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(8) Per similitudine ecc..... la verità si discorda dall' apparenza. Luogo contrassegnato in margine dal Tasso. E. M.

tum est, quia consuetudo est similis natu- | parole del Convito in proposito, anzi le ha rae. (Rhet. 1. 1. c. 2.) Difficile est resiste-poste come sue, senza frammettere alcuna re consuetudini, quia assimilatur naturae. citazione. PERTICARI. (Eth. 1. 7. c. 10.) Consuetudo est altera natura (Ibid.). Ad Aristotile fa eco santo Agostino nel 6. della Musica: Consuetudo quasi affabbricata natura dicitur. E san Basilio nella Regola: Non parvus est labor, ut se aliquis a priori non bona consuetudine reflectat et revocet, quoniam quidem mos longo tempore confirmatas vim quodammodo naturae obtinet. V. il SAGGIO, p. 86. E. M.

(9) Il cod. Barb.: e quella fa superba ; il Marc. secondo, il Vat. Urb., ed il Gadd. 134: e quella fai superba; le stampe: e quella fu superba. Ma niuna di queste lezioni è sincera: il perchè abbiamo emendato come dalla buona Critica ne venne suggerito. E. M.

nella

(10) nel quale, leggono correttamente i (50) in buono reggimento: lo disviato si codici Triv., Gadd. 134 e le pr. ediz.-nello rovina. È impossibile l' indovinare come in quale, il cod. Gadd. 135 secondo.. tutti i testi siansi introdotte quest'ultime pa-quale, malamente il Biscioni. E. M. role, da noi tralasciate perchè prive di ogni legamento col resto. (V. SAGGIO, pag. 98) Il sig. Biagioli nel suo Comento alla Divina Commedia (T. 1. pag. 38, ediz. di Parigi ) riporta queste parole medesime così: lo disviato si rovina, e non ne può l'uomo uscire, se lume celestiale non nel trae; e cita il Convivio, ma non il luogo, nè l' ediz. E. M.

(51) Cioè, sente biasimare la sua beltà per manco, cioè, per difetto, e vogliam dire, come difettosa. P.

(52) Così pr. ediz., il secondo cod. Marciano, il Vat. Urb., i Gadd. 134, e 135 secondo. L'ediz. del Biscioni: della mala cosa buona. E. M.

CAPITOLO IX.

(1) Primamente. P.

(2) Sembra essere quella che comincia:
« Voi che sapete ragionar d'amore. » E.M.

(3) Cioè che si ragiona qui di sopra.

E. M.

Cioè, per mezzo d' un esempio. P. (11) Questo ultimo inciso a me non dà niuno intelletto; e per conseguenza lo giudico monco e da dovere essere compiuto leggendo: dall' apparenza, e l' una è l'altra per diverso rispetto si può trattare; cioè, e tanto l'apparenza come la verità si possono considerare per vero e non vero vendo rispetto in diversa condizione di ragioni. P.

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(12) La volgata lezione di questo passo, secondo il testo Biscioni, è la seguente: e la luce sono propiamente, perchè solo col viso comprendiamo,cioè non con altro senso. Queste cose ecc. La correzione si propiamente ci venne presentata dal primo codice Marciano: il pronome li si è quindi aggiunto, seguendo la ragione gramaticale; e finalmente si sono levate le parole cioè non con altro senso, le quali sono evidentemente glossema. E. M.

(13) Cioè, secondo l'essere ch'elle hanno nell'intenzione del Creatore, che è un essere

per idea. P.

(14) Malamente i codici e le stampe: in vetro trasparente e nell'acqua. Che ecc.... (4) Tutti i testi portano questo passo così: per lo meno sì si compie. Si è mendato col come scusare la conviene; lezione che non sig. Witte: E nell'acqua ch'è nella pupilha senso. Scusare le conviene, legge il cod. la ecc. La correzione mezzo, in luogo di meVat. 4778: manca però del se, cui non puos-no, è scritta in margine del cod. Gadd. 135 si far a meno di non supplire, quando non secondo: E. M. voglia dirsi che Dante abbia qui usato scusare a modo di neutro; il che ne parrebbe strano. E. M.

(5) Cioè, si propone quello contro il quale la scusa fa mestiere, cioè l'accusa. P.

(6) di quello che dee fare, pr. ed., codici Marc. secondo, Gadd. 134, e 135 secondo. E. M.

(15) Ordina ed intendi: E questo discorso, cioè, corrimento che fa la forma visibile nell'acqua che è nella pupilla dell' occhio ( e lo fa pel mezzo d' essa acqua) si compiè cioè, finisce, perchè quell'acqua ecc. P.

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(16) Penso che sarebbe da levare questa virgola dopo la parola lucida e trasportarla innanzi a essa, cioè, dopo la parola pare. (7) Licenza della Canzone indirizzata alla Così n' uscirebbe la sentenza aperta a quemedesima Canzone.-Questa medesima chio-sto modo: Sicchè la forma della cosa, la sa parola per parola fa il Castelvetro alla Canz. XIX del Petrarca: Gentil mia donna, io veggio ecc., la qual finisce: Canzon, l'una sorella è poco innanzi ecc. Ma il Castelvetro, citando il verso di Dante (Al dir d'una sorella che tu hai), non ha citate le

quale per tutto il mezzo trasparente non pare, cioè, non dà nessuna vista di sè medesima, arrivata che sia contro il termine che è detto, si fa lucida cioè, parvente. E. M. (17) Tutti i testi per errore: Di questa ecc. E. M.

(18) cerebro pr. ed. E. M. Quinci pure io penso che si debba levare la virgola, e portarla dietro la parola dinanzi; perciocchè questo avverbio è inoperoso, se si vuole accostare col membro susseguente; laddove egli bisogna al membro antecedente, per compiere la determinazione della parte del celabro, dalla quale alla pupilla si continua lo spirito visivo. P.

(19) Cioè la immagine; onde è da leggersi la in vece di lo, siccome sta in tutti i mss. e nelle stampe. E. M.

(20) Ordina ed intendi: Rappresenta subitamente essa forma della cosa visibile, dove la sensibile virtù, cioè, l'anima sensitiva è, cioè, sta siccome in principio fontale, dal quale si derivano tutte le virtù sensitive particolari. P.

(21) Intendi mezzo in senso de' Fisici; e qui particolarmente, l'atmosfera; come anche nell' altro luogo più innanzi. P.

(22) Cosi le pr. ediz., ed il cod. Gadd. 134, e Vat. Urb.-il Marc. secondo: dello colore.-Il Biscioni: dal colore. E. M. (23) Cioè, il modo pel quale si produce dentro di noi il vedere. P.

(24) Qui per tutto questo capo è detto stella, comunemente per qual siasi de' corpi celesti, meno che il sole. Così nella Vita Nuova nella Canzone Donna pietosa ecc. » Poi mi parve vedere appoco appoco >> Turbar lo sole, ed apparir la stella, » E pianger egli, ed ella. »

I quali versi rispondono a queste parole della prosa: « pareami vedere lo sole oscurare, sicchè le stelle si mostravano di colore, che mi faceano giudicare che piangessero. » P. (25) Perciocchè. P. (26) Perciocchè. P.

(27) paiono tutte rubiconde, pr. ed., cod. Gadd. 134, 135 primo, e Vat. Urb. E. M.

(28) Così i codici Barb., Vat. Urb., Marc., Gadd. 135 primo e secondo.- che fa nostra lettera, il Biscioni. E. M.

(29) discreta, cioè, ben composta. P. (30) rivinsi, secondo il Dionisi ( Anedd. V. pag. 153), qui significa rilegai, riunii, dal lat. revinxi. Sembra però che più naturalmente significhi ricuperai. E. M.

CAPITOLO X.

(1) Crederei fosse giusto e dovuto il leggere: quanto l'agente più al paziente sè unisce, tanto più è forte però la passione; sic-| come per la sentenza del Filosofo in quello di Generazione si può comprendere. L'avverbio però vale in fatti quanto in latino ideo, hac de causa etc. SCOLARI.

Non saprei che lodare lo Scolari di questa emendazione, quanto alla sostanza. Solo vo dubitando s'egli pensò bene a levare l'E in

nanzi a però, che era in posto naturale da dover essere verbo; e a lasciare il segno del verbo l'E dopo più, che probabilissimamente fu un rottame di essa voce più, scritta in antico piue a modo de' Fiorentini, per indolcire la pronuncia. P.

(2) pur secondo l'apparenza non secondo la veritade, pr. ed., codici Gadd. 134 e Vat. Urb. E. M.

(3) sensuale, e però non razionale. P. (4) diafano, di cui è laguna in tutti gli altri testi, si aggiunge col cod. Marciano secondo. E. M.

(5) suddito, pr. ed., cod. Barb., Marc. secondo, Gadd. 134. E. M.

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(6) menomerebbe suo onore, cod. secondo Marciano., Vat. Urb., Barberino, Gadd. 134, e 135 secondo diminuirebbe, Gadd. 135 primo. E. M. mancherebbe, cioè, scemerebbe, diminuirebbe. P.

(7) non piacente o iracondo all' ammonizione, cod. Vat. Urb. E. M.

(8) domandi parola, cioè, domandi licenza. I Francesi Démander la parole per Chicdere di favellare, Avoir la parole per Aver diritto di parlare prima di un altro nelle pubbliche assemblee. E. M.

(9) dicitore, cod. Barb., Vat. Urb., Gadd. 135 secondo, Marc. secondo. Le stampe : dello datore. E. M.

(10) Intendi: La qual discrezione fa come le veci del domandare licenza. P.

CAPITOLO XI.

(1) ancora al principio ritornando, col. Vat. Urb. E. M.

(2) Della Canzone. P.

(3) ne dimostri, codici Gadd. 134, 135 primo Il Gadd. 135 secondo: e ciò dimostri lo nome. - L'ediz. Bisc.: e ciò lo dimostri il nome, con pleonasmo. E. M.

(4) Costituzione per Fondazione, manca al Vocab. PERTICARI

(5) secento cinquant'anni, errore del Biscioni e degli altri editori e copisti emendato dal sig. Witte. Vedi il Petavio, Rat. temp. P. 1. Lib. 2. Cap. 7. E. M.

(6) Tutti questi nomi sono barbaramente storpiati ne' codici e nelle stampe. Eccone la lezione: il quarto Dedalo: il quinto Lidio.... il settimo Perioneo. Ma oseremo noi dire che questi svarioni sieno piuttosto del grande Allighieri, che de' suoi ignoranti copisti? Quanto a Lidio, Dante forse avrà scritto Cleobulo Lindio (cioè da Lindo), e gli amanuensi non ritennero che l'aggiunto, e anche quello guastarono. Dedalo poi divenuto in vece di Talete uno de' sette Savii, chi può vederlo e non ridere? Ma il ridere sarà inestinguibile sopra Perionco, uscito tutto nuovo dalla testa dei

menanti e accolto con grande onore dal dottissimo Biscioni con un forse per Pittaco Mitileneo. Leggi l'annotazione di questo editore ingegnosissimo nel legittimare gli spropositi; ed il SAGGIO. pag. 131. E. M.

(7) lo quinto vocabolo, così tutti i testi. Nel SAGGIO, pag. 130, abbiamo proposto diverse correzioni di questo quinto stranissimo. Ora ne pare che la vera lezione debba essere primo; chè dice Dante: dinanzi da costui (cioè prima di Pittagora) erano chiamati i seguitatori di scienzia, non Filosofi, ma Sapienti. Ond'è che Sapiente era il pri-mo loro vocabolo; e questo fu negato a sè stesso, cioè ricusato, da Pittagora quando volle essere nominato solamente Filosofo, come poi fu dopo di lui ciascuno studioso in sapienzia. E. M.

(8) Φιλοσοφιαν πρωτος ωνόμας, Πυθαγόρας, και εαυτον φιλοσοφον, μέδινα γαρ είναι σοφον «uɔpwπov, «λλ'oy. Diog. Laer. proem. VIII. P.

(9) Tutti i testi qui e la volta appresso, invece di Amatore ( siccome noi emendiamo col Sig. Witte), leggono erroneamente Amore. E. M.

Non si può dire, che Filos di per sè vaglia Amore, ma amico; ma in composizione di parole, vale Amore, vaghezza, studio. BISCIONI.

(10) Cioè, dell'atto proprio del Filosofo, che è Filosofia. P.

(11) Intendi: Ma perocchè le passioni ch'entrano nell'essenza di ciascuna spezie d'esseri, sono comuni a tutti gl'individui che compongono essa specie, ogni qual volta si parla nominando alcuno individuo, già si deve intendere che il discorso non cade su quella condizione di passioni; chè sarebbe vano, appunto come a dire i cavalli d'Achille Xanto e Balio avevano occhi, piedi ecc. P.

amico la cui amistà ecc. Noi l'abbiamo emendato col cod. Gadd. 135 primo. E. M.

(15) conviene essere, così correttamente il cod. Gadd. 135 primo. La lez. degli altri mss. e delle stampe è: comune essere. E. M. (16) Cioè, e questa mutua benevolenza avviene necessariamente o per utilità ecc. P. . (17) che fa l'una delle parti: benivolenzia ecc. Quest'era l'erronea lez. volgata, che emendasi col Biscioni e col Sig. Witte. É. M. (18) ne dimostra, pr. ed., cod. Barb., i Marc., ed i Gadd. 134, e 135 secondo. E. M. (19) in dire Canzoni, cod. Vat. Urb. E.M. (20) che sono tulli membri di sapienza. Nè si dee chiamare ecc., cod. Vat. Urb. E. M. (21) Quest'articolo sembrami di più, poichè l'altro nome che segue non l'ha. PERTICARI. (22) Ch' è, cioè, che è quanto dire. P. (23) Il verbo è qui manca in tutti i testi. E. M.

(24) della sapienzia, codice Barberino, Vat. Úrb., secondo Marciano, Gadd. 134, é 135 secondo. Le stampe: della sua sapienzia. E. M.

(25) Il punteggiamento nell' edizione del Biscioni unisce, come qui l'avverbio solo ad animo; ma sembrami manifestissimo ch'egli ne debba andare colle parole susseguenti. P. (26) Cioè, alla cosa intelligibile. P.

(27) La lez. volgata stava così: Ma perocche alcuno fervore d'animo talvolta .... si chiamano, e per lo vocabolo ecc. Abbiamo supplito l'in dopo perocchè, di cui a parer nostro vi avea laguna, e quindi abbiam tolto, col cod. Trivulziano, l'e tra chiamano e per; e così ne sembra di aver diradate le tenebre che involgevano questo passo. E. M.

(28) Cioè, il termine onde vengono gli atti, e dove vanno a fermarsi le passioni. P.

(29) Con questa parola passione termina propriamente la protasi del periodo; del quale l'apodosi comincia molto più basso colle parole: per lunga consuetudine. Tutto l'altro è interposto dall'A. a fine di dichiarazione. P.

(30) Tutti i testi Enea; ma è errore. Leggi il passo di Virgilio ( Æn. 2. v. 281 ): O lux Dardaniae, spes o fidissima Teucrum,

(12) sono comuni ecc. fino a acciocchè sia filosofo, conviene essere l'amore alla sapienza, luogo contrassegnato in margine dal Tasso. Più sotto sono interlineate da lui le parole: E siccome l'amistà per diletto fatta ecc. fino a Onde non si dee dicere vero filosofo, e tutte contrassegnate colla linea marginale fino a è vera e perfetta ch'è generata per onestà. Finalmente, poco dopo queste parole, è segnato in margine tutto il passo: la vera amistà degli uomini intra sè è talvolta l'uno e l'altro ter- ed avrai chiaro che la vera lezione è Ettomine degli atli e delle passioni si chiama-re. Altre mende viziavano per mala interpunno. E. M.

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Quae tantae tenuere morae? quibus, Heclor, ab oris Exspectate venis?

zione questo passo, e le abbiamo tolte. V. SAGG. pag. 27. E. M.

(13) Qui il Biscioni legge: ma per l'ami-il stà. Rigettiamo il per, dal quale è viziata la costruzione, e seguiamo la lezione del cod. Vat. Urb., e del Gadd. 134. E. M.

(14) Le stampe e la maggior parte de' mss. leggono questo passo così: e la'ntenzione d'Aristotile nell'ottavo dell'Elica quelli si dice

(31) Che vale quasi: mentre che. P.

(32) Credo per certo che, invece di salute, si debba leggere la luce, che dovette da prima essere scritto come soleano tutto in un corpo la luce; e di questo, o per dubbia forma di caratteri o per isvista dell'amanuense,

fu fatta falute, come si vede nell'ed. princ. e nel Biscioni; ed ultimamente salute col s di forma piccola al modo presente. P.

(33) La lezione volgata è Archimore. Ma perchè questo storpio, quando il testo di Stazio canta chiaramente così:

O mihi desertae natorum dulcis imago, Archemore: o rerum et patriae solamen Servitiique decus? E. M. (ademptae, (34) Amistà in questo uso gentilissimo manca al Vocabolario. PERTIcari.

cui io dico, e come lo suo nobile nome per consuetudine è comunicato alle scienzie procederò oltre colle sue lode. Il codice Vat. Urb. in luogo di primaia ha primaria. E. M.

CAPITOLO XII.

letterale sentenza in cerca di questa, cioè, (1) Quasi dica: Scorrerò di nuovo sulla della sentenza allegorica. P.

(2) Credo che dovrà qui leggersi considera, perciocchè si conviene per ogni conto che questo verbo rappresenti l'azione del sostantivo reggente questo membro del discorso, cioè lo studio dell'amistà. P.

(3) La comune errata lezione qui è: Perocchè per la prima ecc. Il cod. Vat. Urb. ed il Gadd. 134 portano quella che noi abbiamo seguita. E. M.

Dubito se i Sigg. E. M. potranno dare nessuna giustificazione dell' avere qui giudicato errata la lezione comune, e seguito i due codici detti; come pure dell'avere abbandonato il punteggiamento del Biscioni, il quale scrisse : ragionato; perocchè per la prima sua ragione assai di leggiero a questa seconda si può volgere lo intendimento. Dove si vede manifesto che in questa ultima clausola si dà ragione della proposizione della clausola antecedente, come se dicesse: non è più mestiero, perciocchè tenendo dietro alla sua prima sentenza letterale, molto facilmente si può volgere l'intendimento all'allegorica. P.

(35) Sopra di questo luogo, in compagnia dell'altro di cui si dice nella nota (27) alla pag. 306; io scrissi ai Sigg. E. M. la seguente osservazione. Se il pronome la quale va riferito a filosofia, è ridicolo a dire ch' ella sia filosofia chiamata perchè più necessariamente termina lo suo viso nella scienza naturale, nella morale, nella metafisica; massimamente che qui l'A. non è intento a mostrare il perchè la filosofia si chiama filosofia, ma sì il perchè sono chiamate pel nome di lei le scienze nelle quali essa filosofia più ferventemente termina lo suo viso. Se poi il pronome va riferito a metafisica, che il termine più vicino, non so a chi non paia assurdo il dire che essa è chiamata filosofia, perchè più necessariamente in quelle, cioè, nella scienza naturale e nella morale termina lo suo viso: essere dunque da trovare un ragionevole compenso a tale inconveniente. Di che Eglino, con sicurissimo trovato, pensarono che si scrivesse: « con più fervore, prima Filosofia è chia» mata. » E su di ciò diedero la sicurtà le prime parole del Convito, come si può dare altro luogo nel tratt. II. capo XIV. non molto dopo il principio. Secondo me però rimane tuttavia da correggere in quelle, che si vuol dire in quella, e allora s'intende: La quale metafisica, perchè la filosofia più necessariamente termina lo suo viso in quella, cioè, in essa metafisica, prima filosofia è chiamata. P. (5) Tutti i mss. e tutte le stampe leggo(36) Qui tutti i testi leggono: Onde si può, no è intelligibile; ma non è coerente a quelcome secondamente le scienzie sono Filoso-lo che Dante dice nella precedente proposifia appellate (perchè è veduto come la pri-zione: essere convenevole trattare di cosa inmaia ecc.) Abbiamo espunte le parole come telligibile per cosa non intelligibile; e però secondamente le scienzie sono Filosofia ap- emendiamo inintelligibile. V. il SAGGIO P. pellate, perchè chi bene le considera s'accor- 66. E. M. ge ch'elleno sono una rubrica marginale del passo antecedente: Per lunga consuetudine le scienzie, nelle quali ecc., introdotta per errore da qualche copista nel testo. Nulladime- | no si potrà vedere nel SAGGIO, pag. 65, come senza levare alcuna parola, erasi raddrizzato questo luogo. Ed ora, poichè in vece di proce- (9) Cioè, l'altre essenze intelligibili. P. dere il Gadd. 134 legge procederò, proponia- (10) Qualche, corregge il sig. Witte asmo per congettura anche la seguente emenda-sai bene. I testi hanno quello. E. M. zione. Onde si può vedere come secondamen- A me pare che nella lezione volgata tutto te le scienzie sono Filosofia appellate. Per-il discorso renda una sentenza bella e non chè è veduto come la primaia è vera Filoso-isforzata; e che tal fatto, dato anche la manfia in suo essere, la quale è quella donna di canza di altre dirette ragioni, basti a condan

(4) Questo che Dante dice qui fa bene al suo bisogno, ma è tutto contro la ragione; secondo la quale anzi s'insegna di procedere nel discorso dalle cose più chiaramente intelligibili alle meno via via, e non mai al contrario. To Yap VEÇ SX TE QRVERY THX!syv xe thy diayumoly. Isocr. a Demon. §. 74. P.

(6) sensibile, in forza di sostantivo. PERTICARI.

(7) tutti e' corpi celestiali ed elementi allumina, cod. Vat. Urb. E. M.

(8) e poi l'altre intelligibili, cod. Vat. Urb. E. M.

AL TRATTATO III.

(16) Tutte queste parole, da Filosofia è un amoroso uso ecc. fino a in quanto da esso procede, sono interlineate dal Tasso. E. M. (17) Il quale atto è tanto sommo in Dio, che è tutto in Dio; e nelle altre cose è solamente per partecipazione. P.

nare l'innovazione. Pongo per fondamento che | mo; dunque in Dio è Filosofia in massimo la particella per, in forza d'una sua proprie- grado. P. tà non osservata, ch' io sappia, da' vocabolisti, quando il discorso fa le ragioni del più o meno utile, rappresenta talora l' una delle parti che si vuole contrappesare. Così dice il mercante: conviene per cento scudi pigliare la tale mercanzia; e ognuno intende, che mette bene, è vantaggioso il pigliarla, sebbene (18) e in lui, così i due codici Marc. Il Bicosti cento scudi. Stante ciò, io sulle parole scioni legge: nobilissima è la essenzia dividella volgata, spiego la dottrina di Dante sostan-na in lui ecc. Il Dionisi (Anedd. II. pag. 52) zialmente così: Dio dà vita di bontade a tutte voleva che si correggesse: ed è in lui per le cose, e se alcuna ve n'ha cattiva, questa modo ecc., che torna lo stesso col senso della non avviene perchè tale la voglia Dio; ma Dio lezione da noi adottata. E. M. non ha voluto fermare il corso all' effettuazione della cosa intesa nella sua divina Mente, per quello accidente cattivo che ne dovesse sopravvenire, o vogliam dire, con tutto che ne dovesse sopravvenire, quello cattivo accidente. Così quando Egli fu sul creare gli Angeli, ben vide il pervertimento futuro d' alcuni di loro, ma per questo non si volle rimuovere da quella creazione, tanto le avea posto amore. P.

(11) la presenzia, cioè lo avere presenti. E così puossi spiegare, poichè certamente Iddio vede il futuro come se fosse presente. Nondimeno siamo assai inclinati a credere col sig. Witte che presenzia sia errore di lezione in vece di prescienza. E. M.

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(12) Qui la lezione volgata è: che Iddio, che tutto intende, che suo girare e suo intendere non vede ecc. Abbiamo supplite le parole gira, e la cui laguna è chiaramente indicata da quelle che seguono, suo girare e suo intendere; e la correzione del che nell'in ne sembrò necessaria, perchè regolare riescisse la costruzione del discorso. E. M.

(13) Occupa la domanda che gli potrebbe essere fatta per taluno a questo modo. Come dici tu quando mira là? non vede adunque Iddio tutte le cose insieme? Risponde, che bene è vero questo, cioè che le vede tutte insieme, ma che nello stesso tempo le vede distinte, in quanto in lui è la distinzione delle

cose. P.

(14) esso medesimo, così tutti i testi con manifesto errore. E. M.

(19) Cioè, e la Filosofia è in lui, cioè in Dio. P.

(20) La metafora del matrimonio è spesso usata da Dante nel Poema. Le cose spose di Dio. San Francesco sposo della povertà ec. PERTICARI.

(21) Druda qui deve essere la donna che altri ama, senza possedere; e però gli contenta l'amor suo solamente di guardare l'aspetto di lei. La quale è una condizione molto somigliante a quella di noi quaggiù in rispetto al godere la sapienza. P.

(22) loro vaghezza è la volgata lezione. Noi seguiamo quella del cod. Vat. Urb. E. M. (23) Nota nobilissimo e affettuosissimo concetto. P.

(24) « Chè quello imperador che lassù re-
gna,» Inf. 1. 124. E. M.
CAPITOLO XIII.

(1) Cioè, nel suo essere primitivo. P.
(2) Ogni spirito celeste. P.

(3) esclude, il secondo cod. Marc., il Vat. Urb., il Barberino, i Gadd. 134 e 135 secondo. Le stampe schiude. E. M.

(4) L'ediz. Bisc.: ancora verrìa. Le più antiche: ancora verrebbe. E l'una e l'altra lezione è corretta, come appare dal contesto. V. il SAGGIO, pag. 131. E. M.

Le parole citate del SAGGIO sono le seguenti. « Parla della beatitudine procedente dall'amore della filosofia, e dice che questa beatitudine si fa varia secondo la varia capa(15) Credo che sarebbe bene scrivere col cità dell' umano intelletto. » Se la ragione Biscioni perchè, tanto che potesse non signi- adunque della mutazione fatta nel testo da' ficare per la qual cosa: e così chiudere tra Sigg. E. M. sta solo sopra il concetto che parentesi le parole, forse poco sane, a memo- mostrano d'aversi formato della sentenza di ria si riduce in ciò che è detto di sopra; le tutto il discorso dell' Allighieri, credo che si quali per tal guisa romperebbero meno la con- vorrà dubitare del fatto loro. Perciocchè, non nessione delle parti costituenti la sostanza del quello che ne dicono i Sigg. E. M. parla qui discorso. L'intendimento del quale è dimo- Dante, a mio parere, ma egli intende semplistrare come e perchè Dio vede la Filosofia in cemente a mostrare, dopo veduto come la fisè e in sua essenza. E dice che ciò è, per-losofia è in Dio, come essa poi sia nelle causachè la Filosofia è un amoroso uso di sapien- te Intelligenze. E comincia dagli Angeli, dove za, o vogliam dire, un' amorosa conversazione colla sapienza. Ora in Dio è sommo amore e somma sapienza, e l'uno e l'altro in atto som

tocca incidentemente la privazione d'essa filosofia, alla quale sono condannati gli Angeli perduti; e termina spiegando le condizioni

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