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Principi, da Augusto incominciando, si posero in mano la forza dell'armi, per far godere a' Romani l' ugualità nelle Leggi ch'è una delle massime propietà della Monarchia, che sieno i potenti a' deboli con le Leggi uguagliati, e 'l solo Monarca vi sia in civil natura distinto: con la qual ugualità quelli Romani, ch' in pochi altri anni si sarebbero tutti spenti con altre guerre civili, si salvarono, e vissero tanti secoli appresso in luminosissima nazione: ch'è L' Eterna Natural Legge Regia, ch'abbiamo ragionato nel V. Libro; con cui le Nazioni dentro essoloro medesime vanno a fondarvi le Monarchie. Perchè il Marmo Capitolino, ch'arrecano per pruovare tal Favola, altro non contiene, ch' una formula di giuramento di fedeltà che 'l Senato dava agl' Imperatori; e quindi a poco vedremo con quanta libertà se'l facesse: se non pure prima il Senato portava ne'rostri le formole delle Leggi, che 'l popolo voleva comandare; in questa il popolo portò la formola nella Curia, acciocchè la comandasse il Senato e quindi si veda che assurdo, che mentre gli Eruditi si sforzano col Marmo Capitolino legittimare la Monarchia, fanno la Romana Repubblica da libera popolare divenir Aristocratica! Ma essi da un certo senso occulto rimorsi, non soddisfacendosi del Marmo Capitolino, si disperano, che non truovano una qualche medaglia, che gli accertasse del tempo di cotal legge. Poichè altri niegandolo di quelli d'Augusto la vogliono comandata a' tempi di Tiberio, sotto di cui gli più nobili Romani vilissimamente inchinavano l' atroce fasto di un gentilominuzzo di Volsena Elio Sejano; altri la richiamano a' tempi di Claudio; sotto il quale i Signori delle più splendide case Romane si recavano a somma fortuna di far la corte a tre vilissimi schiavi Narciso, Parlante e Licino, affranchiti da quello stolido Imperadore: altri la vogliono comandata ne' tempi dopo Nerone: sotto il quale il Senato, nonchè caduto in vilissimi ossequj, per gli quali assai minori molto innanzi lo stesso Tiberio, il quale odiava a morte la verità, con forte disdegno in uscire dal Senato una volta disse ad alta voce: o homines ad servitutem paratos! volendo dire, che erano gli schiavi già per natura, che dice Aristotile, i quali naturalmente non possono viver liberi: ma precipitato nel fondo delle più scellerate adulazioni; ch' i rendimenti di grazie, le quali

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prima soleva determinare agli Dei per grandi benefizj da quelli fatti al popdlo Romano; sotto quel mostro de' Principi le decretavano per le più orrende scelleratezze da lui commesse,come, per cagion d'esemplo, d'aver fatto uccidere empiamente la sua madre Agrippina. Di questa Libertà era Signor il Senato, quale col Marmo Capitolino trasferì negl' Imperadori! E dopochè l'Imperio Romano, al dire di Galba appo Tacito, era stato come retaggio della casa de' Cesari per cinque Imperadori; e'l popolo aveva pazientemente sopportato le funeste malinconie di Tiberio, i rovinosi furori di Caligola, le perniciose scempiezze di Claudio, e le in sommo grado vergognose ed immani dissolutezze di Domizio Nerone; dopo le tre sanguinose tempeste, per le quali aveva naufragato in un mare di sangue civile nelle guerre di Galba, Otone, e Vitellio; e che non per altro aveva ucciso Galba per Otone, che perchè questi somigliava Nerone e nel sembiante, e ne' costumi dissolutissimi: come stata fusse una tradizione di un podere, vogliono con la formola di cotal Legge cautelato Vespasiano: che con la sua virtù e sapienza fermò il Romano Imperio pericolante: tantochè per augurio di felicità gl'Imperadori appresso presero il di lui cognome di Flavio: dopo tutto ciò, diciamo, il vollero cautelato con la formola di cotal Legge, di avergli trasferito il Romano Imperio; del qual essi co' costumi, e co' fatti, co' quali si sperimenta, e da' quali si estima il Diritto Natural delle Genti fin da'tempi di Augusto se n'era di già spogliato; il quale Tacito sappientissimo del Gius pubblico: la qual scienza bisognavu, per essere, qual fu, gran Politico, legittimo Monarca con la Natural Legge Regia, che nel V. Libro abbiamo noi ragionato; conceputo in quel motto: qui cuncta discordiis civilibus fessa nomine Principis (non già con la formola cautelata da Triboniano) SUB IMPERIUM ACCEPIT; che gliel' aveva offerto e dato essa Repubblica per truovar rimedio a' suoi propj gravissimi mali, da' quali era guasta e corrotta in tutte le parti sue che pur Tacito dice: non aliud discordantis patriae remedium, quam ut ab uno regeretur: e così in fatti col senso comune del Gener' Umano, il qual è'l giusto estimatore del Diritto Natural delle Genti, tutte le Nazioni convengono, Augusto aver fondato la Monarchia de' Romani.

COROLLARJ

Da questo Ragionamento escon i seguenti Corollarj, i quali contengono verità le più importanti di tutte l'altre, che si son intese in quest' opera..

I. Confutato il grande comun'errore de' Dottori, i quali ragionano del Gius pubblico con le regole del Gius privato.

II Che l' Imperio delle Leggi va di seguito all' Imperio dell'armi, non, come volgarmente si è oppinato, al rovescio.

III. Che perciò con un comun senso umano tutte le Nazioni conferiscono maggior onori alla milizia armata, ch' alla milizia palatina.

IV. Che 'l Gius Civile si celebra tra' Cittadini, perchè sono soggetti ad un sommo Imperio d' armi comune; e perciò non resta loro altro, che contendere di ragione.

V. Che 'l Diritto Natural delle Genti è un Diritto della Forza pubblica, il quale corre tra le civili Podestà, le quali non hanno un Diritto Civile comune.

VI. Ch'i Trattati de' Principi tra esso loro sono materie del Diritto Natural delle Genti; perchè sono sostenuti dalla forza, ch'essi Principi esercitano tra loro; ed altre Potenze non se ne risentono, e molto più se vi convengono anch'esse; e più di tutti se esse le garantiscono.

VII. Che i Regni, e gli Imperj, non, come le private servitù, s'introducono con la pazienza de' sudditi; ma che essi sudditi co' loro costumi, i quali sono segni della nostra volontà più deliberati e gravi, che non sono le parole, e le loro formole; perchè sono tanto volontarj, che niuna cosa piace più, che celebrare i propj costumi; essi vi convengono, e gli stabiliscono; e quello, pauci bona libertatis in cassum disserere, sono velleità, perchè la volontà efficace è, con la quale, per celebrar i loro costumi, vivono soggetti al Monarca.

VIII. Che non si può far forza ad un intiero popolo libero, il quale non è intiero, se non sono tutti, o la maggior parte di tutti; il qual ha quella magnanima disgiuntiva, spiegata con Vico, Scritti inediti.

quella sublime espressione, aut vivere, aut occumbere liberos: come il mostrarono quattromila Numantini, non più, d'una picciola città smurata, i quali disfecero più Romani eserciti, e rendettero il loro nome sì spaventoso ai Romani, ch' in udir Numantino fuggivano: tal che fu di bisogno d'uno Scipione Affricano, ch'aveva in Cartagine vinta stabilito a Roma l' Imperio del Mondo, per vincerla, e pure non ne riportò altro in trionfo, ch'un mucchio di ceneri inzuppate del sangue di quelli eroi.

IX. Che l'Eroismo de' primi padri sulle Famiglie de' Famoli nello stato di natura, e poi de' Nobili sulle plebi de' primi popoli nello stato delle città, che perciò nacquero Aristocratiche, egli nelle Repubbliche popolari conservato col comandare le buone Leggi, ch' Aristotile ci disse, essere volontà di Eroi, scevere di passioni; dissipato poi, e disperso con le guerre civili, si riunisce nella persona de' Principi, ch' indi provengono; i quali perciò sono i soli distinti in civil natura, che con le leggi tengono tutt'i soggetti uguagliati.

X. Esser falso, che nella setta de' tempi umani il Diritto naturale tenga in dovere le Nazioni col pudore; ma che tal setta solamente glielo fa intendere, per esserne obbligato; perchè se gli huomini non l'adempiono, si costringono con le Leggi giudiziarie ma i Sovrani Principi sono soli quelli, che non potendo esser costretti dentro da niuna umana forza, sono menati dal lor pudore ad osservare le Leggi: perchè essi soli sono tenuti dal Diritto Naturale delle Genti, fuori con la forza dell'armi, e dentro col pudor naturale: lo che Tacito sappientissimo di cotal Diritto ben avvertì, ove trattandosi in Senato di moderare con le Leggi suntuarie il profusissimo lusso delle cene, Tiberio rispose, che non abbisognavano, con quel motto pieno d'un' elegantissima sapienza civile, pauperes necessitas, divites satietas, nos PUDOR in melius vertet: che è la profonda, e finor nascosta ragione della Legge, digna vox.

XI. Perciò esser falso quello

Regis ad exemplum totus componitur Orbis;

ma esser vero tutto il contrario: perc hè i Sovrani Principi,che per lo Corollario precedente sono per natura civile gentilissimi, si vergognano di vivere diversamente dalla maniera con

la quale vivono i popoli: onde in un luogo di questi libri dicemmo, che i pubblici e veri, e, perchè pubblici, veri maestri de' Principi son essi popoli. Nerone, ed altri cattivi Imperadori vennero dissolutissimi e fierissimi, perchè nacquero in tempi, ch'erano all'eccesso dissoluti e fieri i Romani; i quali gli agi, le delicatezze, i lussi avevano renduto vilissimi, e quindi codardi con volti finti di traditori ed assassini simulavano l'amicizie per farsi la fortuna sopra le teste mozze, e le case rovinate de' loro amici; i quali scellerati costumi, perchè uscivano da nature affatto guaste e corrotte, le quali co'pravi esempli si formavano loro dalla fanciullezza, e si fermavano con l' età, i Principi buoni, con gli esempli buoni loro non ammendavano, ma quasi corrente di furioso fiume reprimevano a gran pena. per lo lor tempo; lo che è tanto vero, che se continuarono più di questi, quelli più violentemente proruppero; onde uscirono Principi più cattivi: come, dopo i buoni Vespasiano e Tito, videsi rinnato Nerone in Domiziano; da' buoni Nerva, Trajano, Antonino Pio, Marc' Aurelio Filosofo, venne il brutto di Commodo; tramò alla vita del bellicoso Pertinace un Sacerdote della Santa Giustizia, per dirlo con la frase di Ulpiano, qual egli fu il Giureconsulto Didio Giuliano, il quale con immense ricchezze porta a vilissimo mercato e si compera il Romano Imperio; al Conquistatore Severo Affricano succede Caracalla fratricida del fratello Geta; e finalmente venne Eliogabalo dall' effeminata mollissima Livia, che fu l'orrore del Gener Umano.

XII. Che la Fortuna degli auspicii, i quali sono tanto propj de' Principi, che per lo Diritto Natural delle Genti, come sta in quest' Opera pienamente pruovato, non posson essi trasferirgli nella persona de' lor medesimi Capitani Generali; i quali perciò si dicono guerreggiare con la loro condotta e comando, ma vincere con la Fortuna de' loro Sovrani, onde ad essi naturalmente ritorna la gloria delle conquiste: tal Fortuna degli auspicii, diciamo, legittima le guerre ingiuste, e i principati sopra i popoli liberi, che è il principio della Giustizia esterna delle guerre e de' Regni, che dice Grozio: la qual Tacito sappientissimo di tal Diritto pone in bocca d'Otone, c'ha volte l'armi de' soldati Pretoriani contro il suo, e loro Imperadore Galba; e'l suo infame attentato pubblicamente nell' adunanza de' sol

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