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tradotte in italiano, dirò la ragione, per la quale io non ho riprodotto coteste già edite traduzioni, ed ho voluto piuttosto farne io medesimo una novella. Dico primieramente, che dovendo dare la traduzione promessa, più dicevole m' è sembrato il presentarne una fatta per intero dalla mano medesima, affine di non unire insieme de'componimenti diversi fra loro nella dizione e nello stile. Dico secondariamente, che le già edite traduzioni (e sono quelle della lettera ad Arrigo, dell'altra all'Amico fiorentino) evidentemente appariscono

fatte con poco o nulla d'eleganza, e la prima particolarmente con qualche disordine nella sintassi e con poco d' intelligenza del testo latino, lo che forse può essere addivenuto dall'avere il traduttore letto sopra un esemplare non iscevro d' errori. E perchè delle mie asserzioni apparisca la veracità, riporterò qui appresso di fronte a qualche brano dell'antica un altro della traduzione novella, attalchè non resterà difficile il rilevarne la differenza.

DALL' EPISTOLA AD ARRIGO.

Sanctissimo triumphatori... domino Henrico... omnes Thusci, qui pacem desiderant terrae, osculantur pedes.

Immensa Dei dilectione testante, relicta nobis est pacis haereditas, ut in sua mira dulcedine militiae nostrae durae mitescerent, et in usu eius patriae triumphantis gaudia me

reremur...

Traduzione d'antico anonimo.

Traduzione novella.

Al santissimo trionfatore... Messer Arrigo...

Al gloriosissimo e felicissimo trionfatore... Messer Arrigo...tutti i Toscani universalmente tutti universal mente i Toscani, che pace in che pace desiderano, mandano baci alla terra terra desiderano, mandano baci a'suoi piedi. dinanzi ai vostri piedi.

Testificando la profondissima dilezione di Dio, a noi è lasciata l'eredità della pace, acciocchè nella sua maravigliosa dolcezza l'asprezze della nostra cavalleria s'umiliassero, e nell'uso d'essa meritassimo l'allegrezza della vittoriosa patria del Cielo...

Testimone la immensa dilezione di Dio, fu a noi lasciata l'eredità della pace, affinchè nella sua maravigliosa dolcezza la nostra dura milizia tornasse più mite, e nell'uso di quella meritassimo i gaudi della trionfante patria celeste.

Non enim ad arbores extirpandas valet ipsa ramorum incisio, quia iterum multiplicius via terrae ramescent, quousque radices incolumes fuerint, ut praebeant alimentum. Qui praees unice mundo, quid peregisse praeconiaberis? Quum cervicem Cremonae deflexeris contumacis, nonne tunc vel Brixiae vel Papiae rabies inopina turgescet? Immo! Quae, quum flagellum resederit, mox alia Vercellis, vel Pergami, vel alibi returgebit, donec huiusmodi rabies tollatur, et radice tanti erroris avulsa, cum trunco rami pungentes arescant...

In verità egli non vale a diradicare gli alberi, il tagliamento de' rami, anzi ancora multiplicando, essendo verdi, rifanno rami, infino a tanto che le radici sieno sane, acciocch'elle dieno alimento. Che, o principe solo del mondo, annunzierai tu aver fatto? Quando avrai spiegato il collo della contumace Cremona, non si rivolgerà la subita rabbia o in Brescia o in Pavia? Sì, farà certo! La quale, altresì quand'ella sarà stata flagellata, incontanente un'altra rabbia si rivolgerà o in Vercelli o in Bergamo o altrove, ed infino a tanto andrà facendo così, che sia tolta via la radicale cagione di questo pizzicore, e divelta la radice di tanto errore, col tronco i pungenti rami inaridiscano.

Non infatti a distruggere gli alberi vale lo tagliamento de'rami, perciocchè, fino a tanto che le radici sieno incolumi sì che loro prestino alimento, per le vie della terra più ramosi ritornano. E tu che reggi i destini del mondo, che annunzierai d'aver fatto? Quando tu abbia piegato la superba cervice di Cremona, non forse inopina s'infiammerà la rabbia di Brescia o Pavia? Sì certo. La quale, poich'avrà ristato il flagello, incontanente in Vercelli, in Bergamo o altrove con nuova faccia si mostrerà, fino a che cotanta rabbia sia spenta, e divelta di tanto error la radice, i pungenti rami insiem col trono inaridiscano.

DALL' EPISTOLA ALL' AMICO FIORENTINO.

Estne ista revocatio gloriosa, qua Dantes Alligherius revocatur ad patriam, per trilustrium fere perpessus exilium? Haec ne meruit innocentia manifesta quibuslibet ? Haec

sudor et labor continuatus in studio? Absit a viro philosophiae domestico temeraria terreni cordis humilitas, ut more cuiusdam scioli et aliorum infamium, quasi vinctus, ipse se patiatur offerri. Absit a viro praedicante iustitiam, ut, perpessus iniuriam, inferentibus, velut bene merentibus, pecuniam suam solvat.

Traduzione del Dionisi.

Traduzione novella.

È egli adunque questo il glorioso modo per cui Dante Alighieri si richiama alla patria dopo l'affanno d'un esilio quasi trilustre? È questo il merito dell' innocenza mia ad ognun manifesta? Questo or mi fruttano il largo sudore e le fatiche negli studi du

Or' è questa la gloria con cui si richiama Dante Alighieri alla patria, dopo ch' egli ha sofferto per quasi tre lustri l'esilio? in cotal modo rimunerasi la sua innocenza a chiunque già manifesta? in cotal modo il sudore e il lavoro di lui continuato nello studio? Lungi dall' uom domestico della Fi-rate? Lungi dall'uomo, della Filosofia familosofia l'inconsiderata bassezza propria d'un cuor di terra, ch' egli stesso a guisa di certo saputello, e d'altri privi di fama, quasi con legami stretto, tolleri d'esser offerto. Lungi dall' uomo banditore della giustizia, ch' egli ingiuriato isborsi a' suoi ingiuriatori, come a benemeriti, il suo denaro.

gliare, questa bassezza propria d'un cuor di fango, ch'egli a guisa di misero saputello, e di qualunque senza fama si vive, patisca, quasi malfattore fra lacci, venire offerto al riscatto! Lungi dall'uomo, banditor di giustizia, ch' egli d' ingiuria offeso, a' suoi offensori, quasi a suoi benemeriti paghi il tributo!

Non est haec via redeundi ad patriam, pater mi; sed si alía per vos, aut deinde per alios invenietur quae famae Dantis atque honori non deroget, illam non lentis passibus acceptabo. Quod si per nullam talem Florentia introitur, numquam Florentiam introibo. Quidni? nonne solis astrorumque specula ubique conspiciam? Nonne dulcissimas veritates potero speculari ubique sub coelo, ni prius inglorium immo ignominiosum populo Florentinaeque civitati me reddam ?-Quippe nec panis deficiet.

Traduzione del Foscolo.

Questa, padre mio, non è la strada, onde tornare alla patria; ma se altra per voi o per altri dappoi fie trovata, che alla fama e all' onor di Dante non deroghi, per quella con passi non lenti mi metterò. Che se per niuna cotale si entra in Firenze, in Firenze non entrerò io mai. E che? Mi fie dunque conteso isguardare, dovunque mi sia, la spera del sole e delle stelle? Non potrò forse speculare dappertutto dolcissime veritadi di sotto dal cielo, ch' io prima non mi faccia inglorioso, anzi ignominioso al popolo fiorentino e alla sua gran villa?-Pane cerlo non mi mancherà.

Quanto allo stile di queste Epistole, io non sentenzierò con un moderno Scrittore della Vita di Dante (1), essere tutt' affatto intralciato e barbaro, anzi più che barbaro; ma dirò solo che si risente (e certo non potrebbe a meno) della rozzezza del secolo XIV, in cui pria che Petrarca s'adoperasse, lo studio delle buone Lettere latine non avea incominciato a risorgere. Cotesto critico dovea, ad esser giusto, non por sotto occhio al Lettore l'antica traduzione che abbiamo riportata qui sopra, ed in cui chiaro apparisce il difetto di perspicuità e d'or

(1) Il signor Cesare Balbo.

Traduzione novella.

Non è questa la via di ritornare alla patria, o padre mio: ma se un'altra per voi o per altri si troverà, che la fama e l'onor di Dante non sfregii, io per quella mi metterò prontamente. Che se in Fiorenza per via onorata non s' entra, io non entrerovvi giammai. E che? non potrò io da qualunque angolo della terra mirare il Sole e le stelle? Non potrò io sotto ogni plaga del cielo meditare la dolce verità se pria non mi renda uom senza gloria anzi d'ignominia in faccia al popolo e alla città di Fiorenza? - Nè il pane pure, io confido, verrammi meno.

dinata sintassi, ma prendere ad esame l'originale latino, e considerarne lo stile nel tempo che, così facendo, si sarebbe forse astenuto dall' irridere al buon Villani, e ai di lui contemporanei, i quali paragonando le Epistole dell' Alighieri cogli altri componimenti latini dell'età loro, le commendarono molto, e disserle afforzate d'eccellenti sentenzie ed autoritadi, e scritte con alto dettato.

Riproducendo queste Epistole ho creduto bene non toglierne le note che il sullodato Prof. Witte vi appose, modificandone talvolta alcuna, e talaltra alcuna io stesso aggiungendone. Queste note o dànno contezza delle varie lezioni che ne' Codici incontran

si, o delle emende e de' supplementi fatti in alcuni luogi del testo viziati o mancanti, o sono semplici citazioni e richiami, o rischiarano alcun punto di storia quivi toccato. E dappoichè il Professor Witte, questo benemerito delle Lettere nostre e di Dante Alighieri, produsse, or non ha molto, in un giornale d'Alemagna, un suo articolo, riguardante alcune novelle e interessantissime scoperte da esso fatte intorno le Epistole del divino Poeta, questo pure stimo opportuno il dar qui appresso tradotto.

mezzo de' cortesi officii d'alcun suo amico riuscì il Witte ad ottenerne una copia; ed infrattanto ch' ei preparavasi a far delle medesime un' edizione insiem colle altre primamente stampate, volle dar contezza al pubblico di questo avventuroso ritrovamento per mezzo dell' articolo in discorso, che or soltanto ci resta, perdute essendo un' altra volta le Epistole. Imperocchè il Witte tornando un bel giorno nelle sue stanze non più trovò le Carte, sì per lui che per gli amatori di Dante cotanto preziose, nè per Per quanto il Professore alemanno ne fa quante ricerche egli a far si ponesse, potè sapere, egli pervenne a discuoprire in un tal più giungere a rinvenirle. E poichè sembra Codice MS. tre nuove interessanti Epistole che al Witte sia restata preclusa la via di dell' Alighieri insieme ad altre quattro che trarne una seconda copia, e poichè il Cosebbene portassero il nome d'Alessandro dice che le contiene, serbasi in uno di quei da Romena e della Contessa Guidi da Bat-luoghi, muti, direbbe il nostro Poeta, d'otifolle, pure da molti segni appariva essere gni luce, io m' asterrò dal metter fuori sulstate scritte sotto la di lui dettatura. Per l'accaduto ogni qualunque siasi congettura.

DANTE. Opere Minori.

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SOPRA ALCUNE EPISTOLE DI DANTE ALIGHIERI Novellamente ritrovate articolo DEL SIG. PROF. CARLO WITTE, INSERITO IN UN GIORNALE DI GERMANIA, DAL TEDESCO IN LINGUA FRANCESE TRADOTTO DAL SIG. N., E DAL FRANCESE IN ITALIANO DA PIETRO FRATICELLI.

La grande lacuna che incontrasi nella storia della vita di Dante, lacuna che coloro, i quali cercano le vere cause da cui fu mosso a dettare il Sacro Poema, priva di un mezzo il più efficace per giungere al fine d'una tale ricerca, dee principalmente attribuirsi a una singolar circostanza, voglio dire alla perdita del suo Epistolario, che, secondo la testimonianza de' suoi primitivi biografi, fu si ricco pel volume e si interessante pel con

tenuto.

Un mezzo secolo fa noi non possedevamo che solo una Lettera, quella cioè intorno la Cantica del Paradiso, dedicato a Can della Scala; e questa, di cui alcuno volle pur contrastare l'autenticità, merita piuttosto il nome d'una Prefazione che quello d'un' Epistola. Poco appresso il Dionisi (1) pubblicò una Lettera, che sebbene sia breve, pure è assai interessante, nella quale l' Alighieri con un nobile disdegno rinunzia al suo ritorno in patria, che venivagli offerto ad umilianti condizioni. Oltre di queste ne avevamo, ben è vero, altre due, ma non nel loro originale latino; sibbene in un'italiana traduzione fatta senza dubbio da Marsilio Ficino. Nella prima Dante invita i Principi e gli Stati liberi d'Italia a mostrarsi benevoli ed uniti inverso Arrigo VII, che allor moveva alla volta d'Italia, e nella seconda egli esorta l'Imperatore stesso a lasciare la Lombardia, i cui intrighi e i combattimenti aveangli fatto perdere un anno di tempo prezioso, e a venire irrompendo sulla Toscana per isvellere di Firenze il Guelfismo fino dalle sue più profonde radici.

Quando, or son più di dieci anni, io pubblicai una Raccolta delle Lettere di Dante, impressa nel numero di soli 60 esemplari, fra le altre cose non ancor messe in luce, potei venturosamente comprendervi 1.° Una missiva a' Cardinali Italiani riuniti al Conclave di Carprentas, nella quale Dante rappresentando loro la corruzione del Clero, gl'in

(1) Nel IV. de' suoi Aneddoti, Verona 1790

vita a riportare la Sedia Apostolica in Roma; 2.° L'originale latino della sua Lettera a Cino da Pistoia scrittagli per risolvere una questione di galanteria, che da Cino era stata a Dante proposta.

Da indi in poi non pretermisi un momento le cure, affine di pervenire a discoperte di simil fatta, e l'insistenza delle mie indagini mi condusse, pel mezzo de' cortesi officii d'alcun amico lontano, sulle traccie d'una scoperta altrettanto ricca che inopinata, della quale una breve e preliminare notizia, ancorchè fosse esposta sopra un piano più vasto, non potrebbe a meno di presentare a'Lettori un qualche interesse.

Fra i Manoscritti, i quali facean parte del sacco d'Heidelberg, e dei quali Massiliano di Baviera fece nel 1622 un presente a Gregorio XV, trovavasi un Volume membranaceo in 4, seguato di num. 1729. Questo Codice, scritto, com' apparisce, nell' estate del 1394 in Perugia per mano di Francesco da Monte Pulciano, contiene le dieci Egloghe del Petrarca, il noto Trattato di Dante intorno la Monarchia, e nove Epistole latine, una sola delle quali, (quella cioè di Dante ad Arrigo da me primamente nel suo originale prodotta ) era stata data alle stampe. Pur questa Epistola, siccome leggesi nel MS. presenta una quantità di varianti migliori. Un'altra di queste Epistole ( ed è quella scritta a' Principi d'Italia ) non avevasi in prima se non nella traduzione, di cui abbiamo toccato più sopra, ed il MS. ce ne presenta finalmente l'originale. Le altre sette erano rimase fino al presente sconosciute affatto; ed in questo antico Codice è detto positivamente che tre fra di esse appartengono al nostro Poeta: le altre quattro, sebbene scritte sotto altri nomi, appariscono egualmente come pertinenti a Dante, si per la loro classificazione, si per il lor contenuto. È dunque agevol cosa il vedere che per questo ritrovamento aumenta sufficientemente quanto noi fino dal 1827 possedevamo del| Epistolario di Dante Alighieri.

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