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Gal. Dimmi, che mai pretendi

Ch' ami in te Galatea?

Una scomposta mole, un tronco informe?
Forse quel tuo bel volto

Inumano, e selvaggio? O quella chioma
Rabbuffata, e confusa?

Quel tuo sguardo sanguigno?
Quelle ineguali zanne

Sempre di nuova strage immonde, e sozze?
O quell'alma ferina,

Ch'altra legge non cura, altro dovere,
Che la forza, e il piacere?

Gla. Oh Dio! Troppo l'irriti. Pol. Ingrata Ninfa,
Non sprezzarmi così, che a te conviene

D'esser bella e gentile, a me feroce,
Nè, qual tu la figuri, ho l'alma in seno.
Stamane in su l'aurora

Un fecondo arboscelló,
Per farti un grato dono,

De' più scelti spogliai maturi frutti.
Prendigli, e ve' che tutti

Han torto il gambo, e lacera la veste.
Ve' che ciascun di loro

Ha la sua lagrimetta, e son di fuora
Di rugiadose stille aspersi ancora.
Gal. Serba ad altra i tuoi doni.

Per me, che non gli curo,

Ancor l'offerte, e i vezzi

Son offese in quel labbro, e son disprezzi.
Pol. Non diresti così s' Acide io fossi.
Gal. No, così non direi; però che a questo
Mio core innamorato

Quant'odioso tu sei, tant' egli è grato.
Pol. Folle, cotanto ardisci? E così poco
Temi gli sdegni miei? Farò ben io
Del temerario ardir pentirti in vano.
Gal. Che farai? Pol, Che farò? Del tuo diletto
lo stringerò fra questi denti il core;

E il mio schernito amore

Allor, che forse men da te s'aspetta,
Farà di te, farà di lui vendetta.

Gla. Ah fingi, Galatea. Gal. Numi, che sento!'
Oh Dio, sol questa tema è il mio tormento!
La tortora innocente
Palpita per timor,
Se il sibilo risente
Del serpe insidiator
D'intorno al nido.
Così gelan d'orrore
Per te gli affetti miei,
Perchè sa questo core
Che barbaro tu sei,
Quant' egli è fido.

Polifemo, e Glauce.

Pol. Vedi, Glauce, s'io deggio

Tant' oltraggio soffrir? Gla. Serba fedele, Anch' in mezzo all'offese, il primo ardore, Vinca la tua costanza il suo rigore.

Benchè ti sia crudel,
Non ti sdeguar così;
Forse pietosa un di
Sarà quell' alma.

Non sempre dura il ciel

Irato a balenar;

E qualche volta il mar
Ritorna in calma.

Pol. Glauce, non è più tempo

Di lusinghe, e d'affetti; io voglio ormai
Mostrare a quell' ingrata,

In mezzo a quel deslo, che m'innamora,
Che Polifemo è Polifemo ancora.

Gla. E con ciò, che farai? Credi tu forse
Che da sdegno, e vendetta amor germogli?
Amor nel nostro petto

È un volontario affetto;

Nè mai forza, o rigore

Può limitar la libertà d'un core.

Se a vendicarti aspiri,

Acide ucciderai,
Piangera Galatea,

Tu riderai della sua pena; e poi?
Con tante ingiurie e tante
Misera la farai, ma non amante.
Pol. Dunque il maggior germano
Di Sterope, e di Bronte,
L'Altero Polifemo,

Al cui sdegno talor treman le stelle,
D'una femmina imbelle

Dovrà sempre affrenando

Dell' alma vilipesa i moti interni,
Soffrir l'offese, e tollerar gli scherni?
Gla. Taci, soffrilo, ed ama. Anzi, se vuoi
Galatea men crudele, e meno avara,
Il tuo rivale a favorire impara.

Se scoperto nemico

Al suo affetto ti mostri, ella in difesa
Armerà del suo cor tutti i pensieri,
Ed il concetto ardore

Nella difficoltà sarà maggiore.
Pol. No, no; segua quest' arte

Chi sol nell' arte il suo poter ripone.

Altra legge, o ragione,

Che la mia forza, e il mio piacer non voglio. L'amorosa mia brama

O contentare, o vendicar deslo,

Nè solo a sospirare esser vogl' io.

Gla.

Se scordato il primo amore,
Il furore in me si desta,
L'onda, il monte, e la foresta
Di ruine avvolgerò.

D'Etna ancor la cima ardente
Crollerò fra tanto sdegno,

E a Nettun nel proprio regno
Il tridente involerò.

Glauce, poi Tetide.

Ah che tornare io veggio

Sul funesto sembiante

Dell' offeso Gigante

A lampeggiar la crudeltà natìa.
E tu quell' alma fiera

Con l'onte, e co' disprezzi

Dal sonno, o Galatea, destando vai?
Semplice, ah tu non sai

Che lo sdegno, che nasce

In un'alma fedele,

Quando è figlio d'amore è più crudele! Tet. Glauce, Glauce t'arresta.

Gla. Donde, o Tetide bella,

Torni su questo lido?

Qual felice novella

Ti fa lieta così? Tet. Glauce, non sai
Che a Partenope in grembo

Già la novella prole

Di Diego, e Margherita

Fuor del materno seno

Si dimostra nascendo al ciel sereno?

Gla. E questa, o Dea dell'onde,
Nuova prole tu chiami?

Tutti i celesti segni

Per obliquo sentiero ha scorsi il Sole Dal di, che dal tuo labbro io l'ascoltai. Tet. E ver; ma in questo giorno Spuntò germe novello

Dalla pianta immortale,

In onore, in bellezza al primo eguale. Gla. E fia ver? Tet. Vid' io stessa Scender giù dalle sfere

L'Augel di Giove in spaziose ruote; E delle sacre penne all' ombra augusta Su le Sebezie rive

Vidi posar le pargolette Dive.

Gla. Deh, se ti sia Peléo sempre fedele,
Là dove alla felice

Vezzosa Genitrice

La Coppia avventurosa in grembo stassi, Scorgi, cortese Dea, scorgi i miei passi. Tet. Vieni, ma tu divisa

Dalla tua Galatea meco verrai?

Gla. Eccola che s'appressa. Tet. E perchè mai
Porta si mesto, e lagrimoso il ciglio?
Gla. Forse dell' idol suo piange il periglio.

Galatea, Glauce, e Tetide.

lauce, o Dio, chi m'aita?

Gal. G Tet. Quando di lieta sorte apportatrice

Tetide a te ritorna,

Tu piangi Galatea!

Gal. In vano, o bella Dea,

Cerca pace il mio cor, spera conforto.
Tet. Perchè mai? Gla. Chi t' offende?
Gal. Acide è morto.

Gla. Ah che 'l predissi! Tet. E come?
Gal. Mentre lieta e sicura

Sedea col mio bel foco

D'un platano frondoso all' ombra incerta,
Io non so donde, o come

Il geloso Ciclope

Ci vide insieme, e n'avvampò di sdegno;
E col robusto braccio

D'una gran parte sua scemando il monte
Svelse una rupe, e con la destra audace
La spinse a funestar la nostra pace.
L'aria gemendo oppressa

Dall' insolito peso

L'orecchio mi ferì: quindi gridai,
Fuggi, mio ben, che fai? Ma l'infelice
Confuso, e mal accorto,

Del fier nemico orrendo

Il colpo ad incontrar corse fuggendo,
Ed ebbe, ahi fiera sorte!

Sotto l'ingiusto sasso e tomba, e morte.

Gla. Oh sventurato amante !

Tet. Rasserena il sembiante,

Vezzosa Galatea. Non deve in giorno

Si lieto, e sì ridente

Sol la candida figlia

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