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della loro età maggiore. Inoltre decisero le nominate sentenze che gli effetti della dichiarazione fatta dal divenuto maggiore si retrotraessero sino al giorno della ratifica del trattato, nonostante il disposto dell'articolo 15 del Codice Civile Italiano. Questi giudicati sono molto importanti, e per le conclusioni affermate e per la motivazione che le precede.

Tali motivazioni e conclusioni sono tanto più notevoli, inquantochè trovansi in opposizione con quanto hanno giudicato le Corti francesi di Chambery e di Aix (1) nell' interpretazione dello stesso articolo 6 del trattato, le quali Corti ritennero che l'articolo 6 del trattato, non avendo disposizione relativa ai minori, questi dovessero seguire la sorte del padre. Esse considerarono che le legislazioni sarde e francesi non riconoscono ai minori altro domicilio che il paterno, e, sottoponendoli quindi all'obbligo di seguire la condizione del padre, li ritennero inabili a scegliere l'una o l'altra nazionalità. Inoltre, trattandosi d'incapacità assoluta di diritto, incapacità simile a quella di far testamento o di contrar nozze prima dell'età prescritta, nemmeno il padre avrebbe potuto, integrando le persone loro, ottenere per essi questa o quella nazionalità, e, incapaci di tal diritto entro l'anno perentoriamente statuito dal trattato, non potevano più acquistarlo giunti alla maggiore età. Tanto più facilmente le Corti Francesi decisero in questo senso, inquantochè un decreto imperiale del 30 giugno 1860 dichiarò che i minori nati in Savoia e Nizza da coloro i quali, in virtù del trattato, optarono per la cittadinanza italiana avrebbero potuto reclamare, nell'anno della maggiore età, la qualità di francese, conformandosi all'articolo 9 del Codice Napoleone. Si argomentò naturalmente da ciò che, secondo l'interpretazione data al trattato dall' autorità francese, l'articolo 6 di esso non fosse applicabile ai minori, i quali dovevano seguire la condizione del padre.

Senza addentrarci ad oppugnare codeste motivazioni contingenti delle Corti francesi, nè a mettere in rilievo la giustezza dei giudicati delle Corti italiane - pel che ci appelliamo alla elaborata nota dettata dal Pacifici-Mazzoni sulla citata sentenza della Cassazione di Torino (2)

(4) Corte di Chambery, 10 dicembre 1862, Prefetto della Savoia-Roustaing Journal du Palais, 1863, 817); Corte d'Aix, 47 maggio 1865 (ibid. 1865, 1030). (2) V. Raccolta di Giurisprudenza Italiana, XVI, 1, 575.

ci basta notare che la discrepanza fra le magistrature francesi e italiane, in ordine al diritto di eleggere la nazionalità esercibile da chi al tempo dell'annessione trovavasi in età minore, pare abbia richiamata l'attenzione delle alte parti contraenti; difatti due note diplomatiche, scambiate fra i governi francese e italiano nel 22 luglio e 7 novembre 1875, cioè dopo la sentenza della Cassazione di Torino, vennero in buon punto a dirimere ogni controversia, essendosi stabilito: «< che <<i figli nati in Savoia e in Nizza da genitori oriundi di provincie << italiane, e che al tempo dell'annessione erano ancora minori, sa<< rebbero considerati, in mancanza di elezione esplicita, come italiani «e perciò non tenuti al servizio militare in Francia».

93. Ed ora, esaurita questa questione incidentale, e per conchiudere rispetto all'ultimo modo di acquisto della cittadinanza che stiamo esaminando, sta, che, nei casi di annessione di territorio, o sonvi leggi e trattati speciali che regolino la nazionalità degli abitanti del territorio annesso (e per lo più in tema di annessione questi trattati esistono, basta citare il trattato di Parigi 30 marzo 1814 articolo 17; il trattato di Vienna del 1815 articolo 7; le leggi annessive 27 maggio, 16 e 21 giugno, 11 e 27 luglio del 1848; il trattato 24 marzo 1860 per la cessione di Nizza e Savoia articolo 6 ecc.) e ci si dovrà attenere alle norme particolari stabilite da tali leggi o trattati; o, in mancanza di leggi e trattati speciali, vale il principio che tutti i cittadini domiciliati nel territorio annesso acquistano di pieno diritto, per naturalizzazione complessiva e indipendente dalla loro individuale volontà, la cittadinanza dello Stato a cui il territorio va ad annettersi. Lo stesso, principio, in una forma inversa, vale per la perdita della cittadinanza, che, in virtù dell'annessione del territorio, subiscono i cittadini del territorio annesso di fronte allo Stato cedente. Qui trattasi evidentemente di due fatti corrispondenti e conseguenziali: l'acquisto da un lato della cittadinanza dello Stato annettente di fronte alla perdita della cittadinanza dello Stato cedente; fatti, che, connessi fra loro, sono perciò regolati da uno stesso principio, che è quello enunciato.

D) Della perdita della cittadinanza.

Sommario

94. Principii direttivi sanzionati in materia dal nostro legislatore. Partizione della materia.

94. Passiamo ora ad esaminare i modi con cui la cittadinanza si perde. Dobbiamo notare, in linea generale, che anche nella perdita della cittadinanza, siccome già nell'acquisto, le cause possono essere d'indole generale e collettiva, ovvero d'indole individuale. Causa generale e collettiva di perdita della cittadinanza è quella dell'annessione di territorio, che venga operata in danno del proprio Stato ed a pro di uno Stato straniero. Per questa causa generale i cittadini del territorio annesso perdono senz'altro la cittadinanza dello Stato cedente per acquistar quella dello Stato annettente. I principii che regolano l'acquisto della cittadinanza per annessione di territorio, già lo notammo, sono gli stessi che giustificano la perdita della cittadinanza per la stessa guisa. Inutile quindi aggiunger altro su questo punto.

Riguardo alle cause individuali che traggono seco la perdita della cittadinanza è opportuno osservare in genere che per la nostra legislazione, tranne il caso di condanna penale che importa, siccome innanzi ampiamente vedemmo, la privazione di certi diritti civili, è la volontà individuale che sempre determina il fatto della perdita della cittadinanza. Questa volontà, sia essa espressa o tacita, deve però risultar sempre in una forma chiara e manifesta, si da non esser vi dubbio sulle intenzioni in chi perde la cittadinanza di volerla perdere. Ed a determinare siffatta volontà e siffatta intenzione occorrono fatti gravi ed espliciti. Il nostro legislatore, consacrando il diritto di emigrazione (1), che legislazioni anteriori disconoscevano e talora punivano,

(1) Circa il diritto di emigrazione, non nei riflessi della legge positiva italiana ma del diritto romano e del diritto internazionale odierno, meritano di essere consultate, per le loro motivazioni e decisioni abbastanza originali, la sentenza della

ha ammesso che il solo fatto di trasferire il proprio domicilio o la propria residenza all'estero non importi affatto la perdita della cittadinanza; e per converso il trasferire di domicilio, che facciano gli stranieri dal paese loro nel nostro, non li privi affatto della loro nazionalità, ma li conservi stranieri, attribuendo loro, in linea di larga generosità internazionale, il pieno godimento dei nostri diritti civili.

Il riconoscere questo diritto e questa libertà di emigrazione, senza annettervi alcuna privazione della propria nazionalità, è principio nobile e razionale. L'uomo, che lascia tutto quello che ha di più diletto per chiedere lavoro od asilo ad una terra straniera, non è per lo più un uomo volgare, nè il dolore ch'egli certo deve provare nel lasciare la patria sua deve essergli reso più forte dall'altro dolore ancor più grave di dichiarargli che per lui questa patria è perduta. L'emigrazione d'altro canto è un potente elemento di benessere per le Nazioni. Chi emigra vi è quasi sempre spinto da qualche sofferenza cui egli vuole porre fine. Il paese ha dunque un sollievo ogni volta che un cittadino, spinto da una ragione impellente, sia questa la miseria, sia il desiderio di arricchirsi, sia un forte dolore morale, sia un motivo politico o religioso, va altrove a cercare fortuna o pace. E siccome rare volte si abbandona la patria con la risoluzione di non più tornarvi, così vediamo quasi sempre avvenire che l'emigrante, partito povero, partito infelice od esaltato, torna, quando la voce della patria, il desiderio di lei si fanno risentire nell'animo suo, a godere nel suo paese la ricchezza acquistata altrove, la felicità, la calma.

Egli, per dirla col Saredo, quando partì era una passività nel bilancio sociale, quando ritorna è divenuto un'attività. Nulla di più razionale quindi che la libertà di emigrazione sia secondata, anzichè ostacolata con leggi restrittive e di assurda oppressione. L'Inghilterra è di esempio al mondo ed insegna quanto una larga libertà di emigrazione giovi alla prosperità di un paese. Egli è col proclamare e secondare questa libertà che l'Inghilterra, ricca e prospera al di dentro, ha visti i suoi figli divenir potenti al di fuori e colonizzarsi in guisa da fondare gli Stati Uniti, e da rendere un'emanazione ed una di

Cassazione di Firenze, 21 marzo 1881, in causa Governo di Tunisi contro Samama (Foro it., VI, I, 447) e la sentenza della Corte d'appello di Firenze, 31 luglio 1883, in causa Eredi Samama contro Giuseppe Samama ed altri (Legge, XXIII, 2, 736).

pendenza dell'Inghilterra l'Oceania e l' India, per tacere delle conquiste minori. Ispirandosi a questi concetti il legislatore nostro ha bandita dai mezzi di perder la cittadinanza ogni presunzione di volontà tacita (1) ed ogni manifestazione di volontà espressa che non emani da fatti chiari, lampanti e di facile constatazione. Premessi e tenuti presenti questi concetti direttivi, esaminiamo i tre modi con cui la cittadinanza, secondo il Codice nostro, può perdersi, cioè: 1o per rinuncia espressa; 2° per rinuncia tacita ; 3° per matrimonio.

a) Della perdita della cittadinanza per rinunzia espressa.

Sommario

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95. Precedenti storici e principii liberali sanzionati dal Codice nostro in materia 96. Quali persone possano fare la rinuncia espressa di cittadinanza. Questioni in ordine ai minori ed alle donne maritate 97. Condizioni e forma della rinuncia espressa di cittadinanza.

95. La legislazione francese e le legislazioni preesistenti degli Stati italiani, che si attagliarono su quella, non riconoscevano nel cittadino il diritto di rinunciare espressamente alla propria patria, il diritto cioè di abdicarvi. Allorchè si discusse il titolo 1° del Codice Napoleone dinanzi al Consiglio di Stato, il Console Cambacères ebbe a dire essere inconcepibile l'ipotesi di un francese che abdicasse alla propria cittadinanza; quindi essere inutile disporre circa l'abdicazione della cittadinanza, la quale non poteva che venire perduta, mai abdicata. Che anzi l'abdicazione era un fatto riprovevole e criminoso, meritevole di pena. Questa pena però non venne dal Codice Napoleone sanzionata. Lo venne però dai successivi decreti del 6 aprile 1809 e 26 agosto 1811, ispirati a conservare il massimo numero di cittadini, per l'incessante succedersi delle guerre che portavano un continuo bisogno di gettar leve sui campi di battaglia. Del decreto del 1809

(1) Notiamo in proposito la sentenza della Cassazione di Torino, 26 aprile 1878, in causa John Toller contro Myer (Racc. di Giurispr. ital., XXXI, I, 1, 35), che ha deciso che la perdita della cittadinanza italiana non possa mai presumersi in un cittadino italiano, ma che devasi invece presumere l'opposto sino a prova in contrario.

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