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(16) Ισχυρότατον ανάγκη. κρατει γαρ παν- | TW. Talete, presso Diog. Laer. viii. P. (17) Cioè, in un subito, e ad ogni caso Occorrente. P.

(18) Cioè, per via di lungo uso. P, (19) Similitudine usata anco nel Poema; e se ne faccia paragone pel diverso modo di dire d'un prosatore e d'un poeta. PERTICAQuantunque il brano del C. 8. v. 79 e segg. del Purgatorio sia notissimo, lo trascriviamo qui per comodo de' nostri lettori che non l'avessero a mente:

RI.

» Come le pecorelle escon del chiuso

parole per torre mancano poi nell'ediz. Biscioni e ne'codici Marciani, ma leggonsi nel cit. cod. 125 e nel 134 Gaddiani, nel Vat. Urb., e nelle edizioni antiche. E. M.

(30) Chi guarda questa parte del periodo da sè sola, non la può veramente condannare per mancante di sentimento; ma forse gli parrà che la struttura non dia molto a riconoscervi la mano di Dante. Perciocchè l'azione dell'invidioso è prima cominciata a significare col verbo argomentare, e poi contro il buon metodo del discorso e con grande abbassamento d'espressione, è seguitata col verbo biasimare. Se non che, a me pare, il valore minato dal sostantivo argomento, del verbo argomentare dev'essere qui deterche esprime appunto l'uno degli estremi nella proposizione, alla quale serve il discorso presente, e il quale e per natura e per l'attuale posizione delle cose è strettissimamente legato ad esso verbo. Ora poichè argomento, come notai, vale, non raziocinio, ma invenzione, trovalo o simile, e questo è fuor di dubbio ; anche argomentare dee valere, non raziocinare a fine di persuadere altrui, ma pensare,

» Ad una, a due, a tre, e l'altre stanno » Timidette atterrando l'occhio e'l muso; » E ciò che fa la prima, e l'altre fanno, » Addossandosi a lei s'ella s'arresta, >> Semplici e quete, e lo 'mperchè non Si vid'io ecc. E. M. (sanno: (20) Il Tasso contrassegnò in margine tutto il passo da queste parole La seconda fino a non è loro richiesto di fabbricare; e di contro alla sentenza:per fuggire lo contrario, cioè di non essere tenuti, sempre danno colpa alla materia dell'arte apparecchiata, ov-discorrere seco stesso. Se questo è vero, povero allo stromento, pose N, N, cioè Nota, Nota. E. M.

(21) Intendi: Alla materia che è apparecchiata per operare l'arte. P.

(22) Intendi: Per iscusarsi del non usare punto, o dell'usare malamente la grande abilità di dire che vogliono dagli altri creduta in sè. P.

(23) Cioè, di comporre, d'informare. P. (24) Parla allegoricamente, e nell'idea del ferro intende il volgare; e ne' buoni artefici, probabilmente solo sè medesimo. P.

(25) Il Biscioni legge questo e il seguente periodo tutto in un corpo, a questo modo: commendavano la grammatica greca; per somiglianti cagioni, che questi fanno vile ecc. Ora a me sembra che le idee n'abbiano più lodevole connessione ed ordine più felice. P.

(26) Per mala interpunzione questo passo fino a nasce invidia è assai corrotto in tutte le stampe. E. M.

ma

sto che ne va perduta la prima intelligenza
delle parole, viene la necessità d'alcuna mu-
tazione. Allora io penso che si dovrebbe scri-
vere biasimando, invece di biasima; pur tor-
re, invece di per torre: e con ciò s'intende-
rebbe subitamente che l'invidioso argomen-
ta, cioè, ragiona seco stesso, che senza biasi-
mare d'incapacità il dicitore, la qual cosa po-
trebbe manifestare il suo mal animo,
solo biasimando la materia della sua opera,
cioè la lingua, arriverà niente di meno a to-
gliergli onore e fama: e così fatto è il divisa-
mento dell'invidioso, come sarebbe quello di
colui che biasimasse il ferro,ece. Intanto tutta
la condizione del ragionamento ne guadagne-
rebbe tale, atto, da essere ben degna di rap-
presentare in bocca dell'Allighieri la perfida
sottilità degl'invidiosi, P.

(31) La quinta e l'ultima ecc. sino a — il pusillanimo piccolo; avviene che 'l magnanimo sempre fa minori ecc. sino a - e l'altrui (27) Se la lettera fosse sicura, bisognereb-meno buone; lo pusillanimo sempre le sue be intendere, non quella lingua, perciocchè cose crede ecc. sino alle parole in fine del calingua non può qui servire ragionevolmente, po: delli quali nella prima cagione feci menche nell'unico valore di nazione;ben si quellazione. Luogo interlineato dal Tasso sotto parità, che pure sarebbe un parlare forzato alle parole che qui sono stampate in corsivo e molto oscuro. Io però credo per fermo, che e contrassegnato in margine. E. M. Dante scrisse quello, cioè, il volgare. P. (32) Dello stesso genere, o meglio, della stessa specie. P.

(28) Così il secondo codice Marciano e, ad eccezione del 3, tutti i Gadd., concordi colla prima edizione. Quelle del Sessa e del Biscioni malamente: e qui nasce invidia. E M.

(29) La nostra lezione è conforme a quella del cod. Gaddiano 125 secondo. Le stampe leggono di quella parte in vece di da ecc. che trovasi pure nel secondo cod. Marc. Le

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(33) Comparandosi agli altri nomini. P.

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(34) Pare evidente che innanzi l'avverbio perocchè,debba essere perduto un'E, la quale copulasse questa che viene colle parti antecedenti del ragionamento. Sicchè io scriverei: Eperocchè quelle ecc. P.

(35) Così il codice Barb., il Vat. Urb.,

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Gadd. 135. L'ediz. Biscioni: e gli altri pre- | chè l' A, senza altro, la pone per fondagiano. E. M. mento di tutti i raziocinii di questo capo e del seguente. Così gli basterà dimostrare che

(36) Ammira quanto sono bene armonizzati insieme lo sdegnosissimo concetto, e le pa-il volgare è stato prossimo a lui, che ha bonrole. P.

CAPITOLO XII.

tà in sè, che gli è stato benefattore ecc., e
ne verrà via via conchiudendo non essere a
lui mancato niuna delle cagioni che poteva-
no generare e accrescerne l'amore. P.
(9) Cioè, dove abita. PERTICARI.
(10) Il quale volgare proprio uno e solo,
innanzi che qualunque altro volgare, si lega
nella mente. P.

(11) Il cod. Vat. Urb. legge diversamente da tutti gli altri testi: perchè se la prossimitade è cagione d'amistà; ed è questa variazione molto lodevole, poichè Dante ha detto di sopra: la prossimilade e la bontà sono cagioni d'amore generative. E. M.

(1) là entro fosse fuoco, cod. Vat. Urb. Gli altri testi mass. e stampati: là entro fosse il fuoco; lezione che non è la migliore. E. M. La bella e filosofica frase, essere il fuoco in alcun luogo, vale nella nostra lingua a significare, come tutti sappiamo anche lombardi, che quel luogo sia preso dall' incendio. Posto cib, se della casa immaginata da Dante alcuno domandasse s'ella è incendiata, farebbe una domanda scempia, perocchè in cosa evidente; ma che sarebbe pure in ogni parte somigliante alla domanda a Dante, s'egli ama la sua loquela. Ma se quel tale do- (13) La sopraddetta cagione fino a la inmandasse se in quella casa v' ha del fuoco giustizia, massimamente è odiata. — Tutto qualunque, farebbe una domanda troppo stol- questo passo è contrassegnato in margine dal ta, la quale, per eccesso, si dissomiglierebbe Tasso. Egli ha poi eziandio interlineato le panon poco dall' altra colla quale si vuole para-role li primogeniti succedere solamente sicgonare. Su questa considerazione adunque io credero che la migliore di queste due lezioni sia appunto quella, che dai Sigg. E. M. fu giudicata non migliore. P.

(2) Tutti i codici e le stampe hanno sue ed è manifesto che devesi intendere per l'avv. su, come in quel verso del Poema (Purg. 16. 30): E dimanda se quinci si va sue.Ma quantunque la Crusca ne insegni che così talvolta dicevano gli antichi (V. il Vocab. alla voce Su), ne pare che questo ambiguo sue sia appena da lasciarsi al verso, non ci sovvenendo che Dante l'abbia mai usato fuori di rima. E. M.

(12) Cioè, ch' ella è stata una delle cagioni. E. M.

come più propinqui, e perchè più ec, e queste altre, che anche il Perticari segnò nel suo testo, bontà propia in alcuna cosa è amabile in quella fino a E quanto ella è più propia, tanto ancora è più amabile. Ed essendosi compiaciuto singolarmente del tratto che segue, lo notò in margine, segnandovi Giustizia. E. M.

(14) Diede impulso alla consuetudine di far succedere nella eredità solamente i primogeniti. P.

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(15) Cioè, alla loquela volgare. P.

(16) Cioè, propria della natura umana. P. (17) Nel SAGGIO, pag. 56, non ci erava(3) Cioè, rimane ancora da biasimare. P. mo apposti nel giudicare che questo luogo (4) I codici e le stampe a lui; ma il giro fosse scorretto. Ad illustrazione di esso giodella costruzione è in femminino, poichè Dan-va qui riportare un passo del Genovesi nella te ha detto poco sopra loquela, e perfettis- Diceosina, lib. 1. cap. 1.: « Si vogliono nelsimo amore di quella. E, M, » l'uomo distinguere due appetiti: uno ani(5) Da queste parole Dico che ecc. fino a » male, nel quale sono la concupiscenza, e siccome brievemente io mostro, tutto il pas-» l'irascibilità rispetto a' beni e mali parso è contrassegnato in margine dal Tasso. E. M. ticolari, o sensibili, o fantastici; l'altro ra(6) I codici e le ediz. anteriori a quella» zionale, detto volontà, il quale è l'appedel Biscioni hanno Servio Tullio: questo edi-» tito del bene in generale, oggetto della tore però avendo, per quel che pare, avver- » sola ragione, e proposto dalla ragione; pertito che Servio non è il prenome dell' Oratore filosofo, vi sostituì Marco. Ma la vera parola che i copisti trasformarono in Servio il verbo scrive, mercè del quale la buia sentenza si fa tutta luce. Questa correzione vedesi segnata nel margine del secondo codice Marciano. - In vece di scrive Tullio il cod. Vat. Urb. porta: osservò Tullio. E. M. (7) aperta legge correttamente il cod. Vat. 4778. Tutti gli altri mss. e le stampe malamente aperto. E. M.

>> chè il senso non ascende nella regione del» l'idee, cioè de' generali. Dove che nelle » bestie non esce della sfera de' sensi. » Ed Aristotile aveva fermata questa dottrina nel lib. 3. de Anima, cap. 10. « Sensitiva igitur » imaginatio, sicut dictum est, et aliis ani» malibus inest: deliberativa autem in ratio>> nalibus. Utrum enim aget hoc, an hoc, » iam rationis est opus » Dante la ripete nel Tratt. 4. cap. 22: « E non dicesse alcuno che » ogni appetito sia animo; chè qui s'inten(8) Poni mente a questa sentenza, peroc-» de animo solamente quello che spetta alla

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>> parte razionale, cioè la volontà e lo 'ntel» letto. E. M. »

(18) È detto in quanto che i ladroni ei rubatori nello spartire insieme delle cose rubate, vogliono che sia fatto il giusto. P.

della bontà propria delle cose. Nel secondo l'A. si fa grado a dare la norma per determinare la bontà propria di ciascuna cosa particolare. Nel terzo, applicando essa norma alle lingue in generale, trova la bontà pro(19) dirò, cod. Vat. Urb. e pr. ediz.: pria di loro, e quindi passa ad affermare che quella del Biscioni dicerò. — Il passo, co-tale bontà è nel nostro volgare: onde arriva minciando dalle parole Di questa virtù sino prontamente alla intesa conclusione. Il quale al termine del Capitolo, è contrassegnato dal ragionamento, s'io non vi piglio inganno, preTasso; ed è interlineata la sentenza in cia- senta una si bella ed ordinata composizione scuna cosa di sermone lo bene manifestare | d'idee e si conducevole al fine dello scrittodel concetto è più amato e commendato, in re, che sembra ragionevole da sperare, che margine della quale leggesi la postilla: Vir- alcun testo migliore de' conosciuti, quando tù della Lingua. Di qui vedesi che Dante che sia, lo confermerà. P. e Torquato facevano gran conto della chiarezza del favellare: il che sia detto a coloro che si compiacciono d'una sublimità tenebrosa. E. M.

(21) vediamo, pr. ediz.

(22) Vedi il capo x sul finire.

glio da correggere, che il pronome ello mascolino, posto in vece di ella. E. M.

CAPITOLO XIII.

(23) Il più de' codici e le stampe s'accordano nel leggere ched ello è della cagione (20) I codici e le stampe; e quella è essa. stata dell'amore; ma è lezione evidentemente Ma l'autore qui propone la quistione, e non depravata. Il mss. Vat. 4778 ha: ch' ello è la la risolve: onde l'errore è evidente. E. M. cagione, stata dell'amore ecc.; lezione più Chiunque si fa a cercare alquanto curio-vicina alla vera, giacchè non havvi altro sbasamente questo discorso troverà in esso tre periodi continui difettosi, qual per una, qual per altra ragione. Il primo: Provato è adun- A questo luogo pure io sono costretto di que ecc., richiama una proposizione posta di pensare, contra i Sigg. E. M., che la lezione sopra, la quale però qui comparisce tronca, più vicina alla vera sia quella ch'essi giudiperchè l'A. non ha provato solamente la bon-carono evidentemente depravata. Non è egli tà della cosa più propria, ma che quanto la certo che la bontà non è che l'una delle due bontà della cosa è più propria, tanto è più cagioni d'amore generative? Ora come dunamabile. Il secondo con tutta la sua forma que potrebbe parere sola? Ben si dovea guarassoluta: È da vedere ecc., propone al dire dare alquante linee indietro, dove l'A. conde'Sigg. E. M., una quistione che poi non si clude la prima dimostrazione appunto colle risolve, sicchè è cosa vana ed importuna al medesime parole, e veniva assai facile il todiscorso presente, e forse senza altro esem-gliere le poche mende nella lettera comune, pio in tutto il Convito. Il terzo: E noi ve- scrivendo a questo modo: ched ella è delle dremo ecc., mostra le membra d'un argo- cagioni stata dell'amore. P. mento privo del suo capo. Egli par dunque al tutto lecito da giudicare, che i Sigg. E. M. non vi videro troppo bene la natura del difetto in questo luogo, il quale forse è pervenutoci uno de'più sformati del Convito. Io per dir pure riverentemente il parer mio, pongo innanzi le parole conforme la lezione del Biscioni. Provato è adunque la bontà della cosa più propia, è da vedere quella, che in essa è amata, e commendata: e quella è essa; e noi vedemo che ecc. Pretermettendo le osservazioni sul punteggiamento, dico che, egli mi pare probabilissimo, che tra la parola propia e le parole è da vedere manchi un'intera linea, che potè essere saltata per isbadataggine del primo copista, siccome le centinaia di volte si trova di sì fatte Veramente pare anche a me, che debba cose avvenute in que' tempi, quanto a lettere, voler dire in sostanza, se non lo sapessi per grossi e materiali. Ancora io penso, che quel-intima cognizione,pure mi sarebbe insegnato la linea perduta doveva essere composta della per questo facile raziocinio: ma le parole sostanza di queste parole, più essere amata. mi dànno assai poca sicurezza. Certo è però Ora chi vuol conoscerla. A questo modo il primo de'notati periodi porta la conclusione del discorso premesso dall'A., per ispicgare generalmente la dottrina sull'amabilità

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(1) Al principio di questo Capitolo il Tasso pose la seguente postilla: Amor verso la Lingua Bontà e Prossimità. E. M.

(2) I codici e le stampe leggono a chi più riceve. Tolto quel vizioso più, si è sostituito il pronome lo, che richiama direttamente l'idea del beneficio di cui l'Autore favella. E.M.

(3) Intendi: Quanto quella cosa, per ottenere la quale si vogliono o si desiderano come mezzi tutte le altre cose. P.

(4) Forse: cagione d'essere. E. M. (5) Cioè, non constasse, non fosse già chiaro. E. M.

che l'A. ha da trattare la cognizione del beneficio in quanto ella era in lui; perciocchè qualunque massimo beneficio ha solo tanta forza a confortare l'amistà, quanta è la co

Dante predice la futura grandezza dell'italica favella, piacevano al grande autore di quel poema immortale, in cui essa fu portata a tanto splendore. E. M.

(7) Studio qui vale cura, o simile. P. (8) Procaccia per natura la sua conservazione. P.

(9) Intendi: Se il volgare fosse cosa da potere egli spendere delle cure per sè medesimo, le spenderebbe a fine di conseguire quella, cioè, la sua conservazione. P.

(10) Intendi: E la sua conservazione sareb

(11) a lui, le pr. ediz., il cod. Vat. e tuti Gadd. E. M.

gnizione di lui nel beneficiato. In fatto Dante qui più innanzi chiude la dimostrazione dell'altra parte del grandissimo beneficio, colle parole: e così è per me conosciuto ecc. P. (6) secondo qui dee valere conforme, connaturale, consentaneo, o simile, se pure non havvi laguna di qualche parola, che noi non sapremmo dir quale. E s'avverta che in tutte le stampe la sentenza non era posta interrogativamente di che nasceva contrarietà fra la dottrina stabilita, e l'esempio del martello, che Dante soggiunge per confermarla. Ci sembra però di aver raddrizzato il senso col-be mettersi in istato fermo il più possibile. P. l'aiuto del solo segno ortografico trascurato dagli altri editori, e che sarebbe inutile ri-ti cercare ne' mss. Tutto questo passo: Non è secondo ecc. fino a in quanto con esso io entrai nello Latino, e con esso mi fu mo- (13) Questo leggiamo col secondo cod.Marstrato; il quale Latino ecc., è contrassegna- ciano. Gli altri codici e tutte le stampe hanno to in margine dal Tasso. Più avanti sono in- Questa; ma la lezione da noi adottata ci par terlineate le parole: quello deliberando, in- meglio convenire col resto del discorso. E. M. terpretando e quistionando. E finalmente è di nuovo contrassegnato in margine tutto il tratto che comincia: per che tempo è d'intendere a ministrare le vivande. Questo sarà quel pane orzato ecc., sino alla fine del Capitolo; e di contro alle ultime parole qui riportate evvi il segno N, Nota. Dal che si vede che le magnifiche espressioni con che

(12) Il cod. Vat. Urb.: migliaia di persone. E. M.

(14) ove, l'ediz. Biscioni. Le stampe antiche, il secondo cod. Marciano, il Barberino e tutti i Gaddiani laddove. E. M.

(15) Cioè, nel luogo del latino che tramonterà. P.

(16) Perciocchè non sono illuminati dal latino che si adopera nelle cose di scienza comunemente; ed essi non lo intendono. P.

TRATTATO SECONDO

CHOKO

Voi, che, intendendo, il terzo ciel movete, | Di sl alti miracoli adornezza,

Udite il ragionar ch'è nel mio core,
Ch'io nol so dire altrui, sì mi par novo:
Il ciel, che segue lo vostro valore,
Gentili creature che voi sete,

Mi tragge nello stato ov' io mi trovo;
Onde 'I parlar della vita, ch'io provo,
Par che si drizzi degnamente a vui:
Però vi priego che lo (1) m'intendiate.
Io vi dirò del cor la novitate,
Come l'anima trista piange in lui;
E come un spirto contra lei favella,
Che vien pe'raggi della vostra stella.
Suolea esser vita dello cor dolente
Un soave pensier, che se ne gia
Molte fiate a' piè del vostro Sire;
Ove una donna glorïar vedia,
Di cui parlava a me sì dolcemente,
Che l'anima dicea: i'men vo'gire.
Or apparisce chi lo fa fuggire;
E signoreggia me di tal vertute,
Chel cor ne trema sì, che fuori appare.
Questi mi face una donna guardare;
E dice: chi veder vuol la salute,
Faccia che gli occhi d'esta donna miri,
S'egli (2) non teme angoscia di sospiri.

Trova contraro (3) tal, che lo distrugge,
L'umil pensiero (4) che parlar mi suole
D'un'Angiola che 'n cielo è coronata.
L'anima piange, sì ancor len duole,
E dice: oh lassa me, come si fugge
Questo pietoso che m'ha consolata!
Degli occhi miei dice questa affannata:
Qual ora fu, che tal donna gli vide?
E perchè non credeano a me di lei?
Io dicea: ben negli occhi di costei

De' star colui che li miei pari uccide;
E non mi valse, ch'io ne fossi accorta,
Che non mirasser tal, ch'io ne son morta.

Tu non se' morta, ma se'ismarrita (5),
Anima nostra, che sì ti lamenti,
Dice uno spiritel d'amor gentile;
Chè questa (6) bella donna, che tu senti,
Ha trasformata (7) in tanto la tua vita,
Che n'hai paura, si se' fatta vile.
Mira quanto ella è pietosa ed umile,
Saggia e cortese nella sua grandezza;
E pensa di chiamarla donna omai:
Chè, se tu non t'inganni, tu vedrai

Che tu dirai: Amor, signor verace,
Ecco l'ancella tua; fa che ti piace.

Canzone, io credo che saranno radi
Color che tua ragione intendan bene,
Tanto (8) lor parli faticosa e forte:
Onde se per ventura egli addiviene
Che tu dinanzi da persone vadi,
Che non ti paian d'essa (9) bene accorte;
Allor ti priego che ti riconforte,
Dicendo lor, diletta mia novella (10):
Ponete mente almen com' io son bella. (11)

CAPITOLO I.

Poichè, proemialmente ragionando, me ministro, (1)lo mio pane per lo precedente Trattato è con sufficienza preparato, lo tempo chiama e domanda la mia nave uscire di porto: per che dirizzato l' artimone (2) della ragione all' ora (3) del mio desiderio (4), entro in pelago con isperanza di dolce cammino, e di salutevole porto e laudabile nella fine della mia cena. Ma perocchè più profittabile sia questo mio cibo, prima che venga la prima vivanda voglio mostrare come mangiare si dee. Dico che, siccome nel primo Capitolo è narrato (5), questa sposizione conviene essere litterale è allegorica. E a ciò dare ad intendere si vuole sapere (6) che le scritture si possono intendere e debbonsi sponere massimamente per quattro sensi. L'uno si chiama litterale..........: (7) e questo è quello che si nasconde sotto il manto di queste favole, ed è una verità ascosa sotto bella menzogna; siccome quando dice Ovidio, che Orfeo facea colla cetera mansuete le fiere, e gli alberi e le pietre a sè muovere: che vuol dire, che 'l savio uomo collo stromento della sua voce facea mansuescere facea muovee umiliare li crudeli cuori,

re alla sua volontà coloro che non (8) hanno vita di scienza ed arte; e coloro che non hanno vita di scienza ragionevole alcuna (9), sono quasi come pietre. E perchè questo nascondimento (10) fosse trovato per li savii, nel penultimo Trattato si mostrerà. Veramente li Teologi questo senso prendono altrimenti, che li poeti; ma perocchè mia in

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