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Von den vielen Dithyramben der Italiåner ist keine fo berühmt, als der Bacco in Toscana von Francesco Redi, geb. 1626 zu Arezzo, und geft. zu Pisa, 1698, der als Arzt, Phi> losoph und Sprachforscher viele Verdienste besaß. Man schäßt dieß Gedicht vornehmlich wegen des begeisterten Tons, der jedoch zuweilen etwas tåndelnd wird, wegen der grøßen Mannichfaltigkeit der Versarten, und der in allen so glücklich herrschenden Harmonie. Ich gebe hier nur den Auszug dieses Gedichts, den Hr. Werthes mit einer prosaischen Ues bersegung, in seiner oben angeführten Sammlung, S. 203. f. geliefert hat. Es musste freilich in der Uebersehung von jenen Eigenschaften sehr viel verloren gehen; sie ist aber doch, einiger erläuternden Anmerkungen wegen, zu vergleichen. Der Inhalt des Ganzen ist kürzlich dieser: „Bacchus, in Gesellschaft seiner Geliebten Ariadne, ist selbst der Held des Stücks, Er durchgeht die berühmtesten italianischen, bes sonders toskanischen, Weine, trinkt fast von jedem; lobt oder tadelt fie; verdammt alle Arten erkünftelter Getränke, aber mehr, als alle, das Waffer. Und nachdem er sich indessen berauscht, und wieder erholt, und abermals zu trins

Angelo Poliz ziano. Redi.

Redi. Een angefangen hat, erklärt er den Wein von Montepul ciano für den König aller Weine."

BACCO IN TOSCANA.

Dell' Indico Oriente

Domator gloriofo il Dio, del vino
Fermato avea l'allegro fuo foggiorno
Ai Colli Etrufchi intorno;
E colà dove Imperial Palagio
L'augufta fronte inver le nubi innalza,
Su verdeggiante Prato

Con la vaga Arianna un di fedea,

E bevendo, e cantando

All bell' Idolo fuo cofi dicea.

Se dell' uve il fangue amabile
Non rinfranca ognor le vene
Questa vita è troppo labile,
Troppo breve e sempre in pene,

Si bel fangue è un raggio accefo
Di quel fol che in ciel vedete
E rimafe avvinto e prefo
Di più grappoli alla rete.

Su fu dunque in quefto fangue
Rinoviam l'arterie e i mufculi;
E per chi f'invecchia e langue
Prepariam vetri majusculi.
Ed in fefta baldanzofa
Tra gli scherzi e tra le risa
Lasciam pur, lasciam paffare
Lui che in numeri e in mifure
Si ravvolge e fi confuma
E quaggiù Tempo fi chiama,

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E bevendo e ribevendo

I penfier mandiamo in bando.

Che vino è quel colà

Ch' ha quel color dere?

La Malvagia farà

Ch' al Trebbio onor già diè,

Ell' è davvero, ell' è,
Accostala un pò in quà,
E colmane per me
Quella gran coppa là,
E buona per mia fè,
E molto à grè mi va,
Io bevo in fanità
Toscano Re, di te,

Pria ch' io parli di te, Re faggio e forte
Lavo la bocca mia con queft' umore,
Umor, che dato al fecol noftro in forte
Spira gentil foavità d'odore.

Gran Cosmo afcolta. A tue virtudi il cielo
Quaggiù promette eternità di gloria,
E gli Oracoli miei, fenz' alcun velo
Scritti già fon nella immortale Iftoria.
Sazio poi d'anni e di grandi opre onufto,
Volgendo il tergo à quefta baffa mole
Per tornar colaffù, donde fcendefti,
Splenderai luminofo intorno à Giove
Tra le Medice ftelle aftro novello
E Giove fteffo del tuo lume adorno
Girera più lucente all' Etra intorno.

Quefto nappo, che fembra una pozzanghera,
Colmo è d'un Vin fi forte e fi poffente,
Che per ischerzo baldanzofamente
Sbarbica i denti, e le mafcelle fganghera,
Quafi ben gonfio e rapido torrente
Urta il palato e il gorgozzulle inondo;
F precipita in giù tanto fremente,
Ch' appena il cape l'una e l'altra fponda
Madre gli fu quella fcoscefa balza,

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Redi.

د

Dove l'annofo Fiefolano Atlante

Nel più fitto meriggio e più brillante
Verfo l'occhio del fole il fianco innalza.
Fiefole viva, e feco vivà il nome

Del buon: Salviati ed il fuo bel Majano,
Egli fovente con devota mano

Offre diademi alle mie facre chiome:
Ed lo lui fano prefervo

Da ogni mal crudo e protervo;

Ed intanto

Per mia gioja tengo accanto

Quel grand' onor di fua real Cantina,

Vin di Val di Marina

Ma del Vin di Val di Botte
Voglio berne giorno e notte;
Perche lo che in pregio l'hanno
Anco i maestri di color, che fanno,
Ei da un colmo bicchiere e traboccante
In sì dolce contegno il cuor mi tocca
Che per ridirlo non faria baftante

Il mio Salvin, ch' ha tante lingue in bocca.
Se per forte avverrà, che un di lo affaggi
Dentro a' lombardi fuoi graffi Cenacoli
Colla Ciotola in man farà miracoli,
Lo fplendor di Milano, il favio Maggi,
Il favio Maggi d'Ippocrene al fonte
Menzognero liquore unqua non bebbe,
Nè ful Parnafo lufinghiero egli ebbe
Serti profani all' onorata fronte.
Altre ftrade egli corfe; e un bel fentiero
Rado o non mai battuto apri ver l'Etra,
Solo à i Numi e agli Eroi nell' aurea Cetra
Offrir gli piacque il fuo gran canto altero,

Del buon Chianti il vin decrepito

Maeftofo
Imperiofo

Mi pafleggia dentro il cote,
E ne fcaccia fenza ftrepito
Ogni affanno e cogni dolore,

Ma

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Cofi grato in fen mi piove

Ch' Ambrofia e Nettar non invidio à Giove:

Or questo che stillò d'all' uve brune

Di vigne faffofiffime Toscane

Devi, Arianna, e tien da lui lontane
Le chiomazzurre Najadi importune;
Che faria

Gran follia

E brutiffimo peccato

Bevere il Carmignan, quando è inacquato,

Chi l'Acqua beve

Mai, non riceve

Grazie da me :

Sia pur l'acqua o bianca, o fresca

O ne' Tonfani fia bruna:

Nel fuo amor me non invefca,
Quefta fciocca ed importuna
Quefta feiocca, che fovente
Fatta altiera e capricciofa
Riottola ed infolente
Con furor perfido e ladro
Terra e Ciel mette à foqquadro.
Ella rompe i ponti e gli argini
E con fue nembose aspergini,
Sui fioriti e verdi margini
Porta oltraggio à i fior più vergini;
E l'ondofe fcaturigini
Alle moli ftabiliffime
Che farian perpetuiffime
Di rovina fon origini.
Lodi pur l'acque del Nilo
Il foldan de' Mammalucchi
Ne l'Ifpano mai fi ftucchi
D'innalzar quelle del Tago;
Ch' io per me non e fon vago.
E fe à forte alcun de' miei
Foffe mai cotanto ardito,

Redi.

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