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zioni di questo potere fra più magistrati, la breve durata della magistratura, il ricorso al popolo dalle decisioni dei magistrati. Le quali modificazioni dell' antico imperium si ritrovano subito nei primi magistrati succeduti ai re, nei due comandanti e giudici supremi, che furono detti praetores, iudices, poi consules. Singolarissimo è il modo, col quale si ottenne il concorso dei due consoli all'amministrazione della cosa pubblica senza distruggere l'unità del comando. Ciascuno di essi poteva agire nel cerchio larghissimo delle sue attribuzioni senza bisogno di un accordo precedente con il collega: bastava che questi non si opponesse. Soltanto l'opposizione del collega (intercessio) toglieva valore al suo atto. È questo pure un principio fondamentale del diritto pubblico romano. Così l'antico imperium non veniva ad esser diviso per metà fra i due consoli, ma rimaneva in ciascuno di essi pieno ed intiero come nel re: « potestas tempore dumtaxat annua, dice Cicerone del governo consolare, genere ipso ac iure regia. » Si aggiunga che, se per la durata annua dell'ufficio i magistrati uscenti erano esposti alle accuse dei loro concittadini, rimase però e fu sempre rispettato il principio della loro irresponsabilità e inviolabilità durante l'ufficio. Deve considerarsi altresì come una norma ereditata dall'epoca regia, che i magistrati non furono mai nominati direttamente dal popolo, ma i magistrati uscenti diressero sempre le operazioni elettorali e proposero essi all'approvazione dei comizii i magistrati dell'anno successivo. Il regio imperio finalmente, mantenuto per quanto fosse possibile nelle nuove istituzioni, risorgeva potentissimo nella dittatura, che aiutò lo Stato romano a superare le crisi più difficili. Nel dittatore infatti l'imperium non era limitato nè dalla intercessione nè dalla provocazione, e la breve durata di sei mesi era l'unico limite opposto alle possibili usurpazioni (3).

Magistrature provvisorie e straordinarie furono insieme alla dittatura i decemviri legibus scribundis e i tribuni militum consulari potestate. Magistrature ordinarie invece furono quelle che possono considerarsi come una diramazione del potere consolare, e che vennero istituite appunto per provvedere ad un ramo di amministrazione pubblica, che rientrava nelle attribuzioni generali dell'imperium. Tali furono la censura, la pretura,

PADELLETTI Storia del Diritt romano

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l'edilità curule, la questura. Insieme colle inferiori magistrature, prive d'imperium e di importanza politica, esse costituirono un sapiente sistema di ufficii, che partiva da un solo e medesimo tronco ma con una benintesa coordinazione e subordinazione suppliva mirabilmente ai varii bisogni di un libero Stato. Sola magistratura anormale in questo sistema fu quella del tribunato, sorta dalle tendenze rivoluzionarie e separatiste della plebe: tuttavia il senno politico del popolo in questo primo periodo non meno che la collegialità e il diritto reciproco d'intercessione resero il tribunato meno pericoloso di quello che potesse attendersi all'ordine ed alla libertà (4).

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NOTE AL CAPO II.

(1) Sulle origini dello Stato Romuleo, se così può chiamarsi, si veggano tutti gli storici di Roma e più specialmente Lange, R. A. I, 77 segg. Clason, Krit. Erörterungen über den röm. Staat, pag. 167 segg. Kiel 1871 Res publica, concetto astratto, è probabilmente più recente della espressione concreta populus Romanus Quiritium. Singolare è questa espressione sull'origine e il significato della parola Quirites, vedi Lange, 7. 7. Ma quello che più importa è il significato primitivo di populus, a cui il Niebuhr e molti dopo di lui dettero un senso esclusivo ed aristocratico. Invece ecco quello che con grande dottrina scrive il Mommsen Röm. Forsch. pag. 168 segg. sul significato di populus: « Populus significa tanto per la sua etimologia quanto secondo le più sicure testimonianze innanzi tutto la leva cittadina patrizio-plebea, le centurie Serviane [Not. 1. Questo significato è determinato empiricamente dalle espressioni magister populi accanto a magister equitum ed a populari, come la nostra lingua formò Heermeister e Verheeren. Se iμжE o anche popa e popina siano etimologicamente congiunte con populus, è dubbio: sebbene la unione di queste ultime parole con coquo TέTT (Curtius, Griech. Etym. II, 53) faccia del pari difficoltà. Che etimologicamente populus risalga alla medesima radice che plebs (Curtius, 7. c. I, 242), è poco verisimile secondo l'uso empirico della parola; il concetto fondamentale è certamente esercito, leva], quindi nell'uso rigoroso e tecnico della parola significa la intiera cittadinanza patrizio-plebea in opposizione alla plebs [Not. 2. Gai. I, 3. Gell. X, 20], nella lingua comune e più trascurata anche la cittadinanza in opposizione alla nobiltà [Not. 3. Cic. de inv. II, 17.

Sallust. Iug. 40. Liv. III, 63. VII, 15. XXVI, 21 ecc.] come nella nostra lingua, e in generale in tutte, l'espressioni popolo, cittadinanza e simili giuridicamente inchiudono anche le classi privilegiate, però nell'uso comune vengono spesso adoprate in opposizione a quelle medesime classi. Tranne la frase populus plebesque, che ritorna solo in frasi a guisa di formula [Not. 4. Si incontra in preghiere, Liv. XXIX, 27. Cic. pro Mur. 1, 1. Verr. V, 14; in responsi di oracoli, Liv. XXV, 10. Macrob. Sat. I, 17; in formule di legati, Tacit. Ann. I, 8, e iscrizioni di lettere, Cic. ad famil. X, 35] nelle quali forse sono indicati patrizii e plebei [Not. 5. È anche possibile che qui primitivamente populus significasse l'esercito, plebs la rimanente moltitudine] ma che in questo caso possono ben attribuirsi ad un'epoca, in eui i patrizii di fatto costituivano soli la cittadinanza, ed in seguito vennero frantese; non vi è un solo passo, dove populus significhi la intiera classe patrizia. Che Niebuhr, il quale per il primo dette alla parola populus questo secondo significato, lo abbia voluto trovare in molti passi, dove non vi è da pensarci, è ora universalmente riconosciuto: ma anche quelle autorità, che l'accurato Schwegler (II, 103 segg.) ha fatte valere, sono o passi pieni di lacune di Festo, che con una imparziale emendazione si mettono facilmente d'accordo coll'uso comune del linguaggio, o passi malintesi di Livio. » Che questo concetto giustissimo del populus si debba limitare alla costituzione centuriata e non possa risalire alla anteriore costituzione curiata (vedi op. cit. pag. 275 seg.), è un'altra idea del Mommsen, che a me non pare provata (vedi cap. IV, not. 2). Certo fino dai più antichi tempi populus significò giuridicamente tutta la cittadinanza, che prestava il servigio militare: il che non toglie naturalmente le ineguaglianze sociali e anche politiche, e la prevalenza di fatto nei più antichi tempi dell'elemento patrizio nello Stato. I concetti del civis e della civitas sono fondamentali per la storia del diritto romano. Civis è membro dello Stato: e poco monta per il concetto della cittadinanza, che il cittadino non ne goda tutti i diritti, come era dapprima per i plebei, cui mancava l'ius honorum e per i cittadini sine suffragio et iure honorum, quali erano generalmente i cittadini dei municipii (vedi cap. VI). Non sono tanto i diritti politici che determinano la cittadinanza, quanto l'assoggettamento ad un comune imperium, ad una comune iurisdictio e l'uso delle medesime leggi e del medesimo diritto. Questo diritto comune dicesi perciò ius civile, e lo stesso significato ha senza dubbio ius Quiritium, che non può esprimere il diritto di una parte del popolo romano, (dei Tities secondo la falsa etimologia da Cures, Liv. I, 13, vedi Puchta, Inst. § 38: la sola etimologia ammissibile è certo quella da quiris hasta). Basta pensare all'uso generale che i giureconsulti fanno della formula ex iure Quiritium.

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(2) Sul potere regio, vedi Rubino, Untersuchungen, etc. pag. 107 segg. 13 segg. Lange, R. A. I, 252 segg. Mommsen, Staatsrecht, II, 3 segg. nome di imperium intendono i Romani il potere supremo, il pieno diritto di comandare ai cittadini, e lo distinguono però dalla potestas che può applicarsi a qualunque magistratura: vedi specialmente Fest. s. v. cum imperio. Da Lange, l. c. e da altri vien negato al re un potere legislativo. Astrazione fatta dalle leges regiae (di cui vedi nel cap. VII) non si può negare ai re l'ius edicendi, che spettò sempre ai magistrati posteriori, nè l'ius agendi cum populo, specialmente quando si pensi alla lex de imperio. Che del resto quei diritti fossero raramente usati dai re, è molto probabile. Sull'interregnum, vedi Liv. I, 17. Cic. de rep. II, 12. Dionys. II, 57. Plut. Num. 2. Zonar. 7, 5: cf. Mommsen, R. Forschungen, pag. 218 segg. Che gli antichi scrittori intendano tutti parlare del senato e non di tutto l'ordine dei patrizii, è confessato da quegli stessi, che nei patres veggono sempre i patrizii: vedi Lange, l. c. pag. 253 segg. Ora questa ultima opinione, oltre all'essere in aperta contradizione colle fonti, confonde i diversi stadii della elezione del re. Così Lange, ibid. è costretto a vedere la stessa cosa nella auctoritas patrum e nella lex curiata de imperio, che Cicerone distingue benissimo nel de rep. II, 13. 17. 18. 20. 21. Vedi sulla lex curiata de imperio, Rubino, Untersuchungen, etc. pag. 360 segg. A. W. Zumpt, Excursus de lege curiata nella sua edizione delle orazioni di Cicerone de lege agraria. Mommsen, Staatsrecht, I, 50 segg. Si confronti ancora nel Graevii thes. I, 815 segg. gli scritti scambiati in una celebre controversia fra Sigonio e Gruchio. Si noti la differenza che passava fra i primi tre atti della vera e propria elezione (ai quali si deve aggiungere l'atto religioso della inauguratio, Liv. I, 18. Plut. Num. 7. Zon. VII, 5) e la legge sull'imperium. In quest'ultima agiva l'eletto stesso e in forza della sua potestas: però scrive Cicer. l. c. « tamen ipse de suo imperio legem curiatam tulit ». Si rilevi inoltre la natura contrattuale della lex de imperio: era un contratto bilaterale, che si perfezionava colla domanda e la risposta: cf. i principii della stipulazione privata nel cap. XXI. Non arrivo a comprendere perchè il Mommsen dopo avere scritto (Staatsrecht, I, 50) che la lex de imperio riposò sopra antichissima consuetudine» voglia togliere poi (II, 6) ogni valore alle troppo precise notizie di Livio e di Cicerone con queste parole: « Ciò non è altro in sostanza che la posteriore elezione consolare trasportata all'epoca dei re: nè da questo racconto foggiato evidentemente dagli insegnanti di diritto pubblico della repubblica per i loro scopi (?) si può in alcun modo dedurre che i re difatto abbiano ottenuto in tal guisa il loro potere. » Rubino, l. c. pag. 397, ha già osservato benissimo che la tradizione storica di quell'epoca è spesso incerta, non

però la tradizione di diritto pubblico, che riposava sopra antichissime formule. Si noti che anche il Dittatore, che pure non è nominato dai comizii, è obbligato a presentare la lex curiata de imperio (Liv. IX, 38. 39). (3) La lex curiata de imperio rimase durante tutta la repubblica una necessità costituzionale per l'esercizio del supremo comando e della giurisdizione dei magistrati maggiori ed anche per l'esercizio della potestas dei minori. Per i censori si richiedeva una lex centuriata (Cic. de leg. agr. II, 11, 26). Che la legge curiata fosse divenuta ben presto una formalità e non si compisse più davanti alle curie ma davanti a 30 littori destinati a rappresentarle, risulta da Cic. ibid. II, 11. Ma senza di essa mancava l'imperium. Cic. l. 7. II, 12: Consuli si legem curiatam non habet, attingere rem militarem non licet. Liv. V, 52: comitia curiata quae rem militarem continent: vedi anche Cic. ad Attic. IV, 16. Per la legge de imperio sotto il principato, vedi cap. XXX, not. 2. Per il consolato vedi principalmente Mommsen, Staatsrecht, II, 70 segg, Lange, R. A. I, 612 segg. Il primo nome dei consoli fu praetor (comandante in capo): Varr. de vita pop. R. ap. Non. s. v. Consulum: « quod idem dicebantur consules et praetores, quod praeirent populo, praetores, quod consulerent senatui (senatum?) consules ». Cic. de leg. III, 3, 8: « regio imperio duo sunto, iique praeeundo, iudicando, consulendo praetores, iudices, consules appellamino ». Pare che così fossero chiamati i consoli nelle dodici tavole: vedi Fest. s. v. vindiciae, e Liv. III, 55. — Che fossero detti anche iudices, risulta da Cic. cit. e da Varr. de l. l. VI, 88. — Il nome poi di consules non è meno antico, ma non fu usato ufficialmente nei primi secoli: gli antichi lo fan derivar tutti da consulere (vedi Cic. cit. Varr. cit. Dig. I, 2, 2, 16), i moderni filologi lo interpretano nel senso di compagno, collega (propriamente che salta, balla insieme: cf. praesul, exsul, insula). Intorno all'importante concetto della collegialità e del diritto di intercessione fra i magistrati, vedi Mommsen, Staatsrecht, I, 59 segg. 209 segg. Quanto alle attribuzioni dei consoli, che in genere sono parificate a quelle del re (Cic. de rep. II, 32, Liv. II, 1. 7. Dig. I, 2, 2, 16), si possono specificare nel modo seguente: l'imperium militare (esclusivamente fino all'anno 527 ossia fino alla costituzione della prima provincia), che è sospeso però nella città di Roma e pomerio; il diritto di chiamare i cittadini ed i socii alle armi; il diritto di dichiarare la guerra; l'amministrazione della giustizia civile (fino all'anno 387 esclusivamente, ma anche dopo rimase loro la giurisdizione volontaria); l'amministrazione pubblica e finanziaria (fino all'anno 319 ossia all'istituzione della censura); l'amministrazione della giustizia penale (in quanto non è limitata dai giudizii popolari: vedi cap. IX), il diritto di convocare le assemblee popolari; il diritto di proporvi i magistrati; quello di proporvi

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