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ferro gli antichi feudi laici ed ecclesiastici: al centro il Re; intorno a questo, il suo Consiglio, preparatore delle leggi, distributore delle imposte, suprema autorità competente in tutti i rami della pubblica. amministrazione; accanto al Consiglio, il Controllore generale, che dirige l'amministrazione, eseguendo gli ordini del re preparati nel Consiglio; sotto il Controllore, gl' Intendenti, amministratori delle provincie; e sotto questi i Subdelegati preposti alle circoscrizioni inferiori. Abbiamo insomma, quasi completo, quell'accentramento amministrativo moderno, che lungi dall'essere stato, come molti tuttora credono, frutto repentino della Rivoluzione, fu invece l'opera lunga e paziente della monarchia, che la Rivoluzione non fece se non appropriarsi, rafforzare, estendere.

II.

In Francia, dunque, già prima della Rivoluzione pulsavano poderosi i palpiti della vita moderna, e attraverso ai ruderi inerti del decrepito mondo medievale si levavano in alto le prime grandiose costruzioni della moderna civiltà. Ma gli avanzi del medio evo, soprovviventi in quel multiforme e febbrile lavoro di erosione e di rifacimento, in forza del quale i nobili e gli ecclesiastici avevano veduto come sfumare nelle loro mani il potere politico e rattrappirsi sotto i piedi la terra, sebbene fossero oramai una ben misera cosa in confronto della primitiva immensa potenza feudale, ingombravano pur tuttavia il libero sviluppo della vita economica, intralciavano il retto funzionamento dei nuovi organi politici, contrastavano in maniera ogni giorno più stridente con tutte le necessità irresistibili del nuovo ambiente sociale.

In siffatte sopravvivenze feudali una fra le più notevoli era la immunità che godevano i nobili e gli ecclesiastici da molte imposte specialmente dirette. Nel medio evo questo privilegio si giustificava colla considerazione che, se il terzo stato serviva il re pagando le imposte, il clero lo serviva pregando Dio per la pubblica prosperità, e i nobili prestando il servizio militare. Ma oramai nel secolo XVIII pochi fra gli stessi ecclesiastici credevano che le preghiere fossero un surrogato sufficiente delle imposte; e per quel che riguarda la nobiltà, la giustificazione desunta dal servizio militare poteva valere

nel medio evo, quando l'esercito era formato quasi tutto della cavalleria feudale, in cui i nobili servivano gratuitamente; non più nel secolo XVIII, quando i nobili, che servivano nell'esercito stanziale, erano pagati dal re come qualunque altro pubblico funzionario. Inoltre l'esenzione tributaria, nel medio evo, quando le imposte di Stato erano pochissime, non era nè troppo lucrosa pei privilegiati, nè troppo pesante per gli altri. Ma oramai, col passar degli anni e dei secoli, l'aumento degli impiegati richiesti dall' estendersi dell'accentramento amministrativo, il mantenimento di un poderosissimo esercito stanziale, le grandi guerre internazionali, lo sviluppo della civiltà che addossava. allo Stato una soma sempre maggiore di spese utili alla collettività, tutte queste circostanze avevano obbligato lo Stato ad estendere vertiginosamente le proprie entrate, aggravando le imposte antiche e creando imposte nuove; e mentre nei secoli precedenti la taglia o imposta fondiaria era una delle pochissime e la più importante fra le imposte regie, e nella prima metà del secolo XV non rendeva neanche due milioni, alla vigilia della Rivoluzione, invece, la sola taglia produceva circa 100 milioni, e fra taglia, capitazione, vigesime, tasse sulle merci, sui vini, sui liquori, sui sali, tabacchi, ecc. ecc., lo Stato assorbiva annualmente circa mezzo miliardo di ricchezza nazionale. E quanto più questa pressione tributaria si aggravava, tanto più notevoli diventavano le immunità dei chierici e dei nobili e maggiori proteste insorgevano naturalmente da parte del terzo stato contro un privilegio, del quale nessuna giustificazione interveniva a moderare la iniquità.

La immoralità e ingiustizia del sistema tributario era, poi, aumentata dal fatto che i plebei, quando si fossero arricchiti, potevano acquistare per sè e magari per i propri discendenti la esenzione dalle imposte col solo comprare una delle infinite cariche, le quali conferivano la nobiltà. Per tal modo l'imposta rispettava tutti quelli, che avrebbero potuto pagare, e si abbatteva spietata su tutti quelli, che non erano in grado di difendersi; e crescendo di giorno in giorno i bisogni dell'erario, il governo doveva o prima o poi esser condotto al bivio o di rinunziare a svilupparsi nel senso della civiltà moderna, oppure di sopprimere le immunità degli ordini privilegiati, proclamando il principio della eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi ai diritti finanziari dello Stato.

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Come le immunità tributarie medioevali degli ordini privilegiati cozzavano coi nuovi crescenti bisogni delle pubbliche finanze, così in contrasto con la nuova impalcatura amministrativa sussisteva tutta l'antica divisione militare e feudale della Francia con circa 350 funzionari, duchi, principi, conti, marchesi, pagati con stipendi spettacolosi, in tutto 4 milioni e mezzo annui, senza contare i diritti accessori, che superavano del doppio gli stipendi fissi, ma che non avevano oramai più nulla da fare, perchè le loro antiche funzioni politiche e amministrative erano tutte passate nelle mani degl'intendenti e degli altri agenti della monarchia. La Francia pertanto manteneva e pagava due organizzazioni amministrative diverse, di cui la più vecchia, ridotta oramai a vivere di sola vita decorativa e parassitaria, doveva essere per necessità di cose spazzata via dalle forze veramente operose della nuova società.

Inoltre il nuovo ordinamento era stato messo su a pezzi e a bocconi, senz'alcun piano preordinato, secondo che gli antichi feudi erano stati incorporati nel demanio reale: perciò v'erano intendenze che contenevano due milioni d'abitanti e intendenze che ne contenevano duecentomila; la divisione giudiziaria non corrispondeva alla divisione amministrativa, e questa non combaciava con la divisione ecclesiastica; le città e le provincie conservavano gelosamente le loro franchigie medioevali; le imposte cambiavano di peso e di forma da un paese all'altro; nonostante gli sforzi perenni dei re per rendere omogeneo il diritto civile e criminale, non esisteva alcuna unità legislativa, ma trecento sessanta codici consuetudinari locali; e dovunque uno scontrarsi di autorità antiche e recenti, tribunali amministrativi, finanziari, militari, ecclesiastici, feudali, speciali, in cui le funzioni più svariate s'intralciavano e si confondevano, producendo una giustizia tarda, costosa, difficile, minacciata sempre di perdersi nel labirinto delle leggi contradittorie, o di stroncarsi nelle revoche, negli appelli, nei contrappelli, in tutti i mille trabocchetti della procedura. Era l'aggrovigliata e multiforme vegetazione delle autonomie locali del medio evo, che si prolungava fuori del suo terreno d'origine a ingombrare e interrompere quella semplicità e omogeneità di leggi e di costumi, che è nel mondo moderno condizione indispensabile alla libera e sollecita circolazione delle persone, delle ricchezze, delle idee; e quanto più s'intensificava il movimento dell'industria e del

commercio, tanto più dannosi e irritanti riescivano gl' inciampi e i dislivelli frapposti ad esso dalle avviluppate e contradittorie istituzioni del passato.

III

Altre odiose sopravvivenze del passato erano la decima ecclesiastica e i diritti feudali, che gravavano specialmente sulla popolazione delle campagne.

La decima, che il clero prelevava su tutte le raccolte, era nata nel medio evo, come tutti gli altri privilegi della Chiesa, dal fatto che i ministri di questa curavano la costruzione e la riparazione dei ponti e strade, tutelavano l'ordine pubblico, amministravano nei tribunali ecclesiastici la giustizia, impartivano la istruzione, badavano ai poveri e agli ammalati, assolvevano insomma una quantità di funzioni che lo Stato semibarbaro era incapace di esercitare. Ma oramai nel secolo XVIII la struttura dello Stato laico era definitivamente formata e le funzioni sociali e amministrative della Chiesa erano già passate o tendevano a passare allo Stato: perciò quel tributo annuo di 120 milioni, che era come un grosso peso morto sulle spalle dell'agricoltura e che per giunta veniva assorbito in massima parte dall'alto clero straricco e ozioso, appariva ai contribuenti come una passività non giustificata da alcun vantaggio correlativo; e tutti cercavano di liberarsene o per lo meno di ridurlo alle minime proporzioni; e nonostante che in molti luoghi esso fosse già disceso al dodicesimo, al ventesimo, perfino al quarantesimo dei frutti, pure era detestato e discreditato come non s'era mai visto quando rappresentava un peso assoluto molto maggiore.

Nè minore ostilità suscitava la infinita e svariatissima congerie dei così detti « diritti feudali », dei quali una prima categoria derivava dall'antica sovranità feudale, e consisteva in tasse (come il focatico, il polveratico sulle mandre che attraversavano il feudo, il pedaggio sulle strade e sui ponti del dominio, tasse sulla minuta vendita, ecc.), in diritti di giustizia (come la nomina del notaio e del giudice per i piccoli processi campestri o per le questioni feudali), in monopoli (come il diritto esclusivo di caccia, di pesca, di colombaio, di forno, di molino, di macelleria, ecc.); un'altra numerosissima classe,

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invece, (censi, partecipazioni ai prodotti, tributi in natura o in denaro, prestazioni di lavori gratuiti (corvées), prelevamenti sul prezzo della terra in caso di vendita o di eredità, facoltà di prelazione o di riscatto, ecc.), derivava dal primitivo diritto di possesso, che i feudatari avevano sulla terra e sui servi della gleba, e rappresentava quella frazione di proprietà che i nobili e gli ecclesiastici erano riesciti a conservare nei vetusti contratti agrari mentre abbandonavano ai rustici la proprietà della terra e la libertà delle persone.

Nel medio evo i diritti di sovranità erano giustificati dalla vita stessa dei signori feudali, che risiedevano sul loro feudo, assicuravano l'ordine pubblico, difendevano il paese dagli assalti esterni, e il loro lavoro socialmente utile trovava nelle tasse, nei monopoli, nei diritti di giustizia la naturale ricompensa. Così gli altri diritti derivanti dalla primitiva proprietà, avevano costituito nel passato un grande progresso sociale e un ottimo strumento di miglioramenti agricoli, perchè, sottomettendosi ad essi, i contadini avevano potuto in ricambio acquistare la libertà personale e il libero uso della terra. Ma nel secolo XVIII oramai i nobili laici ed ecclesiastici non compivano più alcuna delle loro antiche funzioni feudali: la monarchia si era messa al loro posto e dove prima appariva la mano del feudatario ora non si vedeva più che la mano dell'impiegato del re; e nello stesso tempo degli antichissimi patti agrari s'era del tutto obliterato il ricordo: le terre erano passate per mille mani, i diritti feudali esano stati venduti da un signore all'altro, nessun coltivatore più rammentava che la terra da lui oggi posseduta era stata una volta di un nobile o di una chiesa, e che tutti quei tributi fondiari erano le ultime vestigia dell'antica proprietà feudale. Tutti, al contrario, si sentivano aggravati da quelle minutissime prestazioni e restrizioni, che decimavano il reddito agricolo, perseguitavano il coltivatore ad ogni stadio della produzione, erano fonte inesausta di liti, di processi, di rancori; e sebbene nel secolo XVIII i diritti feudali non fossero che l'ombra dei diritti primitivi, sia per la lenta invadenza antifeudale della monarchia sia per la perenne erosione operata dai contadini, che erano stati sempre all'erta a lasciar cadere in disuso o convertire o diminuire o riscattare i loro obblighi, essi pure esercitavano sempre una sensibilissima azione deprimente e inibitoria sull'agricoltura, la quale invece sotto la pressione dei cresciuti bisogni annonari tendeva ogni

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