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di loro. Lo Schlüter, non segue certo il Neissner nella stima che mostra di Persio, per lui i meriti del poeta latino son tali da superare in qualche parte Orazio stesso (54), poichè, mentre questi non tratta che la propria causa ed è, secondo l'espressione del Monti, «il breviario dei cortigiani », quegli all'incontro tratta la causa di tutti ed è <«< il catechismo della virtù » (55). Nè d'altra parte, continua lo Schlüter, si può convenire nella sentenza dello fahn, che Persio non conosca nulla oltre i precetti dello stoicismo, quando in molte parti se ne allontana avvicinandosi molto alla morale cristiana (56). Il parere invece del Teuffel è accettato dal Tamagni e dal d'Ovidio nella loro letteratura, dove si legge che, « eccettuata la prima satira . . . . . . tutte l'altre, sono, più che satire, discorsi e declamazioni sopra questo e quel dettato della scuola stoica, misti di dialoghi e di scene burlesche, sul fare, se si disse il vero, dei mimi greci di Sofrone »(57).

In tale e così grande discrepanza di pareri emessi da critici di vaglia, io ho creduto pertanto non inutile studiare da vicino la questione, raffrontando la dottrina di Persio con quella degli stoici, per aver modo di stabilire sopra solido fondamento se egli sia veramente servile sposando un sistema per inettitudine a pensare, ovvero se non gli si debba negare d'aver conservata una certa libertà di opinione. Mi parve questo un mezzo sicuro di stabilire quale merito gli vada attribuito, quanto alle dottrine da lui professate.

CAPITOLO III.

Persio imitatore di Orazio

Chi avendo anche una scarsa e superficiale conoscenza di Orazio, prenda a leggere Persio, non può non accorgersi delle reminiscenze del poeta venosino, che ricorrono assai frequenti. E dall' antichità fino all'età presente, non c'è scrittore, il quale, essendosi occupato delle fonti a cui attinse il nostro satirico, non abbia ammesso ch'egli in molti luoghi seguì Orazio così nel pensiero, come nella forma. Tuttavia, se fu forza che ognuno convenisse in ciò per l'evidenza del fatto, pochi andarono d'accordo fra loro circa il modo e la misura dell'imitazione; poichè, mentre c'è chi asserisce che Persio spoglia d'ogni bellezza i luoghi che prende a imitare, non manca chi afferma tutto il contrario; e mentre abbiamo dei critici che sostengono che alle sue satire togliendo con un esame sottile e rigoroso quanto appartiene ad Orazio, non resterebbe più nulla, ne troviamo pure di quelli che s'impegnano, a dimostrare com' egli sia imitatore piuttosto parco. Nè a questo solo si restringono le controversie, ma si estendono più largamente, discutendosi se il poeta dello stoicismo abbia saputo assimilarsi i pensieri altrui adattandoli e nella sostanza e nella forma al proprio modo di

sentire e di pensare, oppure se sia plagiario a segno che stonino e contrastino bruttamente coi suoi.

Il Casaubonus lo stimò imitatore assiduo di Orazio e per primo lo considerò sotto questo rispetto, proponendosi di dimostrare che se resta inferiore al modello nel litare Gratiis, lo supera tuttavia nell' evitarne i difetti, nonchè in fierezza e sveltezza (1). All'opposto, il Farnabio, associatosi pienamente al giudizio di Cesare Scaligero, che lo chiama ostentator tantum febriculosae eruditionis, segue a dire che si diligens Horatii lector furtivis nudarit plumis, apparebunt reliqua inaniis oppleta atque araneis (2). Quale differenza fra lui e il Tarteron, che qualche diecina d'anni dopo, esaltando a cielo Persio, afferma che egli si appropriò nella sostanza le grazie della poesia di Orazio (3)! Il Rapin, se stiamo all' autorità del Baillet, ha su Persio un giudizio punto benigno, ove tratta di lui come imitatore (4). Meno severo ci apparisce invece il Vulpius, il quale pur non sapendo decidersi di seguire il Casaubonus, osserva che Persio possiede la virtus dicendi meglio d'ogni altro poeta latino dopo Orazio, da lui superato in gravità (5). Lo Schindler tocca di passaggio la questione, senza esprimere un'opinione propria, e non si limita che ad osservare che il Casaubonus non va scevro di mancanze, nè in alcuni suoi raffronti giudica con verità e giustizia (6). Per il Soranzo Persio ha gran merito, essendo riuscito con arte non comune a far propri i concetti di un così egregio e lodato poeta (7). Non è riuscito proprio malamente nella sua opera d'imitazione, secondo il Fülleborn, ma spicca reciso il contrasto fra il modello

e la copia, fra ciò che è suo e nuovo e ciò ch'egli si usurpa (8). Del resto il critico tedesco sembra non avere in grande stima la poesia latina, e quindi neppur Orazio, alla quale, precorrendo il Mommsen, nega ogni originalità, non riconoscendola neppure nella satira stessa (9). Il Tiraboschi discorrendo il difetto maggiore di Persio, l'oscurità, lo attribuisce allo sforzo d'imitare Orazio, del quale riuscì inferiore appunto perchè volle esser migliore (10). Giochetto di parole, che non gitta alcuna luce sulla questione, e pretendendo di risolverla in breve, la salta e si spiccia. Perpetuo imitatore di Orazio lo chiama il Monti, là dov' egli s'intrattiene a tracciare la differenza fra l'uno e l'altro satirico, degni entrambi per lui di altissima estimazione, sebbene abbiano poetato in modo così differente (11). A lungo ne discorre il Passow e critica il Casaubonus, che s'attaccherebbe a sottigliezze per mostrare in Persio un grande imitatore e che pretenderebbe di trovare fra i due satirici delle somiglianze che non esistono (12). Ma il vero si è che se il Casaubonus esagerò in un senso, il Passow esagerò in senso contrario, per il ticchio forse di ingrandire difetti non gravi e di trovare errori insussistenti. Che il giovine satirico non riveli tuttavia studio ed arte nell'opera sua, non lo nega neppure il Passow: egli, dice, nella sua severità si appropria l'urbanità oraziana (13). Di questo avviso non sarebbe il Morgenstern, a cui non pare che gli esametri di Persio ridiano i pregi di quelli di Orazio (14). La differenza dell'uno dall'altro risiede per il König nella pratica della vita; onde il giovine poeta, solo ammaestrato

dalle regole apprese nella scuola, discorre al popolo di concetti a lui inaccessibili; mentre il vecchio maestro dell'arte, pratico della vita, o li ripudia, oppure li riveste di forma facile a comprendersi (15). Ma chi parla con evidente disprezzo di Persio quale imitatore di Orazio è senza dubbio il Nisard: idee chiare, espresse con grazia e leggiadria dal venosino divengono nebulose e ricercate in Persio, non buono ad altro che a guastare tutto ciò che tocca. E di alcuna sarebbe in fatto così, se loro andasse data quell'interpretazione che si compiace di trovare il critico francese, o per la smania di sostenere la propria opinione, o per ragioni che il concetto d'un uomo eminente in letterattura latina non dovrebbe lasciar supporre (16). Tanta stima fa lo Hermann di Persio, da affermare che se non si sapesse già che molti pensieri son tolti ad altri scrittori, assimilati e tradotti in suco e sangue come si presentano, non si esiterebbe a crederli suoi veramente (17). Secondo il Breucker nelle satire del Nostro s'incontreranno in copia reminiscenza di Orazio, ma non il disegno e lo spirito, non la fina arte (18). Nè diversamente pensa il Teuffel: Persio segue Orazio solo nei pregi esteriori, nelle espressioni, in quanto saprà mandare a memoria, risentendo però sempre del gusto esagerato e contorto dei tempi, facendolo andare sui trampoli dov'è naturale, sottilizzando dov'è già sottile ed esagerandone la robustezza. Dovunque apparisce lo sforzo che stanca; un disegno generale è inutile domandare, chè anzi l'una parte non essendo collegata con l'altra, contribuisce ad accrescerne l'oscurità (19). Lucilio ed Orazio,

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