Page images
PDF
EPUB

Libri ci ha narrato, che rovesciarono tutte le greche città da aristocratiche in popolari, che abbiam trovato essere state le plebi delle Repubbliche Eroiche, e tale nella Storia Romana abbiam letto, essere stata la plebe Romana. Laonde in tal contesa non d'altro trattossi ch' i plebei nessi del dominio bonitario dei campi, che avevano avuto da' Signori per la prima Legge Agraria, che abbiam truovato essere la legge del Re Servio Tullio, ch'ordinò il censo, pianta della libertà de' Signori, il qual essi plebei a' Signori pagar dovessero per gli campi da quelli ad essolor conceduti; da tal rivolta ridutti di nuovo all' ossequio della Romana Signoria, sciolti di tal nodo per quest'Agraria secondu n'avessero il dominio quiritario, ma simile in effetto, non già l'istesso nella cagione, a quello che ne avevano essi Signori: ch'è la forza di quella voce SIREMPSE, la qual è accorciata insieme, e ridondante, come pruovammo nella locuzion poetica essere stati per lo più i parlari delle prime nazioni, che vuol dire simile rempsE, che poi si fece reapse, che vi restò: la qual congettura ci si conferma da que' versi di Plauto nel Prologo dell'Anfitrione; dove Mercurio pubblica questa Legge di Giove, che chiunque procurasse la palma ad alcuno de' comedianti ingiustamente, tal delitto

Sirempse lege jussil esse Jupiter

Quasi magistratum sibi, alterive ambiveril;

talchè essi plebei per questa Agraria seconda restassero nessi del nodo del dominio quiritario, che dà la forma alla mancipazione solenne in quel famoso Capo: Qui nexum faciet mancipiumque, uti lingua nuncupassit, ita jus esto, ch'abbiam dimostrato Fonte di tutti gli atti legittimi; e sì di tutto il Diritto Civile Romano Antico: del qual nodo poscia i plebei furono liberati a capo di cento e sedici anni dalla Legge Petelia: che è la mano regia, il gius incerto e nascosto, delle quali cose si lamenta la plebe appresso Pomponio; onde tanto bramarono cotal legge: perchè i Nobili da Re, qual' essi sono nelle Repubbliche de' Signori, si riprendevano i campi ch' essi plebei avevano coltivati; lo gius de' quali era ad essi plebei incerto, perchè il dominio bonitario non produceva la revindicazione da ricuperarglisi; ond'essi desiderarono un gius certo e manifesto con l' intagliarsi e restar

fisso nelle Tavole: perchè la mano regia di riferir al Senato le pubbliche emergenze, e di ministrare le leggi a chi dimandava ragione, restò divisa a' Consoli con le relazioni in Senato, ed a' Pretori col dar le formole ne' giudizj; e le leggi tenute nascoste dentro l'ordine de' Nobili, nulla in que' tempi appartenevano alla plebe, che, come straniera, non aveva niuna parte di ragione non solo pubblica, ma nemmeno privata nella città. Or di che confusione debbon esser coverti i Pareggiatori Attici, che cotanto si travagliano di pareggiare il Diritto Attico col Romano; e quel gius del nodo, ch'essi non ardiscono dire, e venuto da Grecia in Roma, perchè nella Storia Romana ne odono gli strepiti e i rumori innanzi di cotal legge, è l'unico affare che si definì in quella contesa, e se ne concepì il Capo de'FORTI SANATE NEXO SOLUTO, ch'essi tutti non intesero affatto!

VII.

De' Motivi onde tal Vero restò seppellito fra tanto Falso.

,esser

Le cagioni, onde tal vero ci venne ricoperto di tanto falso, oltre alle due generali delle due borie delle nazioni, e de' Dotti, furono particolari queste seguenti: I. L'Ambasciaria, che fu un pretesto de' Padri, ch'essi non ne sapevano concepire la formola, in que' tempi, che tutte le ragioni erano dalle formole contenute per ciò, ch'appieno abbiamo dimostrato dintorno al Diritto Eroico; con isperanza che frattanto da cosa nascesse cosa, e governandola il tempo, cotal ardore della plebe si raffreddasse; il quale per tre anni, che tanto durò l' Ambasciaria, col frapporvisi di più in mezzo una pestilenza, nulla punto s'intiepidì. II. Le tante Leggi, che contiene, in tante Tavole, furono appresso intagliate dalla maniera poetica di pensare de' popoli eroici, che noi scuoprimmo nella Logica Poetica, e vi arrecammo questa Legge ne' Corollarj: ch' ogni legge, ch' appresso si scriveva, come la Legge contra il lusso de' Funcrali, per questa parte di libertà popolare, ch'ella fosse scritta, s'appiccava a'Decemviri, ch'avevano scritta la prima; siccome tante leggi, che favorivano alla popolar libertà, avevano appiccato a Servio Tullio, ch'ordinò il censo, perchè incominciò con quello a sol

levare la povera plebe oppressa da' nobili. III. La moltitudine e diversità dell'oppenioni, dond'ella fosse venuta in Roma, nacque dalla stessa maniera di pensare poetico delle prime nazioni; ma a rovescio di quello, ch' ovunque i Greci eran iti per lo Mondo, vi avevano osservati sparsi i loro Cureti, i lor Ercoli, i lor Evandri, come si è appieno sopra pruovato; i Romani per dovunque uscirono, videro gli stessi costumi nel Lazio, nell'Italia, nella Magna Grecia, e nella Grecia oltre mare, di cui le più luminose Città furono Sparta ed Atene, che la divisero tutta in due parti nella guerra Peloponnesiaca fatta tra loro per lo Imperio del mare di Grecia; onde Tacito disse, indovinando, il vero, che in cotal Legge si era raccolto il fiorfiore delle leggi di tutte le nazioni del Mondo; e finchè durò la Giurisprudenza Antica, che fu finchè Roma fu Repubblica Aristocratica, nella quale la Giurisprudenza fu rigida, ch' avea per objetto la civil equità, la legge si disse venuta da Sparta, che fu Repubblica Aristocratica, ma invigorendo poi la Giurisprudenza Nuova, ch'è benigna, ed ha per objetto l'equità naturale, indi poi si disse venuta da Atene, che fu Repubblica popolare: perchè tal oppenione nacque ne' tempi della Romana libertà popolare, e sotto gl'Imperatori ristò. IV. Esse Tavole ci vennero dodici noverate dalla maniera di noverare delle prime genti, che con tal novero certo significavano ogni moltitudine, come i Latini avendo più spiegate le menti, il fecero poi col numero seicento, e noi, che l'abbiamo spiegatissime, il facciamo col numero prima di cento, poi di mille, finalmente di cento e mille, per significar infiniti: onde furono dodici gli Dei delle Genti maggiori; dodici le fatiche d'Ercole; dodici i villaggi, de'quali Teseo compose Atene; i quattro tempi dell' anno divisi in dodici mesi; l'antichissime Leghe delle dodici Città dell'Ionia, di dodici Città di Toscana, dodici le parti dell' asse; così dodici furon dette le Tavole.

FINE

DEL PRIMO RAGIONAMENTO

RAGIONAMENTO SECONDO

D'INTORNO

ALLA LEGGE REGIA DI TRIBONIANO

Ma non altronde si può con maggior evidenza intendere questa gran verità, ch' ove si parla con falsi Principj, perchè dal falso non può nascere, che più enorme falso, non vi ha cosa tanto sconcia, ridevole, mostruosa, la qual non si dica seriosamente, e si riceva con gravità. Tutti gl' Interpetri Eruditi delle Leggi Romane, senza punto riflettere alla Storia Augusta, e senza combinarla con la Tavola della Legge Regia da Triboniano data una volta apertamente nell' Istituta, un'altra volta nascosta sotto la maschera di Ulpiano nelli Digesti; il qual Grecuzzo fu più ignorante delle cose Romane, che non fu Pietro, Martino, ed altri primi barbari Glossatori; hanno ricevuto con tanta sicurezza con l'odiosissima nominazione di Regia: errore affatto somigliante a quell' altro della Legge detta Tribunizia da Pomponio, con la quale Giunio Bruto dichiarò gli Re eternamente discacciati da Roma, il qual errore abbiamo noi sopra già confutato: quando apertamente Cornelio Tacito, parlando di Augusto, dice, da lui non Regno, neque Dictatura, sed Principis nomine Rempublicam constitutam; ben avvisato il saggio Principe, che la Dittatura fu infausta a Cesare, e che'l nome di Re era tanto da' Romani abborrito, che, mentre per concertato tra loro Marc'Antonio vuol coronar Cesare nella ringhiera, onde questi ragionava al popolo, per fare sperienza, come il ricevesse il popolo Romano nella Ragunanza, nella quale per Triboniano egli comandò la Legge Regia, se n'udì tanto fremito, che Cesare temendo, ne fece accortamente un disdegnoso rifiuto perchè fin da' tempi de' Tiranni Tarquinj cacciati da Roma, il nome di Re e la corona Reale tanto pub

[ocr errors]

blicamente furono condennati, che per la sola certezza della Religione Re delle cose sagre ne restò detto il Capo de' Feciali, ma per altro tenuto a vilissimo conto; e i Sacerdoti, i quali appo tutte le Nazioni antiche andarono coronati, indi in poi usarono cingersi il capo d'un sottil filo di lana, dal quale vogliono i Latiņi Etimologi essere poi stati detti Flamines, quasi Filamines. E non per altro lo stesso Politico narra l'ultime cose di Augusto, che per cominciare gli Annali dello Stato Monarchico, il quale si stabilì in Roma co' trenta anni di pace che fece Augusto godere a tutto il Mondo Romano; per dare gli avvisi necessarj da' Principi, come nelle Repubbliche libere tutte guaste e corrotte dalle civili guerre possano stabilirsi Monarchi: tra' quali avvisi importantissimo è quello, che serbino eadem magistratuum vocabula; perch'è natura del volgo di risentirsi al nuovo suono delle parole, e di nulla penetrar nelle cose. Per lo che Augusto non si prese altro titolo, che di Tribunizia Potestà, la quale dasse ad intendere, che fusse una possanza di fatto, con cui egli era Protettore della Romana Libertà, per non ingelosir il popolo,ch'egli gli attentasse nulla della ragion dell' Imperio, siccome i Tribuni della plebe non ebber alcun Imperio giammai, conforme si è nell'Opera dimostrato: et esso Augusto e i Principi Romani per gli primi tempi con la Tribunizia Potestà numeravano gli anni del Principato e lunga età appresso, come Tacito il narra espressamente di Olone, non di altro erano soleciti gl' Imperatori, che dal Senato fusse loro cotal titolo decretato, per legittimarsi giusti successori dell' Imperio. Anzi Tiberio, avendogli il Senato offerto il titolo di Dominus, perchè gli donava ciò che non era suo, e 'l dono era invidioso al popolo, l'accorto Principe, perchè questi non se ne offendesse, facendo sembiante di modesto, non volle ricevere, dicendo ch'esso era Principe di cittadini, non Signore di schiavi. E la natura istessa delle cose civili diede agl'Imperatori un titolo così fatto di Protettori della popolare libertà de' Romani, imperciocchè la civil libertà conservandosi colle Leggi per quel detto di Cicerone veramente d'oro; ideo Legum servi sumus, ut liberi esse possimus: la qual libertà il popolo Romano aveva perduto; perchè aveva fatto le Leggi servir all'armi; con le quali s' andava a perdere nelle guerre civili; essi Romani

« PreviousContinue »