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dato loro per ordine del re, non fu solamente dal principe registrato nelle storie reali, come pur dianzi si vide, ma dice il sacro testo, sed et Mardochæus rei memoriam literis tradidit; benché gli annali regii fossero nella libreria in Babilonia consegnati, e le memorie di Mardocheo, negli archivi degli Ebrei rimaste, sieno quelle che oggidi leggiamo nella Scrittura; aiutate però in qualche parte della medesima Ester, per opinione del Serario, appoggiata alla lezione greca della Scrittura, ed all'autorità non solo del Lirano, del Cartusiano e del Fevardenzio, ma de' rabbini.

La medesima senza dubbio fu la diligenza di quei d'Egitto, poiché contenendosi ne' libri sacri ancora l'istoria, ne' quali le cerimonie parimente e i riti de' sagrifici e del culto divino si registravano, ben si vede in che luogo riserbar si dovevano.

Ma la Repubblica di Roma, siccome nel primo nascimento con gli Ebrei e con gli Egiziani s' accorda lasciando in mano ed alla cura de' sacerdoti gli annali, cosi negli ultimi secoli soggiogata dai Cesari e ridotta a forma di monarchia, all'usanza persiana s' attenne, che nelle librerie de' principi gli custodiva, come abbiam veduto di sopra. Perciò Giunio Tiberiano esortando Vopisco a scriver la vita d'Aureliano, gli promette, curabo autem, ut tibi ex Ulpia bibliotheca et libri lintei proferantur. E l'istesso Vopisco, rendendo conto della sua diligenza in compor le Vite de' Cesari, accenna i fonti da' quali aveva le notizie ritratte: usus autem sum, præcipue libris ex bibliotheca Ulpia, ætate mea Thermis Diocletianis, item ex domo Tiberiana.

Dalla sollecitudine delle più famose nazioni intender possono i principi, che 'l mondo tutto supplichevole aggrava la fede loro, acciò che studiosamente procurino, non solamente che da persone idonee e non da' ciurmadori sia composta l'istoría, ma che al pari de' loro tesori cautamente si conservino le memorie; non avendo chi dovrà scrivere capitale più certo, per arricchire di sodi ammaestramenti la posterità, che la sicurezza delle notizie, le quali come in sacrario doverebbono negli archivi delle repubbliche e dei principati serbarsi.

CAPITOLO TERZO.

DELLA DIVISIONE DELL'ISTORIA IN EFFEMERIDI, ANNALI,
CRONACHE, COMMENTARI, VITE.

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Effemeridi variamente dichiarate - Di Libitina, libro in cui si scrivevano i morti. Mercantili, vulgarmente il Giornale, altrimenti Calendario; e perchè così chiamato. — Astrologiche, Villerecce, Private, Pubbliche; erano l' istesso che i Commentari.. S'esaminano quei di Cesare.Atti, che cosa fossero. Annali, come si componessero.Loro corrispondenza con l' Effemeridi e con l' Istoria, ma tralasciando le cose men nobili. — Istoria ed Annali si confondono. - Cronache, e loro essenza. Vite. Avvertimenti per ben comporle.

Siccome vario ancora nella medesima nazione fu l'uso delle conservate memorie, benchè fosse uniforme l'intenzione di coloro che di tempo in tempo le conservarono; così diverse le maniere di rigistrarle si rinvennero, e si mantengono anche oggidi, adoprando per ventura ciascuno quel modo che più proporzionato riconosce a' suoi fini. Quindi nacquero l'effemeridi, o vogliam dire i diarii, gli annali, le cronache, i commentari e le vite, che tutte nomar istorie in qualche buon sentimento si possono, perchè tutte s'indirizzano ad eternar le memorie degli avvenimenti passati, per ammaestramento della posterità. E benchè lo sforzo nostro, nella testura di questo libro, tutto a quella sorta di componimento s' indirizzi che per eccellenza s'appella Istoria (onde non potrebbe il discreto leggente accagionarci di negligenza, se di quell' altra sorte di racconti dianzi nominati lasciassimo di ragionare); con tutto ciò, per sodisfare alla curiosità di chi ci ha persuasi una volta a trattare delle cose ancora men necessarie, di ciascuno di loro rapporteremo ciò che ne parrà più confacevole al caso, e cominceremo dalle effemeridi.

Se la propria significazione del nome, o latino o greco, universalmente s'attende, l' effemeride è una scrittura, in cui le cose in ciascun giorno accadute si notano. Perchè i Latini ancora diurnum, diarium, commentarium diurnum l'addimandavano. Onde a materie si può dir infinite s'estende, secondo che di questo o di quell'altro maneggio alla giornata si registra

MASCARDI.

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no gli accidenti. Alcune più principali ci è caduto in pensiero di sceglierne, che con la curiosità della notizia cesseranno il tedio della lunghezza. E perchè la vita e la morte nostra sono i fondamenti di tutte l'altre negoziazioni, poniamo per prima effemeride quella di Venere Libitina. Leggiamo nella cronaca d'Eusebio tradotta da San Girolamo, che sotto Vespasiano incrudeli dentro di Roma la pestilenza si fattamente, ut per multos dies in ephemeridem decem millia ferme mortuorum hominum referrentur. Questo luogo, che sembra forse oscuro ad alcuno, il quale, che cosa fosse cotale effemeride non indovina, riceverà gran luce da un testo somigliante di Svetonio, in cui parimente d'una breve, ma crudel peste, nell' imperio di Nerone, si tratta: accesserunt tantis ex principe malis probrisque, quædam et fortuita pestilentia unius autumni, qua triginta funerum millia in rationem Libitina venerunt, etc., ove si vede l' effemeride d'Eusebio altro non essere, che il libro in cui da' libitinari si notavano i nomi di coloro che alla giornata morivano. Per più chiara intelligenza di che, è da sapersi, come presso i Romani, Libitina, o fosse Proserpina o Venere (che ciò non rimane interamente deciso), presiedeva ugualmente al nascimento ed alla morte degli uomini; cosi n'insegna in più di un luogo Plutarco; ma con tutto ciò, nascendo gli uomini, per ordinazione di Servio Tullio, era il lor nome descritto nelle effemeridi di Giunone Lucina; adulti poscia, nel vestir la toga virile, andavano al tempio della gioventù a farsi notar nel diario di quel nume; onde nel morir solamente venivano registrati nel libro, o vogliam dire nell' effemeride di Libitina. Ora questa effemeride è giustamente da Svetonio, libro della ragione di Libitina appellato; perchè i libitinari, in tanto in essa i nomi di tutti i morti serbavano, in quanto ad ogni nome corrispondeva una determinata moneta, la quale si pagava per ordine del principe dagli eredi del morto. Sicchè cotale effemeride si i riduceva ad un mero libro di conti, ed era il giornale dell'entrata di quella ridicolosa deità. In questo sentimento parlò senza dubbio Orazio, quando nomò i venti australi, e l'intemperie dell' autunno guadagno di Libitina, nascendo dall' una cagione e dall' altra le infirmità, che multiplicano agevolmente le morti, e riempiono in conseguenza, col loro aiuto, l'effemeridi fune

rali; onde diceva Seneca: medicis gravis annus in quæstu est.

Nec mala me ambitio perdit, nec plumbeus Auster,
Autumnusque gravis, Libitinæ quæstus acerbæ.

Nel qual proposito curiosa è la quistione mossa da Seneca, in cui acutamente disamina, se giusto fosse il castigo dato ad un libitinario da Demade Ateniese, per aver desiderato di guadagnar assai; il che senza la morte di molta gente succedergli non poteva; e dopo vari argomenti conchiude, che ognuno desidera d'arricchire con le perdite del compagno: unius votum deprehensum est, omnium simile est. Onde se tutti castigar si dovessero, magnam hominum partem damnabis; perchè finalmente, o per un modo o per l'altro, omnes idem volunt, idem inter se optant. Ma torno in sentiero; e poichè l' effemeride di Libitina mostrato abbiamo esser un puro libro di conti, passiamo alla seconda sorte d'effemeride che nomeremo mercantile.

Detestando Plutarco gli inganni di coloro che danno ad usura, con molta ragione delle loro menzogne si duole; e fra tante arti di perfidia e di frode, annovera questa ancora, che nelle loro effemeridi scrivono a proprio credito molto più che veramente a' debitori non diero: multi enim in suis epnuepio solent plus scribere, quam dederint; nelle quali parole si vede, che il libro del debito e del credito effemeridi si nomava. Quindi Properzio, amaramente lagnandosi d' aver perdute le tabelle incerate (nelle quali secondo l'uso di que' tempi si scrivevano anche le lettere), piene tutte di concetti amorosi, pronostica a sé medesimo, che trovandole qualche avaro mercatante, sia per avvilirle, valendosene a tener i suoi conti:

Me miserum; his aliquis rationem scribit avarus,
Et ponit duras inter ephemeridas.

Infelicità, secondo il sentimento poetico si miserabile che Ovidio, a certe tabelle segnate d'argomento a' suoi amorosi desidèri dispiacevole e duro, augura mille sorti di mali, ma specialmente, che in un libro d'avaro e fallito mercatante si cangino.

Inter ephemeridas melius, tabulasque iacerent,
In quibus absumptas fleret avarus õpes.

Saranno dunque l' effemeridi mercantili quelle che fino al di d'oggi, con rattenersi anche nel linguaggio italiano la forza della voce latina e greca, s' addimanda giornale: ed è quel fogliaccio, in cui il debito e il credito si scrive, ed indi poscia nel libro della ragione si rapporta; il quale libro maestro suol dirsi, e da Cicerone si noma tabulæ, ovvero codex accepti et expensi, e prodotto in occasione di lite faceva qualche sorte di fede: dove all'incontro l'effemeride detta da' Latini adversaria, non s' accettava per prova. Produrrò intorno a ciò un luogo nobilissimo di Cicerone, che tutte le circostanze di quel c'ho detto, dichiara: nimium cito, ait, me indignari de tabulis: non habere se hoc nomen in codice accepti et expensi relatum confitetur; sed in adversariis patere contendit. Usque eo ne te diligis, et magnifice circumspicis, ut pecuniam non ex tuis tabulis, sed adversariis petas? etc. E poco dopo: quod si eandem vim, diligentiam, auctoritatemque habent adversaria, quam tabulæ: quid attinet codicem instituere? etc. Hanno in oltre alcuni dottissimi moderni creduto, ch' alla greca effemeride il latino calendario corrisponda del pari: del quale tanto favellano i giuresconsulti, e Seneca in più d'un luogo. Se sia ben fondato questo parere ne lascerò dar sentenza a coloro, il cui giudicio sarà del mio più autorevole e franco; proporrò solo, per modo di semplice dubbio, la significazione della voce calendario, come per avventura ripugnante al sentimento di quei valenti letterati. Due famosi affricani Tertulliano e San Cipriano, del calendario favellano in guisa, che per libro, in cui si scrivano le fortune o vogliam dire il capitale d'alcuno, lo riconoscono. Il primo cosi dell' eccessiva pompa delle donne ragiona brevissimis loculis patrimonium grande profertur; uno lino decies sestertium inseritur; saltus, et insulas tenera cervix fert; graciles aurium cutes Kalendarium expendunt, et sinistra per singulos digitos de saccis singulis ludit. Il secondo in argomento somigliante, con eloquenza degna veramente di Cipriano (checchè si dica Erasmo in contrario), dopo molte cose le seguenti soggiugne: quidinter fila staminum delicata rigida faciunt metalla? non ut fluentes humeros premant, et luxuriam feliciter se animi iactantis ostendant? quid cum cervices peregrinis lapidibus urgentur, et absconduntur? quorum pretia

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