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健 non deinceps personas una cum his ad jura avun- non è dubblo alcuno che quantunque il grado deculi sui perveniant et mortuo eo, qui patruus gli agnati sia un solo, a loro appartenga l'eredità. quidem est sui fratris filiis, avunculus autem sơroris suae soboli, simili modo ab utroque lutera succedant, tamquam si omnes ex masculis descendentes legitimo jure veniant, scilicet ubi frater, et soror superstites non sunt. His enim personis praecedentibus, et successionem admittentibus, ceteri gradus remanent penitus semoti, videlicet hereditate non in stirpes, sed in capita dividenda.

4. Giudicammo eziandio che si dovesse aggiu

gnere alla nostra costituzione, che si trasferisca un grado solamente dalla linea de' cognati nella successione legittima degli agnati; sicchè non solo il figliuolo, e la figliuola del fratello, siccome abbiamo già detto, sian chiamati alla successione del loro zio paterno, ma eziandio i figliuoli e le figliuole della germana consanguinea o uterina, e sola mente questi, e non altri vengano insieme con quelli alla successione del loro zio materno: sicchè morto colui che è zio paterno a'figliuoli di suo fra tello, e zio materno a quelli di sua sorella, i due rami succedono egualmente come se tutti fosser discendenti per linea maschile, purchè però non sia vivo nè fratello, nè sorella; dappoichè precedendo queste persone, ed essendo ammesse alla successione, tutti gli altri gradi si restano in tutto separati, e lontani, perchè allora l'eredità si divide non in istirpi, ma in capi.

Hereditate non in stirpes sed in capita dividenda. Questa non è una disposizione particolare per questo caso, ma una regola generale per tutto l'ordine degli agnati, come vedremo sotto il seguente paragrafo.

Dopo aver cost esposta la composizione dell'ordine degli agnati, non ci rimane altro che far conoscere seguendo il testo, alcuni principii generali relativi a quest'ordine di successione.

▼. Si plures sint gradus agnatorum, aperte lea XII. Tabularum proximam vocat. Itaque si verbi gratia, sit defuncti frater, si alterius fratris filius, aut patruus, frater potior habetur. Et quamvis singulari numero usa les proximum vocet, tamen dubium non est quin, etsi plures sint ejusdem gradus, omnes admittuntur. Nam et proprie proximus ex pluribus gradibus intelligitur: et tamen non dubium est quin, licet unus sit gradus agnatorum, pertineat ad eos hereditas.

5. Fra più gradi di agnati la legge delle XII. Tavole apertamente chiama il più vicino; laonde se per esempio il morto abbia lasciato un fratello, ed un figliuolo di un altro fratello, o un zio paterno, il fratello è preferito; e quantunque la legge chiami il prossimo, usando questa voce nel numero del meno, tuttavia non è dubbio alcuno che, se saranno molti in un grado medesimo, siano tutti ammessi. Alla stessa guisa il più prossimo suppone rigorosamente parlando più gradi, e nondimeno

(1) Ulp. Reg. 26. 4.

Allato al principio esposto in questo paragrafo che gli agnati son chiamati all'eredità secondo l'ordine de'gradi,i più prossimi escludendo sempre ed in modo assoluto i più lontani, bisogna collocare quest'altro principio, che nell'ordine degli agnati l'eredità non si divide in istirpi, ma solamente per capi. «Adgnatorum hereditates dividuntur in capita», dicono le Regole di Ulpiano (1). Sicchè la divisione per istirpi, nella quale i figliuoli rappresentano il loro padre premorto, e vengono per mezzo di siffatta rappresentazione ad occupare il suo grado, ed a prendere nella successione la sua parte per dividerla tra loro, resta esclusivamente propria all'ordine degli eredi suoi, e non ha luogo per gli agnati. Dal che segue per esempio, che i figliuoli di un fratello premormai non verranno a concorrere coi fratelli, o colle sorelle viventi; costoro essendo più prossimi di grado li escluderanno al tutto. Ne segue ancora, che se, essendo morti tutti i fratelli, e le sorelle vengano alla sucecessione i nipoti, e le nipoti, si farà per ciascuno una porzione eguale, senza distinguere da quale stirpe provengano, nè se sieno uno o più nella propria stirpe. ◄ Velut si sit fratris filius, aggiungono le regole d'Ulpiano, et alterius fratris duo pluresve liberi quotquot sunt ab utraque parte personae, lot fiunt portiones, ut singuli singulas capiani (2).

VI. Proximus autem,si quidem nullo testamento facto quisquam decesserit, per hoc tempus requiritur, quo mortuus est in cujus de hereditate quaeritur. Quod si facto testamento quisquam decesserit, per hoc tempus requiritur, quo certum turum; tunc enim proprie quisque intestato_deesse coeperit nullum ex testamento heredem exticessisse intelligitur. Quod quidem aliquando longo tempore declaratur: in quo spatio temporis saepe accidit, ut proximiore mortuo, proximus esse incipiat qui moriente testatore non erat proximus.

6. Se alcuno muore senza aver fatto testamento, Ja prossimità si determina all' epoca della morte. Ma se ha fatto testamento, si ricerca chi sia prossimo in quel tempo nel quale comincia ad esser certo, che niuno per quel testamento debba essere erede; perchè allora s' intende che quel tale sia propriamente morto intestato. La qual cosa talora si sa dopo lungo spazio di tempo; sicchè spesse volte suole avvenire che morto il più prossimo, divien tale chi prima non l' era.

Questa regola non è speziale per l' or

(2) Ulp. Reg. 26. 4.

dine degli agnati, ma generale per tulte le successioni ob intestato, siccome qui sopra abbiam detto (p. 1).

VII. Placebat autem in eo genere percipiendarum hereditatum successionem non esse: id est, ut quamvis proximus qui, secundum ea quae dirimus, vocatur ad hercditatem, aut spreverit hereditatem, aut antequam adeat decesserit, nihilo magis legitimo jure sequentes admittantur. Quod iterum praetores imperfecto jure corrigentes non in totum sine adminiculo relinquebant; sed ex cognatorum ordine eos vocabant, utpote agnationis jure eis recluso. Sed nos nihil perfectissimo juri deesse cupientes, nostra constitutione, quam de jure patronatus humanitate suggerente protulimus, sancimus successionem in agnatorum hereditatibus non esse eis denegandam; cum satis absurdum erat quod cognatis a praetore apertum est, hoc agnatis esse reclusum ; maxime cum in onere quidem tutelarum, ei primo gradu deficiente, sequens succedit, et quod in onere obtinebat, non er at in lucro permissum.

. Si volle che in quest' ordine di succedere non vi fosse devoluzione, cioè che quantunque il prossimo, il quale secondo ciò che abbiam detto è chiamato all' eredità, non se ne fosse curato, o innan zi che l'avesse accettata fosse morto, non per questo s' ammettevano quei del grado seguente, secondo il diritto civile. Ma correggendo il pretore imperfettamente l'error della legge non lasciava senza ajuto questi agnati; dappoichè non potendo valer per essi il diritto di agnazione, li chiamava nell' ordine de' cognati. Ma noi desiderando che non manchi cosa alcuna alla legge perchè sia perfetta, per la nostra costituzione la quale abbiam data fuori sulla ragion del padronato, per nostra umanità abbiamo comandato, ehe non sia loro negata la devoluzione nelle eredità degli agnati; essendo stato pur troppo inconveniente che sia stato chiuso agli agnati quel che dal pretore fu aperto a' cognati; e spezialmente quando pel carico delle tutele, mancando il primo grado, succedeva il seguente; per modo che quello che era ammesso nei carichi, non era parimente ammesso nel guadagno.

Successionem non esse. Il principio che l'eredità non si deferisce da un grado al l'altro era comune si all'ordine degli eredi suoi, e si a quello degli agnati. « Sucressio in suis heredibus non est», ci dice un frammento d' Ulpiano nel Digesto (1); in hereditate legitima successioni locus non est, ci dice Paolo nelle sue sentenze (2). Sicchè l'eredità era deferita per intero, ma una sola volta in ciascun ordine al grado più prossimo. Se tutt' i membri di questo grado la rifiutavano, o se morivano innanzi che avesser fatta l'adizione, essa non potevasi deferire al grado seguente nel medesimo ordine, ma tutto quanto il diritto di quell'ordine era esau

(1) D. 38. 16. 1. § 8.

rito, l'ordine intero trovavasi decaduto, e la successione passava al susseguente: di tal che la devoluzione si faceva da un ordine all'altro, ma non già da un grado all'altro. Tuttavia è da far distinzione a tal riguardo tra l'ordine degli eredi suoi, quello degli agnati.

Nell'ordine degli eredi suoi la quistione di devoluzione da un grado all'altro, e di decadenza di tutto l'ordine per difetto di adizione non poteva presentarsi rispetto a coloro che erano suoi propriamente detti, poichè l'eredità era loro acquistata di pieno diritto, e a loro malgrado per ciò solo che loro era deferita. Parimente non poteva presentarsi per sapere se in caso che i più prossimi eredi suoi si astenessero, gli eredi suoi del grado seguente avessero potuto venire nel loro posto, mentre noi sappiamo che l'astenersi non impediva di essere erede, e per conseguenza non apriva alcun diritto nè al grado, nè all'ordine seguente: sicchè, a dir breve, nell'ordine degli eredi suoi, se la quistione di devoluzione si poteva presentare, ciò poteva essere solamente riguardo a que' discendenti, i quali non erano eredi suoi secondo il diritto rigoroso, ma erano solo chiamati dalla legislazione posteriore alla condizione di eredi suoi, senza che l'eredità s'acquistasse loro di pieno diritto.

Nell'ordine degli agnati, siccome l'eredità non si acquistava loro che per l'adizione, la questione di devoluzione era intera. In questo stato di cose così per gli uni, come per gli altri la devoluzione non poteva, o non doveva mai aver luogo.

Imperfeto jure corrigentes. Il pretore si sarebbe ben guardato di stabilire la devoluzione da un grado all'altro nell'ordine degli agnati. Per tal modo si sarebbe perpetuato quest' ordine, mentre lo spirito del diritto pretorio era di profittare immediatamente della sua decadenza fine di chiamare all' eredità l'ordine dei cognati, secondo il loro grado di parentela naturale. In questa successione pre toria avea luogo la devoluzione.

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Successionem in agnatorum hereditatibus non esse denegandam, e lo stesso probabilmente dee dirsi riguardo a quelle persone ch'eran chiamate nel grado di eredi suoi senza che realmente fosser tali. La ragione è la medesima,perchè si negherebbe loro un diritto che è dato agli agnati ed a'cognati?

(2) Paul. Sent. 4, 22.

VIII. Ad legitimam successionem nihilominus vocatur etiam parens, qui contracta fiducia filium, filiam, nepotem, vel neptem ac deinceps emancipat. Quod ex nostra constitutione omnimodo inducitur, ut emancipatione liberorum semper videantur contracta fiducia fieri; cum apud veteres non aliter hoc obtinebat, nisi specialiter contracta fiducia parens manumisisset.

S. È chiamato eziandio alla legittima successione il padre, che con riserva di fiducia emancipa il figliuolo, la figliuola, il nipote, la nipote, e tutti gli altri che seguono. La qual cosa si trova modificata dalla nostra costituzioue in questo senso che l' emancipazioue de'discendenti si debba reputar sempre fatta con riserva di fiducia, meutrechè appresso gli antichi questo non avea luogo, se il padre emancipando, non avesse fatta espressamente questa riserva.

Per la legge delle XII Tavole, e pel diritto civile rigoroso qual era la condizione ereditaria degli ascendenti nella successione del loro discendente? Erano essi compresi nell'ordine degli agnati, e qual grado vi occupavano? Si avverta che noi qui non parliamo nè degli ascendenti del lato materno, nè delle ascendenti o madre o avola che sia, perciocchè costoro non facevano parte della famiglia civile, ma parliamo solamente degli ascendenti paterni. Rispetto ad essi si vuol distinguere due casi 1.° quello in cui il loro discendende defunto era ancora al momento della sua morte sotto la potestà paterna; 2.° quello in cui n'era uscito, vivendo gli ascendenti, per emancipazione, o in qualsivoglia altro modo.

Nel primo caso il defunto essendo ancora sotto la potestà paterna, e figliuolo di famiglia, non poteva avere alcuna eredità secondo la legge delle XII. Tavole. Alla sua morte quell'ascendente che trovavasi capo della famiglia ripigliava come cosa appartenente a lui tutti i beni, che il figliuolo di famiglia morto avea per av ventura avuti a sua disposizione nel tempo della sua vita. Or siccome il figliuolo di famiglia non poteva altrimenti divenir capo e por conseguenza capace di lascia. re un'eredità, che per la morte di tutti i suoi ascendenti paterni, giacchè fin tanto che ne restava uno, egli passava successivamente sotto la potestà dall'uno all'altro, ne seguita che non poteva mai esser quistione di ascendenti nella successione legittima di un capo di famiglia, salvochè egli, vivendo ancora gli ascendenti, non fosse uscito dalla loro potestà, per effetto di emancipazione o di qualsivoglia

(1) C. 6. 61. 3.

altra piccola diminuzione di capo; il che forma il secondo caso da esaminare:

In questo secondo caso, essendo il figliuolo uscito dalla potestà paterna, niun legame di famiglia civile più non l'univa a suoi ascendenti, per conseguente costoro non potevano avere alcun diritto sulla sua legittima eredità.

Così tanto nel primo caso, perchè il figliuolo di famiglia defunto non poteva avere alcuna eredità; quanto nel secondo, perchè il figliuolo uscito dalla famiglia non era più a'suoi ascendenti civilmente legato, mai non poteva, secondo la legge delle XII. Tavole esser quistione di ascendenti nella successione legittima.

Vediamo le modificazioni che al diritto rigoroso in questi due casi furono arrecate; ed in primo luogo riguardo a' figliuoli di famiglia sottoposti alla potestà pa terna.

L'introduzione de' peculii permise loro di avere un'eredità testamentaria, da prima sul loro peculio castrense, e di poi sul loro peculio quasi castrense. Ma siffatta modificazione a principio non si estese alla successione ab intestato; in fatti noi sappiamo che se il figliuolo di famiglia moriva senz' aver fatto testamento, il capo ascendente ripigliava tutti questi pecult dl qualunque spezie, non per diritto ereditario, ma sibbene per diritto di potestà, ed in preferenza a tutti, anche ai figliuoli del defunto, secondo il diritto rigoroso (Vol. 1. p. 355 ). Adunque non v'era ancora successione ab intestato pel figliuolo di famiglia.

Questo genere di successione fu riguardo ad essi introdotto posteriormente dalle costituzioni imperiali, ed in un modo al tutto eccezionale, cioè solamente pei beni che avrebber potuto provenire al figliuolo di famiglia o dalla madre, o in generale dalla sua linea materna, per donazione, legato, o altrimenti. Noi vediamo per le costituzioni da prima di Teodosio e di Valentiniano (1), dipoi di Leone, e d' Antemio (2), ed in fine di Giustiniano (3) che, per ta' beni le successioni in. testate sono così stabilite: 1.° i suoi discendenti figliuoli o figliuole,nipoti, e via discorrendo; 2.o i suoi fratelli, e le sorel le si del medesimo letto e sì di altro; 3. il padre o altri ascendenti secondo il loro grado. Ed in questo caso è talmente vero che gli ascendenti vengono in virtù di un diritto di successione loro conceduto, e non per diritto di potestà paterna,

(2) Ivi 4. (3) Ivi 59. 11.

che se l'avolo, capo di famiglia, ed il padre del defunto sieno amendue vivenii,il padre come il più prossimo ascendente succederà a beni materni, e l'avolo co munque abbia la potestà paterna, raccoglierà il solo usufrutto, al quale siffatta potestà gli dà diritto (1).

stabilito a scapito de' diritti di potestà paterna del capo (3).

Tale era la posizione degli ascendenti nella successione de' figliuoli di famiglia. In quanto ai figliuoli usciti dalla famiglia per effetto di una piccola diminuzione di capo, vivendo i loro ascendenti paterni, fu ben presto immaginata una prima modificazione al diritto rigoroso. Noi abbiam veduto (Vol. I. p. 150), che l'ascendente il quale emancipava il suo figliuolo di famiglia col mezzo di mancipa

Tutto ciò introdotto segnatamente in considerazione de'legami del matrimonio, e dell'origine materna de' beni, era resta to interamente estraneo ai peculii castrensi, e quasi castrensi. Il capo di famiglia, in caso di morte del figliuolo senza testa-zioni fatte con riserva di fiducia ( contracmento, raccoglieva sempre questi peculii ta fiducia), si riserbava in questo modo per diritto di potestà paterna. Ma una di- sopra di lui i diritti di tutela e di, successposizione di Giustiniano, che qui so- sione annessi al padronato (Vol. 1. p. 166). pra (2) abbiam veduta, volle che questi In questo caso l'ascendente emancipante, peculi non ricadessero a lui se non nel egli solo tra tutti gli ascendenti veniva caso che il figliuolo morto non lasciasse alla successione di questo discendente nè figliuoli, nè fratelli nè sorelle. Per tal immediatamente dopo gli eredi suoi. Egli modo Giustiniano, anche relativamente formava in certa guisa l'ordine degli aa' peculii castrensi, e quasi-castrensi del gnati; perciocchè il figliuolo essendo stafigliuolo di famiglia, aprì una specie di to emancipato non ne aveva altri. Da quelsuccessione ab intestato, il cui ordine era lo che noi ahbian già veduto del diritto regolato in questa maniera: 1o i figliuoli; di Giustiniano a tal riguardo, e da ciò che 2o i fratelli, e le sorelle. In mancanza di il testo qui ripete sappiamo,che in tutti i costoro il capo di famiglia prendeva i beni casi, ed in qualunque modo l'emancipajure communi, secondo le parole di Giu- zione abbia avuto luogo, l'ascendente estiniano. lo non dubito punto che il senso mancipante ha sempre i diritti di tutela di cotali parole sia ch'egli prendeva i be- e di successione che altra volta avrebbe ni per diritto di peculio, e non di succes- avuti per la riserva di fiducia. Nondimesione. In primo luogo la Parafrasi di Teo- no Giustiniano ha modificato questi diritfilo formalmente lo dice: jure comuni, id ti per quanto si appartiene all'ordine del est tamquam peculium paganum. In fatti qui succedere. In fatti l' ascendente emanciil diritto comune era il diritto di peculio,e pante in qualità di patronus veniva il prinon l'ordine successivo tutto eccezionale mo immediatamente dopo l'ordine degli stabilito pei beni materni. D'altra parte eredi suoi, in preferenza di tutti gli altri; qui non concorrevano più le ragioni che ma Giustiniano qui stabilisce per l'eredi aveano dettate le disposizioni degl'impe- tà dell' emancipato il medesimo ordine radori relativamente a' beni materni. In successivo che per l'eredità de' peculii fine ravvicinando fra loro i testi, si rende era osservato: 1o i figliuoli; 2° i fratelli chiaro che qui il diritto viene attribuito e le sorelle; 3° l'ascendente emancipana quell' ascendente che è investito della te (4).

Della successione de'gentili (5).

Cicerone volendo far intendere che cosa una definizione debba contenere, per esser compiuta, cita ad esempio quella de' gentili.

potestà paterna, e che, se per esempio l'avolo e il padre del defunto sono amendue viventi, all'avolo che è il capo di famiglia si aspetta di raccogliere i beni castrensi, o quasi-castrensi, in mancanza di figlioli, o di fratelli e sorelle del defunto; mentrechè il padre prenderebbe per successione i beni materni; poichè in « I gentili, egli dice, son quelli che hanquesto caso la sua unione immediata con »no il medesimo nom comune tra loro: la madre e con la linea materna, donde » ciò non basta: che sono di origine ingequesti beni provenivano, aveva modifica- » nua: ciò neppure basta:di cui niuna deto in suo favore l'ordine di successione » gli ari non sia stato ridotto in servitù ;

(1) C. 6. 61. 3. (2) Inst. 2. 12. princ.

(3) Il mio dotto collega DUCAURROY nelle sue Institutes expliquees professa un'opinione contraria. (4) C. 6. 56. 2. const. Diocl. e Maxim. inter

polata da Giustiniano.

(5) V. sulla istituzione de' Gentili quello che ne abbiam detto. Histoir, du droit n.o 27; e Esposiz. Gener. n.o 18.

» vi manca ancora qualche cosa: che non » hanno sofferta diminuzione di capo; ora » senza dubbio vi è tutto In fatti io non » veggo che il pontefice Scevola abbia Daggiunto altro a questa definizione (1)». E nonpertanto, non ostante questa definizione perfetta, non vi ha cosa più oscura al mondo che il sapere chi erano i gentili.

«Si (ad) gnatus nescit (nec sit), gentiles familiam heres hanc (heredes habento) (2). Ecco tal quale ci è pervenuto il frammento alterato del testo delle XII. Tavole, che chiamava i gentili in difetto di agnati, all'eredità. Ma chi erano i gentili? Gaio nelle sue Istituta dopo aver esposta l'eredità degli agnati, viene a quella de' gentili. « Si nullus agnatus sit, eadem lex XII. Tabularum gentiles ad hereditatem vocat ». Si poteva sperare che qui venisse a dare qualche spiegazione, ma egli aggiugne: « Qui sint autem gentiles primo commentario retulimus » (3); or in questo primo comentario non si trova nulla sui gentili; un foglio intero che manca al manoscritto, dopo l'esposizione della tutela degli agnati, conteneva probabilmente quella de' gentili, e la spiegazione alla quale Gaio si riferisce (4), e che per tal modo ci è rimasta ignota.

Più d'una congettura si è azzardata, e diversi sistemi son corsi più o meno su questo mistero dell'associazione civile de' romani.

Secondo alcuni, la gente dividendosi in istirpi (stirpes), e le diverse stirpi in famiglia (familiae) con un nomen comune per tutte le gens, un adgnomen per ciascuna famiglia: gli agnati sarebbero solamente i membri d'una medesima famiglia, o d'una medesima stirpe; e gli altri sarebbero i gentili, questo sistema viene da Sigonio (5).

Secondo altri, gli agnati si arresterebbero al decimo grado, al di là di questo grado vi sarebbero i gentili. Questo sistema viene da Otman (6); e questo io credo che adottava M. Ducaurroy.

M. La ferrière arresta gli agnati ai collaterali provvenienti dall'avo o dal padre

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comune, e dalla loro discendenza ; i collaterali provvenienti da bisavi, trisavi, o altri ascendenti più lontani, sarebbero gentili (7).

Questi tre sistemi hanno un medesimo andamento; quello di mettere un limite all' agnazione, per locarvi gentili dopo di essa. Ma i tre limiti indicati sono contrarii ciascuno alla definizione larga egenerale, che dell'agnazione ci danno i romani giureconsulti: quella di Sigonio è congenturale ed arbitraria; quella di Otman è stata già da noi dimostrata inammisibile, come in apparenza fondata sopra un testo delle istituzioni (Tit. 1. sopra § 1); quanto a quella del nostro amicoM. La ferrière, farem solamente avvertire che potrebbe avvenir benissimo che un bisavo abbia avuto sotto la sua potestà i suoi figli, i nipoti, i pronipoti, i quali sarebbero incontestabilmente agnati. Che cosa autorizza dunque ad arrestarsi a discendenti dell'avo? Daltronde fra due collaterali, se uno proviene dalla linea ascendente, e l'altro da quella discendente; il rapporto dell'uno all' altro è inverso: a che si riduce adunque la distinzione indicata?

Questi tre sistemi, oltre di avere un li mite arbitrario smentito da'testi giuridici sull'agnazione, hanno un altro vizio ancora; quello di non corrispondere alla definizione che reca Cicerone de' gentili. Essi rispondono soltanto a questa definizione per la comunanza de' uomi attribuiti ai gentili, qual comunanza sta anche per gli agnati: ma non poggiano per nulla su la condizione di una origine sempre ingenua di cui parla Cicerone. Che se tal condizione si aggiunga, siccome ha avuto diligenza di fare M. Laferrière, si vedrà che vi è aggiunta, ma non ne fa parte: i tre sistemi restano ad essa stranieri, e non possono renderne conto alcuno.

In una quarta opinione la gens si com. pone delle famiglie, tra le quali la comuuanza del nome rivela una origine comu ne ma così lontana, che la traccia se n'è perduta, e non è più possibile di comprovare tra i membri di cotali famiglie dei

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