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che sostiene; onde benissimo disse Plinio: Brevitatem in caussis agendis ego retinendam confiteor, si caussa permittat; alioqui prævaricatio est transire dicenda, prævaricatio etiam cursim et breviter attingere, quæ sint inculcanda, etc. E si può dare il caso, che sia lunghissimo il cicalamento d'un quarto d'ora, e breve la diceria di tre ore intere; perchè prudentemente dice il Nazianzeno: Laconice loqui non est, ut putas, paucas syllabas scribere, sed de pluribus rebus paucas; atque hac ratione ego, et maxime breviloquum Homerum esse pronuntio, et prolixum Antimachum. Plinio, che dianzi lodammo: Sciat (scriptor) si materiæ immoratur, non esse longum; longissimum, si aliquid accersit, atque attrahit. Vides quot versibus Homerus, quot Virgilius, arma hic Æneæ, Achillis ille describat? brevis tamen uterque est, quia facit, quod instituit, etc. Non è dunque necessario, per acquistar lode di succinto scrittore, spezzar in minuzzoli la favella, e fuggendo le clausule ed il periodo, andare a bello studio riducendo in atomi la dicitura: anzi fa di mestiere, che considerando ogn' uno la persona che veste, o d'oratore, o d' istorico, o di discorsivo, riduca le maniere del ragionare a quelle leggi, che agli uomini prudenti sono dal bisogno e dal decoro prescritte; così a punto i Laconici (dell'esempio de' quali malamente si vagliono gli avversari), la cui breviloquenza, per cosi dire, è passata in proverbio, trattando nel Senato d'Atene per via d'ambasciatori l'accordo, mostrano, che la brevità del parlare in loro altro non era, che un accomodarsi alla materia, all'occasione ed al tempo, Neque vero longiorem præter consuetudinem habebimus orationem; sed nostri instituti est, ubi pauca verba sufficiunt, non uti multis; rursus uti pluribus, quoties postulat tempus docere verbis, quid in primis operæ pretium sit facere. E Luciano nel proposito nostro dell'istoria, non stima alla richiesta brevità disdicevole, s' altri, quando la grandezza delle cose il richiede, copiosamente favella; ed usa l'avverbio ixavas, che vale copiosamente, come si vulgarizza, ed insieme, a proposito, perchè in caso tale, fa molto a proposito l'abbondanza: Brevitatem suppeditari oportet, non tam nominibus et verbis, quam ex ipsis rebus. Dico autem, si præterveharis cursu ·ea quidem quæ parva sunt et minus necessaria, exponas autem et explices COPIOSE (o vogliam dire IDONEE) ea quæ sunt magna.

Escluso il pretesto della brevità, con cui gli spezzatori della favella, o bene o male, si difendevano; torno ad interrogargli di nuovo, che motivo d'amore trovano in quella sparuta e smunta donzella del parlare a riciso, che tanto strettamente si stringono al seno? Ed essi a nuova difesa, come che inutilmente, s' accingono. Dicono gli incisi esser principali ministri dell' efficacia; la scatenatura valer notabilmente ad accrescer la maestà e l'asprezza del numero render più grande e più magnifica la favella. Tutto è verissimo; ed io non pur di buona voglia il consento, ma con la dottrina de valent' uomini brevissimamente lo stabilisco. Degli incisi, oltre quel che n'insegnano Aristotele e Demetrio, e più partitamente di tutti, Ermogene in vari luoghi, cosi parla espressamente Cicerone: Nec ullum genus est dicendi, aut melius, aut fortius, binis aut ternis ferire verbis: nonnunquam singulis, paulo alias pluribus; della scatenatura Demetrio: Scire autem oportet, dissolutionem maxime omnium opificem esse gravitatis. E finalmente della dissonanza del numero il medesimo Demetrio, con l'esempio d' Omero: Est autem ubi Cacophonia gravitatem efficit. Ma questo è il più gagliardo argomento, ch'io possa avere, per riprovar la dicitura scatenata, dissonante e ricisa. Perchè volendo que' grandi autori, che quella qualità di favella si ponga in uso di tempo in tempo, secondo che l'opportunità lo richiede, come si fa parimente delle figure; ben si vede, che non intesero d'approvarne un'intera e continuata testura; perchè non è alcuno d'intendimento si corto, che voglia comporre un'orazione, un discorso, od una istoria, con un costante tenore d' allegoria, o con perpetua ironia, o con apostrofe non interrotta. Che se Marco Tullio disse: Incisim autem, et membratim tractata oratio in veris caussis plurimum valet, ben tosto soggiugne, cum aut arguas, aut refellas: il che vien confermato dalla dottrina di Demetrio, che consente gli incisi, quando altri ha da mostrarsi veemente e concitato ne' comandamenti e ne' simboli. E se Demetrio pose la scatenatura per artefice della gravità, dichiarò assai bene qual fosse il suo sentimento: Apta igitur fortasse magis contentionibus dissoluta locutio; eadem autem, et histrionica vocatur; excitat enim actionem dissolutio; onde a' commedianti la concede per esser più proporzionata alla minuta reci

tazione degli istrioni, ed aiutar l'espressione degli affetti che si procura col gesto. Ma delle scritture che non saltano in palco, o recitandosi non s' accompagnano con azione che senta del mimo, in questa guisa soggiugne: Locutio vero idonea scriptionibus est, quæ facile legi potest; hæc autem est, quæ connexa est, et tanquam munita coniunctionibus: dottrina in tutto a quella d'Aristotele somigliante, il quale dell'esempio di Filemone, comico od istrione, valendosi, quando introduce a parlare Radamanto e Palamede, mostra la scatenatura convenirsi al favellar della scena. E finalmente se la gravità con qualche dissonanza s' accresce, è da considerare, che in un ben regolato concerto, il toccar di tanto in tanto una falsa, maravigliosamente diletta, massimamente se l'armonia il senso delle parole accompagna. Ma chi volesse comporre un madrigale da capo a piede con false consonanze, torrebbe dal mondo tostamente la musica, e potrebbe andar cantando a suo piacere per le selve d'Arcadia. La somiglianza è tolta da Tullio: Quanto molliores sunt, et delicatiores in cantu flexiones, et falsæ vocu- . læ, quam certæ, et severœ; quibus tamen non modo austeri, sed si sæpius fiant, multitudo ipsa reclamat. Che però Demetrio dopo l'insegnamento d' adoprar talora la dissonanza, non ci lasciò senza la dovuta moderazione, si res de qua agitur eguerit. Onde parmi di potere, come per suggello, adoprar un detto nobilissimo di Quintiliano: Felicissimus sermo est, cui et rectus ordo, et apta iunctura, et cum his numerus opportune cadens contingit.

Conchiudasi dunque la presente materia, con dire, che della forma incisa, scatenata e dissonante altri valersi lodatamente potrà, prendendo per sua guida i maestri dell'arte, e'l buon giudicio, se tale è il suo. Io non son medico: ho però udito riprender talora un mal costume d'alcuni, che per conservarsi sani, vivono da malati, con regola troppo severa nel cibarsi, e con moltiplicar fuor di bisogno le medicine: onde se mai sono dalla febbre assaliti, come porta la caducità della nostra natura, non hanno argomento i medici per sollevargli; essendo che la dieta non può loro essere prescritta più rigorosa; e delle medicine tante n'han prese, che più lo stomaco non ne riceve. Chi s'è portato al mestiere tanto onorevole, quanto fa

ticoso, dello scrivere, non può in un invariabil modo di componimento durare. Gli farà di mestiere innalzar talora lo stile, come suol far l'istorico nelle concioni e nelle descrizioni, e nell' amplificazione l'oratore: altra volta sarà dicevole il riscaldarlo, nell' occasioni che portano veemenza, affetto ed acrimonia. Se nell' ordinario tessuto della sua tela egli adopra la scatenatura, la dissonanza e gli incisi, come potrà mai sollevarsi, quando la necessità ve l'astringa? non sarà noiosissimo agli occhi ed agli orecchi dell' erudito uditore, o leggente, veder condotto con uniformità di favellare, tanto il semplice e sedato racconto, quanto l' acerba e veemente invettiva? un ragionamento dimestico, ed una diceria d'un uomo grande? il discorso e l'affetto? le ragioni e le minacce? Non s'avveggono, che questo è un disarmar l'eloquenza, onde ne' cimenti maggiori non abbia con che ferire? un levarle la leggiadria, si che non possa con variar le figure rendersi appariscente? un privarla del suo decoro, tanto che per l'uguaglianza delle parole appaia disugualissima alle materie? Non è questo un confonder le più belle regole del ben dire? un vilipender l'autorità de' più eccellenti maestri? un dispregiar l'esempio degli artefici più sovrani? un non curar il giudicio degli uomini più saputi? Cosi credo; e se per disavventura m'inganno, so certo, che meco personaggi in lettere eminentissimi parimente s'ingannano. Tuttavia, per non parer temerario presso coloro, che diversamente sentissero, con le parole di Quintiliano fo punto: Cum iudicium meum ostendero, suum tamen legentibus relinquam.

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CAPITOLO ULTIMO.

DELL'USO DELLE SENTENZE, DEGLI EPIFONEMI
E DELLE COMPARAZIONI.

Difinizione
Si dividono le

Si

Cagione vera de' vizi dichiarati è l'abuso delle sentenze. della sentenza portata da Aristotele; si dichiara. sentenze in due parti principali, sottodivise in altre due men prinaltra parte cipali. Sentenza assoluta, ovvero accompagnata dalla ragione; si spiegano, e l'uso loro si dichiara; altra entimematica, Debbono le sentenze dell' entimema; ambedue si considerano. essere rare, e per che ragioni. — Voglionsi attribuire a personaggi capaci, e di rado proferirsi in propria persona dall' istorico. nota la temerità de' giovanetti, degl imperiti e d'altra sorte di gente, Debbono nascere ne' luoghi ove si con la dottrina d'Aristotele. Acutezze o sien concetti, pongono, e non raccorsi dal zibaldone. e loro errori abbondanza di sentenze, argomento di rusticità e di Accusa de' componimenti poco sapere, è propria de' giovanetti. dell'autore, e lor difesa. Esempio di Plinio e di Seneca i giovani, Forse Seneca il vecchio la non s'adatta alla maniera spezzata.. rassomiglia, ma con sua lode e come. - Uso de' giovanetti nell'udire Libro loro ricordato da Quintiliano. - Epii declamatori famosi. fonema non è specie di sentenza come ha creduto Teone.-Difinizione dell' Epifonema di Quintiliano ripresa dal Vossio, ma ingiustamente; avvertimenti ed esempi nell' uso dell' Epifonema. Comparazione vietata all' istorico dal Castelvetro e da altri, ma senza fondamento.

M'è caduto alcuna volta in pensiero d'esaminar onde sia, che persone si dotte, e d'intendimento si grande, si sien lasciate tanto agevolmente ingannare, nel mestiere dell' eloquenza; che coi vizi da noi nel capitolo precedente ripresi, del rompimento, della scatenatura, e della dissonanza l'abbiano contaminata. Tanto più ch' avendo la dottrina non meno che l'esempio de' grandi antichi, del tutto ripugnante a cotal sorte di favellare, non dovevano abbandonarsi nell'imitazione d'un moderno Franzese; il quale non sarebbe singolare in altro, che nell' errore, se non l'accompagnavano alcune poche penne molto ingegnose. Dopo lungo pensare, convengo dire, che un natural prurito comune a tutti, ma che però nelle menti ben guernite di lettere signoreggia, di far addosso al compagno il maestro ed il dotto, è stata la cagion vera dell' inaspettato disordine. Quinci veggiamo l'opere loro, benchè istoriali, oratorie e discorsive, tutte rivolte all' ammaestrare altrui; non però con

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