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il Filelfo, se riporta un principio differente del Volgar Eloquio, non fa altrettanto di quel lo della Monarchia, opera la cui originalità non puossi un momento mettere in dubbio? Che forse non riporta il principio d'un'istoria de'guelfi e ghibellini, ch'egli gratuitamente afferma scritta da Dante? Che forse non narra cento altre fole, che fanno appieno nota la sua malafede e impudenza? Ma non puossi chiaramente mostrare, si continuerà a dire, che il Trissino non sia l'autore del libro, dappoichè l'originale latino, su cui fece la sua edizione il Corbinelli, mai più s'è veduto, lo che induce grave sospetto di frode. Ma se la maggior parte de' Codici greci, sui quali fece le sue edizioni l'Aldo, son oggi perduti, perchè non potrà essersi perduto quello usato dal Corbinelli? Dicano invece i Critici qual molla potea spingere il Trissino e l'editore del testo latino a commettere una tale impostura. Io veggo frattanto che la poetica del Trissino non concorda colle massime del Volgar Eloquio: dunque lo scrittore

non è lo stesso: veggo nel Volgar Eloquio che mai è fatta menzione della Divina Commedia, la qual cosa un impostore, ad autenticare il suo libro, non avrebbe certo lasciato di fare: veggo che il traduttore italiano ha talvolta inteso a rovescio le frasi del testo latino, lo che patentemente palesa che l'autore della traduzione non è lo stesso del testo. E questa particolarità fu pure notata dal Dionisi, dal Foscolo e da altri giudiziosi Scrittori.

Ma è venuto omai il tempo, in che tutte queste lunghe ed intricate quistioni denno aver fine. Io annunzio per il primo all' Italia, che l'originale latino del Volgar Eloquio di Dante è già ritrovato: non so se sia l'autografo o sivvero una copia e forse quella, su cui fu fatta l'edizione del 1577, ma pure è del secolo XIV; anteriore dunque al Corbinelli ed al Trissino. Esso conservasi nella pubblica Bilioteca di Grenoble, e da esso apparirà se il Trissino sia un impostore, o se abbia in qualche parte alterato l'opera originale di Dante.

DE

VULGARI ELOQUIO

SIVE IDIOMATE

LIBRI DUO

CUM ITALICA INTERPRETATIONE

IOANNIS GEORGII TRISSINI

DE VULGARI ELOQUIO

LIBER PRIMUS

DEL VOLGARE LINGUAGGIO

LIBRO PRIMO

CAPUT I.

QUID SIT VULGARIS LOCUTIO, ET QUO DIFFERAT A GRAMATICA.

Cum neminem ante nos de Vulgaris Eloquentiae doctrina, quicquam inveniamus traclasse, atque talem scilicet Eloquentiam penitus omnibus necessariam videamus cum ad eam non tantum viri, sed etiam mulieres, et parvuli nitantur, in quantum Natura permittit: volentes discretionem aliqualiter lucidare illorum, qui tanquam caeci ambulant per plateas, plerumque anteriora posteriora putantes: Verbo aspirante de coelis, locutioni vulgarium gentium prodesse tentabimus; non solum aquam nostri ingenii ad tantum poculum haurientes, sed accipiendo, vel compilando ab aliis, potiora miscentes, ut exinde potionare possimus dulcissimum hydromellum. Sed quia unamquamque doctrinam oportet non probare, sed suum aperire subiectum, ut sciatur quid sit, super quod illa versatur, dicimus celeriter attendentes, quod Vulgarem locutionem appellamus eam, qua infantes adsuefiunt ab adsistentibus, cum primitus distinguere voces incipiunt: vel quod brevius dici potest, Vulgarem locutionem asserimus, quam sine omni regula nutricem imitantes, accipimus. Est et inde alia locutio secundaria nobis, quam Romani Gramaticam vocaverunt. Hanc quidem secundariam Graeci habent, et alii, sed non omnes; ad habitum vero huius pauci perveniunt, quia non nisi per spatium tem

DANTE. Opere Minori.

CAPITOLO I.

CHE COSA SIA IL PARLAR VOLGARE, E COME È DIFFERENTE DAL GRAMMATICALE.

Non ritrovando io, che alcuno avanti me abbia della Volgare Eloquenzia niuna cosa trattato; e vedendo questa cotal Eloquenzia essere veramente necessaria a tutti; conciò sia che ad essa non solamente gli uomini, ma ancora le femine, ed i piccioli fanciulli, in quan to la natura permette, si sforzino pervenire; e volendo alquanto lucidare la disgrezione di coloro, i quali come ciechi passeggiano per le piazze, e pensano spesse volte, le cose posteriori essere anteriori, con lo aiuto, che Dio ci manda dal Cielo, ci sforzeremo di dar giovamento al parlare delle genti volgari; nė solamente l'acqua del nostro ingegno a si fatta bevanda piglieremo; ma ancora pigliando, ovvero compilando le cose migliori dagli altri, quelle con le nostre mescoleremo, acciò che d'indi possiamo dar bere uno dolcissimo idromele. Ora perciò che ciascuna dottrina deve non provare, ma aprire il suo suggetto, acciò si sappia, che cosa sia quella, nella quale essa dimora, dico, che 'l parlar Volgare chiamo quello, nel quale i fanciulli sono assuefatti dagli assistenti, quando primieramente cominciano a distinguere le voci, ovvero, come più brevemente si può dire, il volgar parlare affermo essere quello, il quale senz'altra regola imitando la Balia, s' apprende. Ecci ancora un altro secondo parlare, il quale i Romani chiamano Grammatica; e questo secondario hanno parimente i Greci, ed altri, ma non tutti; perciò che pochi all'abito di esso pervengono; conciò sia cosa che se non per spa

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