. Io dico dunque Persio il migliore interprete qui di Orazio: e come quegli esprime per me - fies cinis, et Manes, et fabula i. e. confabulatio inter superstites. Orazio ora dice te premet nox, et Manes, et fabulae, i. e. confabulationes, viventium de te.

V. 8.

ODE V.

Emirabitur insolens,

Qui nunc te fruitur credulus aurea.

ut

Fa maraviglia al Bentlejo che Orazio abbia creato questo vocabolo, il quale, sebbene si riporti da tutti i Codici, non si legge altrove: egli proporrebbe per questo la lezione mirabitur insolens. Eppure questo verbo calza qui molto bene per me, ed è molto esprimente: poichè si viene a dire heu quoties (a latere illius amotus) emirabitur i. e. mirabitur e (longe), insolens i. e. insolitus, inexpertus, fendo (attonitus) mutatam fidem -.

V. 17.

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Io

L'ill. Doering segue la lezione strictis proposta dal Bentlejo, dicendo nam proprium vix dici potest, ungues secare in h. e. contra aliquem: deinde fere ridiculum est si virgines acres i. e. iratae, unguibus sectis, tamquam armis, in juvenes usae dicuntur. Egli conviene però che da molti sono descritte simili baruffe amatorie di giovani, scagliantisi in rabbia colle unghie addosso ai vaghi loro. Ma quali esempi poi cita il ch. Bentlejo, persuasore del Doering, a pro della lezione strictis? Eccoli: Ovidio che dice Amor. Lib. I, El. 6, v. 14 Non timeo strictas in mea fata manus e Trist. Lib. V, El. 2, v. 30 Ut taceam strictas in mea fata manus e Stazio che dice dell'Aquila Theb. Lib. III, v. 535 et strictis unguibus instat questi esempj a dir vero li trovo persuadenti assai poco, per aversi a cangiare la lezione. Osservando i primi due, si vede chiaro parlarsi di colpi con mani serrate a pugno: e se così intende il Bentlejo; non mi pare felice l'espressione stringere ungues per serrare i pugni; se si esamini il terzo, dice assai più di quello che disapprova come tratto incivile e villano; perchè invece di graffi, si parla di robusti e pungenti artigli, che stringendosi insieme s'infiggono e straziano. È dunque da ritenere la lezione sectis, male a proposito da varj abbandonata; colla quale Orazio non volle già dire ungues secare in aliquem; siccome s'intende dal Doering: ma bene praelia acrium virginum in juvenes (sed) sectis unguibus per significare che egli canta non le ire e le risse di giovani di bassa mano, delle quali dice Lib. I, Epist. 19, v. 46 et luctantis acuto ne secer ungui ma le bizze incruente di

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giovani civili e galanti, che si lanciano accese ed irose contro i loro Amatorised bene sectis et curatis unguibus.

V. 21.

ODE IX.

Nunc et latentis proditor intimo
Gratus puellae risus ab angulo,
Pignusque dereptum lacertis

Aut digito male pertinaci.

La spiegazione di tutti i Chiosatori è la seguente: Ora siati grato il riso indicatore della tua fanciulla appiattata in un angolo per farti dolce sorpresa e si portano in esempio questi versi attribuiti a Cornelio Gallo Eleg. I, vv. 67-70 - Et nunc subridens latebras fugitiva petebat, Non tamen, effugiens, tota latere volens: Sed magis ex aliqua cupiebat parte videri; Laetior hoc multo, quod male tecta foret- quasi che essi siano una imitazione di questo luogo di Orazio, anzi che dell' altro di Virgilio Bucol. Ecl. III, v. 64, 65 Malo me Galatea petit, lasciva puella, Dum fugit ad salices, et se cupit ante videri. Ma riferendosi qui, come si vuole, ad Amori di fanciulle di già adusate agli scherzi ed alle gherminelle amatorie, mi pare che poco c'entrino que' moti ingenui e semplici, coi mal contrastati pegni rapiti dal dito o dal braccio; perchè cose da Amori non vergini, e novi. E siccome è detto nel v. 20 Ora per te giovinotto, gli abboccamenti secreti nella piazza ad ora posta e appuntata, (composita hora) credo qui voglia aggiungere e le avventure novelle d'Amore Io sono quindi molto inclinato a costruire ed intendere questi versi nel modo che segue Nunc i. e. aetate hac tua virenti, gratus (est) risus ab angulo intimo (januae forsan), proditor (tibi) puellae latentis; et pignus dereptum lacertis, aut digito male i. e. molliter, egre, pertinaci alludendo così, come stimo essere mente di Orazio, ad avventure ed amorotti novelli, quali di questa guisa si offrono ai giovani dameggianti, al rinovellarsi di primavera.

-.

V. 6.

.....

ODE XI.

sapias, vina liques, et spatio brevi Spem longam reseces.

--.

Gli Espositori quasi tutti spiegano il vina liques nel senso di percoles, cioè, cola e purifica i vini: ma questo consiglio non va con un bisogno del momento e con quel che segue. Forse è per ciò che il Mureto approva coloro che spiegano il vina liques dicendo sacculis et colis nivariis vina percolare et liquare, ut fiant frigidiora et liquidiora, sicut erat veterum in deliciis Meglio però diede nel segno il Landino così spiegando - paulatim potando consumas: ergo liques pro liquefacias, quasi destillese questo appunto è il bere a centellini, ora indicato; il gustare finamente i vini o libarli, premendoli fra il palato e la lingua, per ben goderli, e spaziarli per tutta la bocca. Anche questo luogo è, come l'altro dell'Ode IV superiore, chiaramente spiegato da Persio Sat. I, v. 34, ove dice del recitante smanceroso Phyllidas Hypsipilas, vatum et plorabile siquid, Eliquat; et tenero sustentat verba palato - cioè si distempera nella bocca.

V. 6.

ODE XII.

Aut super Pindo gelidove in Haemo?
Unde vocalem temere insecutae

Orphea silvae,

Stimo riesca assai meglio questo luogo accentato così:

Aut super Pindo gelidove in Haemo;

Unde vocalem temere etc.

Portando il punto interrogativo in fine del v. 12. Ducere quercus? non torna egli di questo modo più piano il discorso? mi par di sì.

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