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BALLATE

092503

BALLATA I.

O voi, che per la via d' Amor passate,
Attendete, e guardate,

S'egli è dolore alcun, quanto 'l mio grave:
E priego sol, ch'a udir mi sofferiate;
E poi immaginate (a),

S'io son d'ogni tormento (b) ostello e chiave.
Amor, non già per mia poca bontate,

Ma per sua nobiltate,

Mi pose in vita si dolce e soave,

E ciò, che 'n donna è da pregiar, virtute; In gaia gioventute

Distrutta hai l'amorosa leggiadria.

Più non vo'discovrir qual donna sia, Che per le proprietà sue conosciute. Chi non merta salute,

Non speri mai aver sua compagnia.

BALLATA III.

Ballata, i' vo', che tu ritruovi Amore, E con lui vadi a Madonna davanti,

Ch'i' mi sentia dir dietro (c) spesse (d) fiate: Sicchè la scusa mia, la qual tu canti,

Deh (e)! per qual dignitate (f)

Cosi leggiadro questi lo cor have!

Ora ho perduta tutta mia baldanza,

Che si movea d'amoroso tesoro;

Ond'io pover dimoro,

In guisa, che di dir (g) mi vien dottanza (1):
Sicchè, volendo far come coloro,

Che per vergogna celan lor mancanza,
Di fuor mostro allegranza (2),

E dentro dallo cor (h) mi struggo (i) e ploro.

BALLATA II.

Morte villana, di pietà (k) nimica,
Di dolor madre antica,

Giudizio incontrastabile, gravoso,
Poich' hai data materia al cor doglioso,
Ond' io vado pensoso,

Di te biasmar la lingua s'affatica:
E se di grazia ti vuoi far mendica (3),
Convenesi, ch'io (1) dica

Lo tuo fallir, d'ogni torto tortoso (4);
Non però che (m) alla gente (n) sia nascoso,
Ma per forne cruccioso (5)

Chi d' Amor per innanzi si nutrica.
Dal secolo hai partita cortesia,

sai

dire

Con

(a) immaginiate (b) dolore (c) drieto (d) as(e) Dio! (f) degnitate (g) che (h) E di dentro dal cor (i) mi stringo (k) e di pietà (1) Conviensi che io viene si ch' io (m) Non perchè (n) alle genti (o) il mio (p) in tutte parti avere-Aver dovresti (q) vuoli (r) deve (s) S'è, com'io credo, in ver di me-Si. com' io credo, è in ver di me-in ver di te (t) Se tu (u) chesta

Ragioni poi con lei lo mio (0) Signore.
Tu vai, Ballata, si cortesemente,
Che senza compagnia

Dovresti avere in tutte parti (p) ardire;
Ma, se tu vuogli (q) andar sicuramente,
Ritruova l'Amor pria;

Chè forse non è buon senza lui gire:
Perocchè quella, che ti debbe (r) udire,
Se, com'i' credo, è in ver di me (s) adirata,
E tu (t) di lui non fussi accompagnata,
Leggieramente ti faria disnore.

Con dolce suono, quando se' con lui,
Comincia este parole,

Appresso che averai chiesta (u) pietate:
Madonna, quegli, che mi manda a vui,
Quando vi piaccia, vuole,

Sed egli ha scusa, che la m'intendiate.
Amore è qui (v), che per vostra beltate
Lo (x) face, come vuol, vista cangiare:
Dunque, perchè gli fece altra guardare,
Pensatel voi, dacch' e' non mutò 'l core.

Dille: Madonna, lo suo core è stato
Con si fermata fede,

Ch'a voi servir lo pronta (6)(y) ogni pensiero, Tosto fu vostro, e mai non s'è smagato (7).

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Sed ella non te 'l (a) crede,

Di', ch'en (b) domandi Amore se egli è vero.
Ed alla fine falle umil preghiero (1),
Lo perdonare se le fosse a noia,
Che mi comandi per messo, ch'i' moia;
E vedrassi ubbidire al servidore (c).

E di' a colui (d), ch'è d'ogni pietà chiave, Avanti che sdonnei (2),

Che le saprà contar mia ragion buona:
Per grazia della mia nota soave,
Rimanti (e) qui con lei,

E del tuo servo, ciò che vuoi (f), ragiona;
E s'ella per tuo prego gli perdona,
Fa', che gli annunzi in bel (g) sembiante pace.
Gentil Ballata mia, quando ti piace,
Muovi in tal (h) punto, che tu n'aggi onore.

BALLATA IV.

Quantunque volte, lasso! mi rimembra, Ch'io non debbo giammai

Veder la donna, ond'io vò si dolente,
Tanto dolore intorno al cor m'assembra
La dolorosa mente,

Ch'i' dico: anima mia, chè non ten vai?
Chè li tormenti, che tu porterai
Nel secol che t'è già tanto noioso,
Mi fan pensoso di paura forte;
Ond'io chiamo la Morte,

Come soave e dolce mio riposo;

E dico: vieni a me, con tanto amore,
Ch'i' sono astioso (i) di chiunque muore.
E' si raccoglie negli miei sospiri
Un suono di pietate,

Che va chiamando Morte tuttavia:
A lei si volser tutti i miei disiri,
Quando la donna mia

Fu giunta dalla sua crudelitate:
Perchè 'l piacere della sua beltate,
Partendo sè dalla nostra veduta,
Divenne spirital bellezza e grande (k),
Che per lo cielo spande (1)
Luce d'Amor, che gli Angeli saluta,
E lo 'ntelletto loro alto e sottile
Face maravigliar, tant'è (m) gentile.

BALLATA V.

Io mi son pargoletta bella e nova, E son venuta per mostrarmi a vui Delle bellezze e loco, dond' io fui.

Io fui del cielo, e tornerovvi ancora, Per dar della mia luce altrui diletto:

(a) non ti (b) Di', che (c) ubbidir buon servitore E vedrà bene ubbidir servitore (d) a colei (e) Riman tu (f) vuol (g) un bel (h) in quel (i) aschioso-afflitto (k) bellezza grande (1) Che per lo ciel si spande (m) si n'è —si vien (n) a cui (o) a lui (p) ne è (q) acquetai (r) guardar di Madonna (s) felice (t) Sopra umana fat(u) che spande e porge Sè stessa ad altri, avvegna non la scorge (v) dolce il mio

tura

E chi mi vede, e non se ne innamora,
D'Amor non averà mai intelletto;
Che non gli fu in piacere alcun disdetto (3),
Quando natura mi chiese a colui,
Che volle, donne, accompagnarmi à vui.
Ciascuna stella negli occhi mi piove
Della sua luce e della sua virtute:
Le mie bellezze sono al mondo nové,
Perocchè di lassù mi son venute;
Le quai non posson esser conosciute,
Se non per conoscenza d'uomo, in cui (n)
Amor si metta per piacere altrui (0).

Queste parole si leggon nel viso
D'una Angioletta che ci è (p) apparita:
Ond'io che per campar la mirai fiso,
Ne sono a rischio di perder la vita;
Perocch'io ricevetti tal ferita

Da un ch'io vidi dentro agli occhi sui,
Ch'io vo piangendo, e non m'acqueto (q) pui.

BALLATA VI.

Poichè saziar non posso gli occhi miei Di guardare a Madonna (r) il suo bel viso, Mirerol tanto fiso

Ch'io diverrò beato (s), lei guardando.
A guisa d'Angel, che' di sua natura,
Stando su in altura (t),

Divien beato, sol vedendo Iddio;
Così essendo umana criatura,
Guardando la figura

Di questa Donna che tene il cor mio,
Potria beato divenir qui io;

Tant'è la sua virtù, che spande e porge,
Avvegna non la scorge (u),

Se non chi lei onora desiando.

BALLATA VII.

Io non domando, Amore,

Fuor che potere il tuo piacer gradire (4):
Così t'amo seguire

In ciascun tempo, o dolce mio (v) signore.
E sono in ciascun tempo ugual d'amare (x)
Quella donna gentile,

Che mi mostrasti, Amor, subitamente
Un giorno che m'entrò sì nella mente (y)
La sua (z) sembianza umile,

Veggendo te (aa) ne' suoi begli occhi stare,
Che dilettare il core

Dappoi non s'è voluto (bb) in altra cosa,
Fuorchè quella (cc) amorosa
Vista ch'io vidi, rimembrar tutt'ore.

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Questa membranza, Amor, tanto mi piace E si l'ho immaginata (1),

Ch'io veggio sempre quel ch'io vidi allora;
Ma dir non lo potria; tanto m'accora,
Che sol mi si è posata

Entro alla mente: però mi do pace (a),
Che'l verace colore

Chiarir non si potria per mie parole:
Amor (come si suole) (b)

Dil tu per me, là ov'io son servitore.
Ben deggio sempre, Amore,
Rendere a te onor, poichè 'l desire
Mi desti d'ubbidire (c)

A quella donna ch'è di tal valore.

BALLATA VIII.

Fresca rosa novella, Piacente (2) Primavera, Per prata e per rivera, Gaiamante cantando,

Vostro fin presio (3) mando alla verdura.

Lo vostro presio fino

In gio' (4) si rinnovelli
Da grandi e da zittelli,
Per ciascuno cammino;
E cantinne gli augelli
Ciascuno in suo latino (5)
Da serà e da mattino
Sulli verdi arbuscelli:
Tutto lo mondo canti,
Poichè lo tempo vene,
Siccome si convene,
Vostra altezza presiata,

Che sete angelicata criatura (6).
Angelica sembianza
In voi, Donna, riposa:
Dio, quanto avventurosa
Fu la mia disianza!
Vostra cera (7) gioiosa,
Poichè passa ed avanza
Natura e costumanza,
Bene è mirabil cosa:
Fra lor le donne dea
Vi chiaman, come sete;
Tanto adorna parete,
Ch'io nol saccio contare;

E chi porria pensare oltr'a natura?

Oltra natura umana
Vostra fina piacenza (8)
Fece Dio per essenza,
Chè voi foste sovrana;
Perchè vostra parvenza (9)
Ver me non sia lontana;
Or non mi sia villana

(a) L'immagine passata Ch'ho nella mente: ma pur mi do pace (b) vuole (c) poichè desire Mi desti ad ubbidire

(1) Impressa, rappresentata nell'animo. (2) Bella.

(3) Pregio.

| La dolce provvedenza:
E se vi pare oltraggio,
Ch'ad amarvi sia dato,
Non sia da voi biasmato;
Chè solo Amor mi sforza,
Contra cui non val forza nè misura.
BALLATA IX.

Deh nuvoletta, che'n ombra d'Amore
Negli occhi miei di subito apparisti,
Abbi pietà del cor che tu feristi,
Che spera in te, e desiando muore.

Tu nuveletta, in forma più che umana,
Foco mettesti dentro alla mia mente
Col tuo parlar ch' ancide,

Poi con atto di spirito cocente
Creasti speme, che'n parte mi è sana,
Laddove tu mi ride:

Deh non guardare, perchè a lei mi fide,
Ma drizza gli occhi al gran disio che m'arde,
Che mille donne già, per esser tarde,
Sentito han pena dell' altrui dolore.

BALLATA X.

Donne, io non so di che mi preghi Amore, Ched ei m'ancide, e la morte m'è dura; E di sentirlo meno ho più paura.

Nel mezzo della mia mente risplende
Un lume da' begli occhi, ond' io son vago,
Che l'anima contenta,

Vero è ch'ad or ad or d'ivi discende
Una saetta che m'asciuga un lago,

Dal cor pria che sia spenta.

Ciò face Amor, qual volta mi rammenta
La dolce mano e quella fede pura,
Che dovria la mia vita far sicura.

BALLATA XI.

Voi che sapete ragionar d'Amore, Udite la ballata mia pietosa, Che parla d'una donna disdegnosa, La qual m'ha tolto il cor per suo valore. Tanto disdegna qualunque la mira, Che fa chinare gli occhi per paura; Chè d'intorno da' suoi sempre si gira D'ogni crudelitate una pintura, Ma dentro portan la dolce figura, Ch'all'anima gentil fa dir: mercede; Si virtuosa, che quando si vede, Trae li sospiri altrui fora del core.

Par ch'ella dica: io non sarò umile Verso d'alcun che negli occhi mi guardi; Ch'io ci porto entro quel Signor gentile, Che m'ha fatto sentir degli suoi dardi:

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POESIE LIRICHE

E certo io credo che così gli guardi,
Per vederli per sè, quando le piace:
A quella guisa donna retta face,
Quando si mira per volere onore.

lo non spero che mai per la pietate
Degnasse di guardare un poco altrui;
Cosi è fera donna in sua beltate
Questa che sente Amor negli occhi sui;
Ma quanto vuol nasconda, e guardi lui,
Ch'io non veggia talor tanta salute;
Perocchè i miei desiri avran virtute
Contra il disdegno che mi dà Amore.

BALLATA XII.

Quando il consiglio degli augei si tenne, Di nicistà (1) convenne,

Che ciascun comparisse a tal novella;
E la cornacchia maliziosa e fella
Pensò mutar gonnella,

E da molti altri augei accattò penne:
Ed adornossi, e nel consiglio venne:
Ma poco si sostenne,

Perchè pareva sopra gli altri bella.
Alcun domandò l'altro: chi è quella?
Sicchè finalment' ella

Fu conosciuta: or odi che n'avvenne.

Che tutti gli altri augei le fur d'intorno; Sicchè senza soggiorno (2)

La pelar sì, ch'ella rimase ignuda;
E l'un dicea: or vedi bella druda;
Dicea l'altro: ella muda (3);

E così la lasciaro in grande scorno.
Similemente addivien tutto giorno
D'uomo che si fa adorno

Di fama o di virtù, ch'altrui dischiuda;
Che spesse volte suda

Dell'altrui caldo, talchè poi agghiaccia:
Dunque beato chi per sè procaccia.

(1) Contrazione di nicissità. (2) Senza indugio.

(3) Ella muta, rinnuova le penne.

BALLATA XIII.

Madonna, quel Signor, che voi portate Negli occhi tal che vince ogni possanza, Mi dona sicuranza

Che voi sarete amica di pietate.

Però che là dov'ei fa dimoranza,
Ed ha in compagnia molta beltate,
Tragge tutta bontate

A sè, come a principio che ha possanza:
Ond'io conforto sempre mia speranza,
La qual'è stata tanto combattuta,
Che sarebbe perduta,

Se non fosse che Amore
Contr'ogni avversità le dà valore
Con la sua vista, e con la rimembranza
Del dolce loco, e del soave fiore;
Che di nuovo colore

Cerco la mente mia,

Mercè di vostra dolce cortesia.

BALLATA XIV.

Per una ghirlandetta Ch'io vidi, mi farà Sospirare ogni fiore.

Vidi a voi, Donna, portare
Ghirlandetta di fior gentile,
E sovra lei vidi volare
Angiol d'Amore umile,
E nel suo cantar sottile
Diceva: chi mi vedrà,
Lauderà il mio Signore.
S' io sarò là dove sia
Fioretta mia bella e gentile,
Allor dirò alla donna mia,
Che porta in testa i miei suspiri;
Ma per crescere i desiri
Una donna ci verrà
Coronata dall' Amore.

Le parole mie novelle,
Che di fior fatto han ballata,
Per leggiadria ci han tolt' elle
Una veste ch'altrui fu data:
Però ne siate pregata,
Qual uom la canterà,
Che a lui facciate onore.

SONETTI

OHOKO

SONETTO I.

A ciascun'alma presa (1), e gentil core,
Nel cui cospetto viene il dir presente,
In ciò che mi riscrivan suo parvente (2),
Salute in lor Signor, cioè Amore.

Già eran quasi ch' atterzate l' ore
Del tempo ch'ogni stella è più (a) lucente,
Quando m' apparve Amor subitamente,
Cui essenza membrar mi dà orrore.

Allegro mi sembrava Amor, tenendo Mio core in mano, e nelle braccia a vea Madonna, involta (b) in un drappo dormendo. Poi la svegliava, e d'esto core ardendo Lei (c) pavento sa umilmente pascea; Appresso gir lo ne vedea piangendo.

SONETTO II.

Piangete, amanti, poichè piange Amore, Udendo qual cagion lui fa plorare; Amor sente a pietà donne chiamare, Mostrando amaro duol per gli occhi fore.

Perchè villana morte in gentil core Ha messo il suo crudele adoperare, Guastando ciò, ch' al mondo è da lodare In gentil donna, fuora (d) dello onore.

Udite, quant' Amor le fece (e) orranza (3);
Ch'io'l vidi (f) lamentare in forma vera
Sovra la morta immagine avvenente;

E riguardava (g) in ver lo Ciel sovente,
Ove l'alma gentil già locata era,
Che donna fu di sì gaia sembianza (h).

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E sospirando pensoso venia,
Per non veder la gente, a capo chino.
Quando mi vide, mi chiamò per nome,
E disse: io vegno di lontana parte,
Ov'era lo tuo cor per mio volere;

E recolo a servir nuovo piacere (4).
Allora presi di (1) lui sì gran parte,
Ch'egli disparve (mn), e non m'accorsi come.

SONETTO IV.

Tutti li miei pensier parlan d'Amore, Ed hanno in lor si gran varietate, Ch' altro mi fa voler sua potestate, Altro folle ragiona il suo valore;

Altro sperando m'apporta dolzore (5), Altro pianger mi fa spesse fiate; E sol s'accordano in chieder pietate, Tremando di paura, ch'è nel core.

Ond' io non so, da qual materia prenda: E vorrei dire, e non so ch'io mi dica: Così mi trovo in amorosa (n) erranza.

E se con tutti vo' fare accordanza, Convenemi chiamar la mia nimica, Madonna la Pietà, che mi difenda.

SONETTO V.

Coll'altre donne mia vista gabbate, E non pensate, donna, onde si mova, Ch' io vi rassembri sì figura nova, Quando riguardo la vostra beltate.

Se lo saveste, non porria pietate
Tener più contra me (o) l'usata prova;
Ch' Amor quando (p) si presso a voi mi trova,
Prende baldanza, e tanta sicurtate,

Che fiere (q) tra' miei spirti paurosi,
E quale ancide, e qual caccia (r) di fora,
Sicch' ei solo rimane (s) a veder vui;

Ond' io mi cangio in figura d'altrui,
Ma non sì, ch' io non senta bene allora
Gli guai de' discacciati (t) tormentosi.
mango (t) degli scacciati

(1) Figuratamente innamorata
suo, il lor parere.

(2) II

(3) Onoranza.

(4) Nuova cosa piacente, nuova bellezza. (5) Dolcezza.

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