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L'INVERNO

OVVERO

LA PROVIDA PASTORELLA.

Cantata scritta dall' Autore l'anno 1760, e posta in Musica dal Wagenseil, per uso di S. A. R. l'Arciduchessa Maria-Cristina.

Perchè, compagne amate

Perchè tanto stupor ? Che avvenne alfine?
Il verno ritornò! Grande, inudito
Véramente è il disastro; e non potea
Prevedersi da noi. Deh un tal portento
D' esagerar cessate. Al guardo mio
Forse esposto non è? Nol veggo anch'io?
So che il bosco, il monte, il prato
Non han più che un solo aspetto:
Che gelato il ruscelletto

Fra le sponde è prigionier.
Dai rigor del freddo polo

Sento anch' io qual aura spiri;
So che agghiacciano i respiri
Su le labbra al passeggier.
Ma che perciò! Ne' miei' tiepidi alberghi,
A dispetto del verno, aure temprate
Forse non respirate? Ad onta forse
Dell' avaro terreno, i fiori, i frutti
Delle stagion più liete

Qui abbondar non vedete ? E se tremate
Nelle vostre capanne ; e se di tutto

Là soffrite difetto,

Ne ha colpa il verno! Alle stagioni amiche
Perchè non imitarmi? Allor che intesa

Er' io d' aridi rami a far tesoro ;

Sul faggio, e sull' alloro

Tomo IV.

14

Ad incider perchè di Tirsi il nome
Perdeva i di la spensierata Irene?
Dalle campagne amene al mio soggiorno
Quand' io facea ritorno,

Di grappoli, e di pomi onusta il seno :
Perchè del suo Fileno

Nice di selva in selva

Correa gelosa ad esplorare i passi?
Quando provida io trassi

A' miei tetti le spighe in fasci unite;
Sulle sponde fiorite

D'ombroso stagno, a che d'Elpino al fianco
I pesci Egle insidiar ne' lor ricetti?

Di cure si diverse ecco gli effetti.

Non v' insulto, o compagne : anzi alla vostra Negligenza degg' io tutto il più caro

Frutto de' miei sudori,

Ch'è il piacer di giovarvi. Oh me felice! Se l'istesso amor mio, che or vi difende ; Provide ancora in avvenir vi rende.

Chi vuol goder l' aprile
Nella stagion severa,
Rammenti in primavera
Che il verno tornerà.
Per chi fedel seconda
Così prudente stile,
Ogni stagione abbonda
De' doni, che non ha.

FINE.

MADRIGALE.

Scritto internamente nel coperchio d'un canestrino ovale, per uso di sfilar l'oro, lavorato al torno di propria mano in avorio da S. A. S. il Signor Principe d' Hilburgshausen e da lui mandato in dono alla Maestà della Regina d'Inghilterra, sua Nipote.

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ella Dea del Tamigi Deso che a formarti degno

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Candido avorio, ho travagliato in vano:
Ma va'. Potrai, qual sei,

Rendere accetto a lei

Dell' artefice il cor, se non la mano.

FINE.

RISPETTO

AD ORAZIO

Versi mandati dall' Autore l'anno 1769. a S. E. Milord Stormont, allora Ambasciadore della Corte Britannica all' Austriaca, in risposta ad altri Versi Inglesi, scritti dal Ministro suddetto a nome di Orazio, per accompagnare il dono d'un esemplare dell' elegante edizione d'Orazio del Baskerville, pubblicato in Londra l'anno 1762.

Oh mia ne' di ridenti

Gia fida scorta,

ed ora

Degli stanchi miei dì cura gradita,
Venosino Cantor: sei tu? T'ascolto?
Ol' industre più tosto

Mio rispettoso amore emula al vero
Or l'immagine tua finge al pensiero ?
Ah no. Quei nuovi armoniosi accenti,

Con cui meco presente oggi ragioni,
Non ponso esser che tuoi. D'un sì vivace
Splendido colorir, d' un si fecondo,
Sublime immaginar, d'una sì ardita
Felicità sicura

Altro mortal non arricchì natura.

Sei tu, sei tu. Questa è la voce istessa,
Che solea sul frondoso

Tuo Lucretile un giorno

Liete adunarti intorno
Delle amene pendici

Le Oreadi abitatrici : è quella, è quella,
Con cui l'aure invaghir d' un' elce all'ombra
Spesso t'udì la tua Blandusia, e spesso,
Allor che il suon ne intese,

Le cadenti fra i sassi onde sospese.
Sei tu, sei tu: tutte le antiche io trovo
Note sembianze in te. Sol ciò che in vano
Ti cerco in volto è il tuo rigor primiero.
Dov'è mai quel severo,

Magistral sopracciglio, onde la penna
Gia di man mi facesti

Tante volte cader? Tu così parco
Approvator de' più felici ingegni
Tu rigido censor, come or divieni
Si largo lodator? Del folle orgoglio,
Da cui l'ardente incauta età difesi,
Vorresti mai per giuoco or questa mia
Più fredda, e meno audace

Eta contaminar? No : sì maligno
Piacer te non seduce. Assai più bella
Di tua nuova favella

È la nobil cagion. L'altrui ti sforza
Meco a cangiar costume

Generosa amista : quella che gode,
Di tue norme a tenor ne' suoi diletti
A scemare i difetti,

I pregi ad ingrandir: che ben palesa

Qual sia l'alma in cui nacque ; e in me produce

Un di pena, e piacer confuso eccesso.
Grato nel tempo istesso

Del benigno favor, che a me consente
Si amabil Protettrice,

N'esulto possessor: ma di sue lodi
Involontario usurpator m' affarino:
E fra i rimorsi miei,

Meco arrossisco, e mi consolo in lei.

FINE.

VERSETT I.

Mandando l'Autore l'anno 1773. alla Signora Marchesa Zavaglia alcuni esemplari del proprio ritratto da lei richiesti, li accompagnò co' Versetti seguenti.

ueste poche immaginette
Q Sono, è vero, opre imperfette

D'un Artista dozzinale;

Ma per ne gran pregio avranno
Se impedirvi almen sapranno
D'obliar l' Originale.

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