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b) Della perdita della cittadinanza per rinunzia tacita.

Sommario

98. Principii direttivi e partizione della materia

99. Chi possa fare la rinuncia

tacita di cittadinanza.

98. A dir vero l'appellativo di rinuncia tacita non è troppo esatto. Tacita si potrebbe propriamente dire soltanto quella rinuncia della cittadinanza, che risultasse da atti, i quali, pur rivelando implicitamente l'intenzione del cittadino, non fornissero però prove formali e positive della sua rinuncia. Tacita è veramente la forma di rinuncia indicata dal comma 4° dell' articolo 17 del Codice Napoleone, secondo cui la cittadinanza si perde « per qualunque stabilimento eretto in paese straniero con animo di non più ritornarvi ». Qui si ricorre davvero alle presunzioni ed a mezzi indiretti, abbandonando al potere discrezionale dei giudici l'apprezzamento delle circostanze, per dedurne la volontà tacita, o meno, del cittadino di rinunciare alla cittadinanza. Ma il nostro Codice ha invece escluso questo modo insufficiente ed elastico, che avrebbe schiuso il campo all' arbitrio ed all'incertezza, in una materia si grave qual è quella dello stato di cittadino. Il Codice nostro richiede delle prove effettive e chiare, basate su fatti tassativamente determinati, dai quali balzi fuori, per presunzione assoluta, la decisa volontà del cittadino di rinunciare alla cittadinanza. Gli è perciò che una rinuncia risultante da fatti così patenti e così determinati, tali da non ammettere prova in contrario, è impropriamente detta rinuncia tacita, e meglio sarebbe chiamarla rinuncia per presunzione assoluta. Il concetto, da cui è partito il nostro legislatore per determinare i fatti dai quali debba presumersi, in forma assoluta, la rinuncia della cittadinanza, è quello che si abbia a ritenere che si spogli della cittadinanza italiana colui, che pongasi in tale condizione, di fronte ad uno Stato o ad un governo estero, da potersi trovare in collisione i suoi doveri di cittadino italiano cogli impegni assunti con lo Stato estero. Tre sono i fatti pei quali la legge ha stabilito si rinunci, oltrechè nella già considerata forma espressa, alla cittadinanza e cioè:

1° Conseguimento di cittadinanza estera (art. 11, comma 2o).

2o Accettazione, senza permesso del governo italiano, d'un impiego da un governo estero (art. 11, comma 3°, 1a parte);

3o Entrata, senza permesso del governo italiano, al servizio militare di potenza estera (art. 11, comma 3o, parte 2a).

99. Prima di scendere all'esame dettagliato di questi tre casi occorre dir due parole d'una questione di massima, che si riferisce indistintamente a tutti codesti tre modi di rinuncia tacita: la questione cioè se la rinuncia tacita possa farsi efficacemente da chicchessia, e precipuamente da chi è minorenne. Questa questione, che già risolvemmo negativamente nei riflessi della rinuncia espressa, è pel caso della rinuncia tacita ancor più grave; perocchè non si tratta più d'un atto di personale volontà, mediante il quale, come nella rinuncia espressa, il cittadino si spoglia della cittadinanza, atto che perciò richiede la piena capacità nella volontà agente, ma si tratta invece di fatti, ai quali, senza un intervento diretto della volontà individuale, la legge annette la privazione della cittadinanza. Mancando qui la diretta azione della volontà individuale, e quindi la necessità della piena capacità volitiva del rinunciante, potrà la rinuncia tacita, col suo conseguente effetto della perdita della cittadinanza, verificarsi pel minore? A sostegno d'una risposta affermativa potrebbe osservarsi che, essendo i fatti, cui la legge annette la privazione della cittadinanza, possibili anche pel minorenne, sembrerebbe che anche per il minorenne dovesse esser possibile tale tacita rinuncia; tanto più che, allorchè la legge enuncia i tre casi con cui per rinuncia tacita la cittadinanza si perde, non fa distinzione fra maggiore e minore di età. Ma, meglio considerando la questione, ci sembra che non possa accettarsi se non la soluzione negativa. Sta bene che, nei tre fatti cui la legge annette la perdita della cittadinanza, la volontà dell'individuo non si esplichi direttamente sul fatto della cittadinanza, come direttamente si esplica nella rinunzia espressa. Ma la volontà individuale si esplica però per quei tre fatti in una forma indiretta e precisa, inquanto ci vuol bene una esplicazione di volontà sia per chiedere ed ottenere la cittadinanza in un paese estero, sia per accettare un impiego da un governo estero, sia infine per entrare al servizio militare di potenza estera. Deve inoltre riflettersi che i detti tre fatti traggon seco una rinuncia tacita di cittadinanza, una conseguenza cioè grave, che può avere effetti dannosi per la perdita di cittadinanza che v'è annessa. Ora il minore non può esser pregiudicato da fatti, che, se anche egli compie materialmente,

non sono efficaci perchè compiuti da un incapace. D'altro canto, in tutti i casi in cui facciasi luogo ad un mutamento qualsiasi della condizione civile d'una persona, la legge nostra richiede sempre che questa sia maggiorenne, nè può ammettersi che per questo caso abbia voluto il legislatore fare un'eccezione al sistema a cui ha intonata tutta quanta la dottrina della cittadinanza.

Accettata la tesi che la maggiore età si richieda per i suespressi tre casi di rinuncia tacita, nasce in sottordine un'altra questione. Facciamo un caso. Un individuo, mentre è minore, assume un impiego civile o militare dal governo straniero; giunge la maggiore età ed egli persiste nella sua condizione all'estero, senza sollecitare autorizzazione di sorta dal governo italiano. Quid iuris? Evidentemente non può accettarsi che la perdita della cittadinanza non si verifichi per costui dopo la sua maggiore età. Se costui, divenuto compos sui, e col suo pieno discernimento, persiste a rimanere legato al governo straniero, evidentemente deve comminarglisi la perdita della cittadinanza italiana. Ma, si osserva, se, appena giunta la maggiore età, il cittadino italiano ipso iure trovandosi in quelle date condizioni all'estero perde la cittadinanza, qual vantaggio per lui di averlo mantenuto durante la minore età cittadino, se poi non gli si dà nemmeno il tempo di rimediare agli effetti prodotti dal suo stato? Giustamente osserva il Bianchi (1) che assai meglio provvedevano su questo punto i Codici parmense ed estense, i quali, nel caso in cui persone minori di età si fossero trovati presso governi esteri in qualcuna delle circostanze alle quali si annetteva la perdita della cittadinanza, stabilivano che incorressero in questa perdita, allora soltanto quando, dentro un anno a partire dalla maggiore età, non rientrassero nello Stato e non rinunciassero all'impiego che avessero accettato all'estero. Il Codice nostro nulla dispone di simile, quindi deve ammettersi che la perdita della cittadinanza avvenga nei tre casi suespressi, immediatamente giunta che sia la maggiore età del cittadino italiano, il quale si trovi all'estero in quelle date circostanze. Conveniamo però col Bianchi che potrà il criterio del magistrato, nei casi contingenti e dato il concorso di certe circostanze, temperare il rigore della tesi a cui il silenzio del Codice nostro, in questo punto inferiore al parmense ed all'estense, porta inevitabilmente.

(1) BIANCHI, op. cit., I, n. 264.

1o Perdita della cittadinanza per conseguimento della cittadinanza estera.

Sommario

100. Requisiti dell'acquisto della cittadinanza estera per l'effetto in parola 404. Quid nel caso che la volontà individuale abbia ricevuta una qualche 102. Se deve concorrere il trasferimento della residenza all'estero 403. Come il Codice nostro abbia soppresse le pene comminate dalle legislazioni anteriori al cittadino che si faccia straniero.

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100. Il numero 2o dell'articolo 11 porta che la cittadinanza si perde: « da colui che abbia ottenuta la cittadinanza in paese estero. » È questa l'applicazione del principio, ormai universalmente accettato e sanzionato dalla legge di tutti i paesi civili, che non possono aversi da chicchessia due patrie: nemo duarum civitatum civis esse potest. Ciò per evitare che, quando i doveri verso l'una si trovino in collisione coi doveri verso l'altra, l'individuo non si trovi costretto a mancare ed a tradire l'una o l'altra. Conseguenza naturale di questo principio è che il farsi iscrivere nei registri di cittadinanza di uno Stato estero equivale ad una rinuncia espressa e formale alla cittadinanza italiana.

Perchè la cittadinanza italiana si perda in questa guisa occorre che l'acquisto della cittadinanza straniera sia vero, serio, e formalmente ottenuto. Avanti tutto, bisogna che trattisi di uno stato di cittadinanza straniera vero e proprio. Non basterebbe, ad esempio, che il cittadino italiano avesse chiesto ed ottenuto all'estero il solo godimento dei diritti civili in uno Stato estero, a meno che, come sostiene il Laurent (1), il godimento dei diritti civili essendo, per le leggi di quel paese estero, inevitabilmente legato collo stato di cittadinanza, sì da non potersi avere quello senza questo, il cittadino subisse lo stato di cittadinanza estero inquanto legato al godimento dei diritti civili di cui abbisognasse. Condizione essenziale poi perchè la cittadinanza italiana si perda con questo mezzo si è che la cittadinanza estera sia stata non solo chiesta, ma realmente ottenuta. Il n.° 1° dell'articolo 11 su questo punto è categorico. E perchè la cittadinanza estera possa dirsi ottenuta oc

(4) LAURENT, op. cit., I, n. 377.

corre da un lato che siansi adempiute tutte le formalità che la legge estera pone per la naturalizzazione, sicchè l'acquisto della cittadinanza estera sia definitivo ed ineccepibile; dall' altro lato occorre che, trattandosi di cittadinanza da ottenere, sia intervenuta la volontà individuale, o perchè la cittadinanza estera sia stata chiesta, o perchè conferita per virtù di disposizione generale legislativa o per atto dell'autorità suprema dello Stato estero, disposizione generale ed atto, che devono essere stati accettati, espressamente o tacitamente, dall'individuo che riguardano.

Il consenso individuale deve, in altri termini, apparire sempre libero ed intero; altrimenti lo stato di cittadinanza estera non si potrà reputare acquistato, nè lo stato di cittadinanza italiana perduto. Ne risulta che, allorchè un cittadino italiano venga iscritto nei registri di cittadinanza d'uno Stato estero senza sua volontà e consenso diretto - o in ricompensa di benefizi o di benemerenze acquistate all'estero, o per avere fondato all'estero uno stabilimento commerciale, lo che importi la qualità di cittadino, come alcune legislazioni estere, ad esempio la spagnuola, pretendono, o per circostanze simili - non perderà la cittadinanza italiana, non potendosi ritenere ch'egli abbia così ottenuta la cittadinanza estera.

101. Si è fatta da alcuni la questione se il cittadino, che sia costretto da imperiose necessità politiche, come nei tempi di rivoluzione o di guerra, o da motivi di forza maggiore per sfuggire odiosità o vessazioni, a chiedere e ad accettare la cittadinanza estera, perda la cittadinanza propria di origine. Questa questione, che, colla organizzazione liberale odierna dello Stato nostro, non trova più fortunatamente fattispecie nè casi d'applicazione, ebbe la sua ragion d'essere in tempi anteriori assai meno fortunati dei nostri. E può avere ancora la sua applicabilità presso di noi, ove si tratti di cittadini italiani, che, per fuggire alle persecuzioni dei Governi cessati, siensi, nei tempi dell'oppressione, naturalizzati cittadini stranieri; avranno essi perduta, oppur no, la cittadinanza italiana, s'intenderanno cioè sempre cittadini italiani, o dovranno, per ridivenirlo, sollecitare il riacquisto della cittadinanza nostra? Il Saredo, pure non scendendo a questo punto della questione, che è l'unico pratico per noi, opina in genere che un cittadino, che siasi naturalizzato all'estero, senza aver l'animo di rinunciare definitivamente alla propria cittadinanza, non incorra nella perdita di quest'ultima. Alcuni scrittori francesi - esaminando la questione spe

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