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con la riserva però che nel caso di cose assolutamente indivisibili o almeno divisibili con danno, venisse pagata la parte nel suo valore.

26. D. XXXIX, 6, 35 (Paolo). Una donazione mortis causa può venire dal donatario rivocata finchè è in vita. Se s'intendeva che la proprietà non dovesse passare fino alla sua morte, allora il donatario poteva avere la rei vindicatio. Se era stata trasmessa sotto condizione che venisse poi restituita se il donatario risanava o rivocava la donazione, allora l'azione conveniente era una condictio fondata sulla ragione che aveva determinato la donazione. Questa ultima proposizione era, a quanto sappiamo, sostenuta dai Cassiani; l'opinione dei Proculiani non ci è nota; ma forse essi credevano che un' actio in factum fosse il solo rimedio (cf. ib. L. 30, vel utilem). La questione discussa e decisa da Giustiniano (Cod. VIII, 56 [57], 4) appartiene probabilmente ad un'epoca posteriore, e si riferisce alle formalità speciali, richieste per rendere valida una donazione.

27. D. XLI, 1, 11 (Marcello). Il pupillo non può alienare alcuna cosa senza essere assistito ed autorizzato dal suo tutore (D. XXVI, 8, 9, 1 e 5). Secondo i Sabiniani egli non poteva perdere nemmeno il possesso naturale, ed anche Giustiniano era di questa opinione. Come la pensassero su ciò i Proculiani non ci è noto; forse essi credevano che l'autorità del tutore, essendo stata creata dal diritto civile, non avesse niente a che fare col possesso naturale. Veggasi il linguaggio usato da Labeone, quo magis naturaliter possidetur, nullum locum esse tutoris auctoritati. Ciò che qui maggiormente importa si è di determinare con precisione il significato di alienare; senza dubbio il pupillo poteva perdere la possessione corpore, ma lo stabilire se potesse legalmente trasferirsi il possesso è una questione affatto diversa. Cf. D. XLI, 2, 29 (Ulp.). Possessionem pupillum sine tutoris auctoritate amittere posse constat, non ut animo sed ut corpore desinat possidere; quod est enim facti, potest amittere. Alia causa est, si forte animo possessionem velit amittere, hoc enim non potest.

28. D. XLI, 7, 2 (Paul.), XLVII, 2, 43, 5 (Ulp.). Una cosa abbandonata dal suo proprietario, secondo Sabinus e Cassius

cessava d'essere sua immediatamente; Proculus invece sosteneva che continuava ad essere sua finchè qualche altro se ne impossessasse. L'opinione Sabiniana prevalse.

29. D. XLV, 1, 138 (Venul.). Un individuo stipula di ricevere una data somma in certi giorni di mercato (certarum nundinarum diebus dari). Quando potrà egli esigerla? Sabino credeva che la potesse esigere il primo giorno di mercato. Proculus e le altre autorità della scuola opposta sostenevano che non poteva esigerla, se non dopo che era completamente finito il mercato. Ulpiano si unì ad essi e Giustiniano adottò la loro opinione nel Digesto (Sulla lettura vedi Mommsen ad loc.; evidentemente il non è richiesto dal senso).

Dircksen (p. 113) pone in evidenza la connessione di questa disputa con l'altra menzionata nel D. XLV, 1, 115, 2, dove Sabinus sostiene che una pena stipulata per il caso di inadempimento di un contratto può essere pretesa appena che l'esecuzione è possibile. Pegasus sostiene che l'attore deve attendere finchè l'esecuzione è divenuta impossibile; Papinianus s'unisce a Sabinus, purchè vi sia una espressa stipulazione sull'adempimento e non solo una pena sul non adempimento.

30. Cod. VI, 29, 3. Un caso simile a quello del no 5 era quello d'un fanciullo nel ventre di sua madre alla morte del testatore, che, qualora fosse già nato, sarebbe stato un suus heres (p. e. il nipote del testatore nato dal figlio in potestate). Il testatore non ne fa parola nel testamento. Se il fanciullo nasceva vivo, anche qualora morisse poi senza far sentire la sua voce, i Sabiniani credevano che il testamento venisse annullato. Quale fosse l'opinione dei Proculiani su questo punto non ci è detto esplicitamente, ma è presumibile che essi credessero necessario che il fancinllo si facesse sentire colla voce come prova che era vivo. Anche nell'antico diritto Germanico si richiedeva una simile condizione (das Beschreien der Wände) (cf. Pernice, Labeo, p. 24; Gerber, Deutsches Privatrecht, § 34). Giustiniano adottò l'opinione dei Sabiniani.

I casi che abbiamo sopraesposti sono i soli nei quali l'esi stenza di controversie fra le due scuole è mostrata esplicitamente, o con le parole Sabiniani ecc., o mediante i nomi di

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CAPITOLO IX. LABEONE E LE DUE SCUOLE DEI GIURISTI

giuristi appartenenti alle due scuole e designati come sostenitori di opinioni contrarie. Ma dovette anche esservi un numero considerevole d'altri punti controversi, sui quali non avvenne vera disputa, o almeno solo fra giuristi singoli. Simili casi che il Dirksen pone fra le controversie delle scuole, sono quelli dove si dice che un'opinione era sostenuta da Sabinus e Cassius, o dove trovansi nominati i capi delle scuole.

Sabinus e Cassius sono nominati nei seguenti casi, ma raramente ci è noto quale fosse l'opinione contraria e quali giuristi la sostenessero: Gai, III, 133 (Nerva era d'opinione contraria); D. V, 1, 28, 5; IX, 4, 15; XV, 1, 3, 9, e 42; XVI, 3, 14, 1; XVIII, 1, 35, 5; XXVI, 7, 37 (bis); XL, 4, 57 (in opposizione ad alii quidam); XLI, 2, 1, 5 (Sabino et Cassio et Juliano placuit); XLI, 3, 4, 16; e 10; XLII, 3, 4, 1; XLIII, 16, 1, 14. I nomi dei capi sono nominati in Gai, II, 178 Sabinus — alii; D. II, 4, 8, 2, Celsus — Iulianus, cf. D. XXXVII, 14, 15; III, 5, 17 (18). Proculus et Pegasus anche Neratius; XV, 1, 30, Proculus et Pegasus; XVIII, 2, 14, 1, Labeo et Nerva; XX, 4, 13, Nerva, Proculus; XXVI, 2, 33, Trebatius et Iacolenus -Labeo et Proculus; XXXI, 20, et Proculo placuit et a (Celso) patre accepi; XXXIII. 7, 12, 3, et Labeo et Pegasus; XXXIV, 2, 15, Labeo - Cassius; XXXIX, 2, 15, 32, Labeo - Sabinus; XLI, 1, 27, 2, Cassius - Proculus et Pegasus; XLI, 2, 1, 14, Neroa filius - Cassius et Iulianus, XLV, 1, 115, 2, Pegasus - Sabinus; 3, 28, 4, Proculus - Cassius; XLVI, 3, 93, 3, Sabinus - Proculus; 95, 7, Labeo et Pegasus; e senza dubbio vi sono altri esempi simili.

D'altra parte su certi punti i seguaci delle due scuole opposte si trovavano d'accordo: p.e.: Gai, III, 140: Labeo e Cassius si trovano d'accordo contro Ofilius (maestro di Capitone) e Proculo; Vat. Fr. 1: Proculo e Celso s'allontanano da Labeone; e similmente Vat. Fr. 71, a; D. VII, 5, 3. Nerva si discosta da Cassius e Proculus; 8, 12, 1. Nerva s'allontana da Sabinus, Cassius, Labeo, e Proculus (1).

(1) Vedi PADELLETTI-COGLIOLO, Storia del diritto romano (1886), p. 425, sgg.

CAPITOLO X.

GIURISTI DELLA PRIMA METÀ DEL PRIMO SECOLO

C. ATEIUS CAPITO ci viene designato da Pomponius come capo di una scuola di giuristi opposta a quella di Labeone. Scolaro o seguace di Ofilius, egli fu a Labeone avverso come divoto sostenitore del nuovo sistema imperiale e come paladino scrupoloso dell'antico diritto (D. 1, 2, L. 2, § 47). L'avolo suo era stato centurione di Silla: suo padre pretore (Tac. Ann. III, 75) e se egli fu quel C. Ateius, e niente osta al supporlo, tribuno nel 46 a. C. qui Caesarem semper coluit et dilexit (Cic. Fam. XII, 29, § 6), noi possiamo dire che la politica di Capitone era ereditaria (1). Nel 5 d. C. fu fatto console, prima del tempo richiesto, essendo Augusto desideroso di preferirlo al suo grande rivale Labeone, la repubblicana indipendenza del quale era in manifesto contrasto coll'adulazione ossequiosa che Capitone professava verso l'autorità dominante. Tacito ci racconta che Lucio Ennio cavaliere Romano, essendo stato accusato d'aver fuso una statua d'argento dell'imperatore per uso comune, ed avendo Tiberio posto il veto all'accusa, Capitone s'interpose e chiese che fosse concesso al Senato il diritto di decidere la maniera di procedere contro una tale colpa, commessa non solo contro l'imperatore, ma contro lo

(1) Vi furono però altri personaggi dello stesso nome. In un decreto del Senato, precedente la rottura fra Cesare e Pompeo, il nome di L.Ateius L. f. Anfiensi tribu) Capito è compreso fra quelli di cui tratta il decreto, e presumibilmente dalla parte opposta a Cesare. Anche Curio che divenne poi caldo sostenitore di Cesare trovasi nella stessa condizione. In qual grado di parentela si trovasse Lucius con Caius non ci è noto. Nel Corp. I. Lat. I, 1341 si trova una iscrizione nella quale si fa menzione di un L. Ateius M. F. Capito.

ROBY Introduzione al Digesto.

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Stato (Tac. Ann. III, 70). Un'altra volta Tiberio usò in un decreto riguardante i doni di capo d'anno una parola, che non era di buona latinità; il giorno dopo manda a chiamare i filologi per sentire il loro avviso. M. Marcello, purista latino, trova che quella parola non era di buon uso; ma Capitone gli risponde che essa invece lo era, e che se anche non lo fosse stata fino allora, lo sarebbe per l'avvenire. Al che Marcello rispose che egli errava, perchè Cesare poteva dar la cittadinanza agli uomini, ma non alle parole (Svet. Gram. 22; Dio, LVII, 17).

Capitone venne insieme ad Arruntius incaricato di liberare la città dalle inondazioni del Tevere (15 d. C.), ma il loro progetto di cambiar corso ad uno dei suoi affluenti trovò energica opposizione, cosicchè non approdò a nulla (Tac. Ann. I, 76, 79). Egli fu anche eletto curator aquarum (16 d. C.) e sembra che tenesse questa carica fino alla sua morte (Front. Aq. 102) nel 22 d. C. Grande fu la sua fama come giureconsulto; Tacito lo chiama insieme a Labeone ornamento di pace (ib.) e si lamenta che egli macchiasse la sua posizione elevata e la sua fama, adulando l'imperatore (ib. 70). Lo stesso Tacito lo chiama altrove divini humanique iuris sciens; Gellio (X, 20, § 12), publici privatique iuris peritissimus; e Macrobio infine (Sat. VII, 13, § 11), pontificii iuris inter primos peritus.

Alcuni frammenti conservati in Gellio ed altrove provengono dal nome delle sue opere, chiamate Coniectanea, libri de pontificio iure, e liber de officio Senatorio. Si crede che il de iure sacrificiorum sia una parte della seconda di queste opere. I frammenti conservati contengono aneddoti, etimologie, definizioni, distinzioni di parole, brani di archeologia, e sono raccolti nella Iurisprudentia anteiustiniana di Huschke. Proculus ed Ulpianus lo citano nel Digesto (VIII, 2, 13, 1) (XXIII, 2, 29). Per le citazioni d'<< Ateio» vedi il capo VIII; alcune, forse tutte, non si riferiscono a questo Capitone, ma allo scolaro di Servius, forse suo padre.

MASURIUS SABINUS succedette a Capitone come capo della sua scuola, ma ne ampliò le dottrine e si guadagnò eterna riputazione con la sua trattazione sistematica del diritto civile. Egli fu il primo ad esporre pubblicamente opinioni su punti di

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