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cipe d'ascoltarla; i quali Strabone riputò tanto, che stima gli Efesj tutti degni d' essere strozzati infin all'uno, per aver dato l'esiglio a tal' huomini. Dipoi i Pareggiatori, onde credono di sostenere tal favola, indi le fanno sopra cader la rovina: perchè, se per buona ventura a capo tre anni, che stiede fuori l'Ambasciaria per le Leggi, non si ritruova vivo Ermodoro in Roma, che gliele interpetri, i Romani non sanno essi che fare delle leggi greche, le quali si avevano portato dentro delle balici. Non sono queste inezie più ridevoli di quelle, che dintorno a questo fatto istesso racconta la Glossa del pazzo Romano, e del Filosofo Ateniese, posti a disputare tra loro dintorno alle più alte verità rivelate della nostra santa Religione, le quali noi qui ci vergogniamo di riferire? Nè i Pareggiatori si salvan punto, perocchè Pomponio Giureconsulto faccia Ermodoro non Interpetre, ma Autor del Consiglio a' Romani, donde essi potevano mandare a domandare le leggi. Perchè questo sarebbe stato un fatto somigliantissimo a quello d' Anacarsi Scita, ricolmo d'innarrivabil Sapienza barbaresca, che dice l'Ornio; e ritornato dalla Grecia nella sua Scizia, volendo addimesticare con le leggi quella barbara nazione, non le seppe esso truovar da sè con la Filosofia barbaresca dell' Ornio, e volendola ordinare con le leggi di Grecia, funne ucciso dal Re Candido, suo fratello: così Ermodoro Principe di tanta virtù e sapienza non seppe da se dar le leggi a Romani, per ordinare tra essoloro la popolar libertà, e come un viaggiatore mercadante dar loro la notizia, da quali Città libere di Grecia potessero andarle a domandare. La Statova poi d'Ermodoro, che scrive Plinio, essersi veduta ai tempi suoi nel Comizio, è da porsi nel Museo dell'ignorante Credulità insieme con la Colonna dell'Osservazioni celesti avantidiluviane mostrata a Giuseffo nella Siria, col treppiedi da Esiodo consegrato ad Apollo nel Monte Elicona, con le statove di Laomedonte e Laocoonte iscritte con lettere volgari, che si videro per la Grecia; le quali antichità sono state tutte da noi sopra confutate, e con tutte quelle de' tempi barbari ricorsi, le quali tuttavia dal volgo delle città, ove si sono immaginate, si dimostrano agli stranieri; come presso l'antica Cuma la Grotta della Sibilla Cumana, nel capo di Pausilippo la Scuola dove Virgilio insegnava d'Arte Poetica, e in Napoli in

San Giovanni Maggiore il Sepolcro della Sirena Partenope col segno della Santa Croce, e iscritto con lettere gotiche.

Ora scorriamo brievemente esse Tavole, e vediamo, che diritto Ateniese vi fu trapportato. Nella Tavola I. v' ha un Capo, che 'l Pretore abbia ferma la transazione della lite fatta tral reo e l'attore, mentre questo menava quello da lui; e Demostene nell'Orazione contro Parteneto recita questa legge di Solone: come se non l'avesse insegnato a tutte le nazioni la Ragion Naturale, che si osservino i putti, almeno per la difesa, la qual è da essa Natural Ragione dettata! In un altro Capo, ch' al tramontare del sole terminassero i Giudici di conoscere le cause; e Samuello Petito osserva che gli Arbitri in Atene conoscevano le cause fin alla sera. Ma ogniun sa, che tutti gli Antichi infin a sera attendevano a' negozj, e che poi andavano a' bagni, e appresso cenavano, onde di essi le cene si leggono, e non gli pransi. Nella Tavola II. che'l ladro di notte in ogni modo, quel di giorno, se si difendesse con armadura, fusse lecito uccidere; la qual Legge di Solone recita Demostene contro Timocrate. Ma questa fu anco legge giudiziaria degli Ebrei, come osserva Rufino, Pareggiatore delle Leggi Romane con le Mosaiche; talchè dovette Solone portarla agli Ateniesi da Palestina. Nella Tavola VIII, che i Collegj delle Arti non facciano leggi contrarie alle pubbliche; e Samuello Petito e Claudio Salmasio ne rincontrano una legge di Solone: perchè certamente può vivere una Repubblica, nella quale i Corpi dell'Arti combattano con lo Stato! Nella Tavola IX. che i giudizj criminali non sieno ordinati con leggi singolari; e Giacomo Gotofredo ne ritruova una simile di Solone. Ma troppo di tempo vi volle, che Lucio Silla con leggi criminali universali ordinasse le quistioni perpetue. Nella Tavola X, per Giacomo Gotofredo si proibisce il lusso de Funerali; e Cicerone osserva, che i Decemviri il vietarono quasi con le stesse parole, con.le quali l'aveva proibito Solone: perchè sc n'era introdotto in Roma il lusso alla moda greca, altrimenti, che sapienza sarebbe stata d'insegnarlo vietando: lo che avvenne molto dopo questi tempi; e per gli nostri Principj della Logica Poetica, ne fu appiccata cotal legge ai Decemviri. Del gius prediutorio dice Gajo Giureconsulto, ch' i Romani avevano una legge arbitraria ad esemplo d'una Attica di Solone: il qual gius era

tanto tenuto a vile, che Quinto Muzio Scevola, Principe de Giureconsulti della sua età, ove n'era domandato, mandava per le risposte i litiganti a Furio e Cassellio prediatori, ch' erano, com'oggi sono i Tavolarj del nostro Sagro Regio Consiglio. Di questa et altre poche leggieri cose vennero le leggi da Atene in Roma, per comporre la gran contesa della plebe co'padri; che per sedare fu bisogno di cangiare la forma del Governo, e criare i Decemviri, i quali la comandassero !

Ma per Dio vedemmo in quest' Opera tutti gli ordini necessarj allo stato Monarchico essere stati osservati da Gian Bodino gli stessi affatto in sostanza tra gli Ebrei, Romani, Turchi e Francesi, e sol variare nel suono delle parole di tai quattro lingue diverse; nè per tanto la Legge Regia di Samuello, con la quale per ordine di Dio fu Saulle ordinato Re, fu portata d' una in altra all' anzidette nazioni. Però questo pur è un ragionare da' simiglianti; prendiamo dalle viscere di essa cosa le pruove. Essi Pareggiatori Attici non rincontrano le leggi di Solone con niuna di tutte quelle, che fanno il maggior corpo del Diritto Romano: le quali sono dintorno al connubio, alla patria potestà, alla suità, agnazione, gentilità, alle quindi provenienti successioni legittime, all' usucapione, alla mancipazione e stipulazione, le quali entrambe davano la forma a tutti gli atti legittimi, co' quali i Romani, fussero o tra vivi, o nell'ultima volontà, celebravano tutte le loro civili faccende: i quali, perchè nel Diritto Universale si sono ridutti ad un'esatta divisione, e spiegati con la loro propietà, ci piace qui rapportare.

Namque actus legitimi, de quibus neque lex decemviralis, » neque lex ulla Regia, neque Consularis, neque Tribunicia >> concepta est; sunt formulae agitandi Romani juris a gentibus » minoribus inventae ad jus nexi, mancipiique in Legem XII. » Tabb. defluxum accommodatae; quos a Papiniano confusim stri>> ctimque numeratos sic omnes diggesseris et explicaveris. Si >> autem sunt manumissio, adoptio, tutoris datio, testamenti fa» ctio, cretio, optio, mancipatio,nexus traditio, acceptilatio, in jure » cessio, his enim acquiritur vel potestas in se ; idque agebatur » vel manumissione; eâque vel unâ et vera, si servus; sin liber, » nempe filiusfamilias, trinâ et imaginaria: vel acquiritur po» testas in alios; eaque vel in uxores et filios; idque agebatur

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» justis nuptiis, vulgo per conventionem in manu; inter Sacer» dotes autem coëmptione, et farre; quae utraque erat species mancipationis: vel acquiritur potestas in filios tantum; idque agebatur adoptione, vel in servos; quod utrumque agebatur mancipatione, nempe hominum liberorum, simulatá; servorum » vera; vel acquiritur potestas in pupillos; idque agebatur tuto»ris datione: vel acquiritur dominium rerum per universitatem, » et agebatur testamenti factione per aes et libram, quae manci» patio quaedam erat, unde Familiae venditor, et familiae em» ptor dicti ; cui successit postea testamentum praetorium (in» venta scriptura vulgari), uti ante Legem XII. Tabb. erat testa» mentum celatis comicis ; et ea acquisitio fiebat cretione; cui » postea successit deliberatio, demum aditio: vel acquiritar » dominium rerum singularium ex ultima voluntate; idque age» batur rei legatae optione; praeter autem eam caussam cetera legata cretione heredis, legatariive acquirebantur: vel ac» quiritur dominium rerum singularium inter vivos; et tunc id » mancipatione, et nexus traditione agebatur; alioqui usuca» pione opus erat anni vel biennii, prout res mobilis erat, vel » soli: et usucapio tunc erat dominj adjectio, qua dominio bo»nitario acquisito ex naturali traditione adjiciebatur dominium » ex jure Quiritium usucapione: vel acquiritur obligatio ex » contractibus, aut pactis, et in stipulationem erat transfunden» da; quae postea acceptilatione tolleretur: vel postremo acquiritur dominium adjudicatione, idque agebatur cessione in » jure. Quapropter tales fuere, non alii, quia vel ad acquiren» dum, vel ad solvendum, alienandumve sive potestatem, sive » dominium, sive obbligationem jure optimo pertinebant: ideo » nec plures, nec pauciores; quia sic omne acquisitionis, 30»lutionis, et alienationis negotium jure optimo transigebatur.

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Ora qui diamo ai Pareggiatori Attici questa miserevole elezione, qual essi più tosto vogliono delle due; se tutte queste leggi sieno state native del Lazio, o sien venute da Grecia: se rispondon il primo, sono perduti'; perchè su queste leggi, donde era nato, crebbe in casa e si formò tutto il vasto Corpo del Diritto Romano: se rispondono il secondo, qui si veda d'huomini per tro in erudizione chiarissimi, e valenti critici degli Scrittori, che Cimmeria grotta di tenebre è la loro memoria, ond' esce

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una densissima notte di errore ch' ingombrava loro l'intendimento! che mostro di assurdezza si nasconde nella lor fantasia, come sopra dicemmo di tutt'i Critici sì fatti nell'incominciare i Principj di questa scienza, che senza niuna di quelle leggi, le quali regolano l'iconomiche e civili faccende degli huomini, fanno vivere i Romani fin al trecento e tre di Roma, dentro il qual tempo avevano ingrandito un potente Regno nel Lazio: lo che non può farsi ragionevole, che con la giustizia del secolo dell'oro, con la qual Ermogeniano ci disse in quest'opera essersi dapprima divisi i campi, e custoditi i termini, fino che venissero le Città; e che perciò i Romani fussero stati gli Eroi del Mondo, perchè serbarono la giustizia dell'età dell'oro fino che le leggi vi fussero portate da Atene! Ma cotesto Eroismo galante avendo noi in questi libri dimostrato esser una fola, una vanità, e fattala vedere sulla Storia Romana certa dentro il tempo di cotesta finor cotanto ammirata Romana virtù, stabilito da Livio fin alla guerra con Pirro, più disteso da Sallustio fin alle guerre Cartaginesi, co' superbi, avari e crudeli costumi de'Nobili contro la povera plebe Romana; essi Pareggiatori ove credono di sporre i Romani in comparsa di Semidei, ne vanno a fare gli eslegi della vita bestiale, e nefaria, onde debbono i deboli più tosto esser ricorsi in Atene a salvare le loro vite dagli empj violenti di Obbes all'altare degl' Infelici di Teseo, com' abbiamo sopra spiegato, che all'Areopago per aver le leggi da ordinare la loro popolar libertà. Oltrechè qual libertà popolare era da ordinarsi in quella Città, nella quale fin al trecento e nove, ch'è tanto dire, quanto sei anni dopo esser venuta cotal Legge da Atene, la plebe Romana non era di cittadini, i quali lo 'ncominciaron ad essere col comunicarsi loro da' Padri il connubio, come sta pienamente in questi Libri pruovato. E sono essi Pareggiatori necessitati di convenirvi; i quali dopo avere con minuta diligenza nelle dieci Tavole riportato le leggi confacenti alla libertà popolare, e particolarmente la testamentaria; per la quale vedemmo sopra, che Agide Re di Sparta, Repubblica Aristocratica, perchè voleva comandarla a pro della plebe Spartana, funne fatto impiccare dagli Efori; la qual legge Giacomo Gotofredo rapporta nella Tavola XI. in quel Capo auspicia incommunicata plebi sunto; e la rapporta in una

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