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come sazievoli ne' precetti, nell' investigazione delle cagioni e nel giudicare, lodano all' incontro Cesare e Senofonte, come puri raccontatori; e nondimeno, se lo portasse il bisogno, troverei in Senofonte medesimo molti riscontri, se non nelle cose de' Greci, almeno nell' espedizione di Ciro, non meno atti a convincergli, di quello che sieno i luoghi ora accennati di Cesare; ma non è forse di mestiere alla dichiarazione del vero, e sarebbe senza dubbio noioso alla stanchezza de' leggitori. Una considerazione però non debbo tralasciare, per essere al buon istorico rilevante. Sogliono alcuni scrittori rappresentar talora gli interni sentimenti e pensieri degli operanti; il che, si come fatto con giudicio e con sobrietà, pesate le circostanze del luogo, delle persone e del tempo, riesce a maraviglia profittevole a chi legge, e glorioso a chi scrive; così, quando con intemperanza, ed a caso, senza bilanciar maturamente quel che convenga, s' adopra, può di leggieri tralignare in artificio poetico, lontano dalla gravità dell'istoria. Parco fu Cesare, quando descrivendo gli incomodi dal suo esercito assediato patiti, disse: sed tamen hæc singulari patientia milites ferebant. Recordabantur enim eadem se superiore anno in Hispania perpessos, labore ac patientia maximum bellum confecisse. Meminerant ad Alexiam magnam se inopiam perpessos, multo etiam maiorem ad Avaricum, maximarum se gentium victores discessisse. Più copiosamente Livio accompagna la partenza d'Annibale, dopo tante vittorie ottenute in Italia; ed era senza dubbio dicevole che non lasciasse uscir da questa provincia, dopo sedici anni, un personaggio si celebre, senza qualche particolar motivo che risvegliasse i lettori ad ammirar le vicende della fortuna. Raro quemquam hominem, patriam exilii causa relinquentem, tam mæstum abiisse ferunt, quam Annibalem hostium terra excedentem: respexisse sæpe Italiæ littora, et Deos hominesque accusantem, se quoque, ac suum ipsius caput execratum, quod non cruentum ab Cannensi victoria militem Romam duxisset. Scipionem ire Carthaginem ausum, qui Consul hostem Pœnum in Italia non vidisset; se centum millibus armatorum ad Trasymenum, aut Cannas cæsis, circa Casilinum, Cumasque, et Nolam consenuisse. Hæc accusans, querensque ex diutina possessione Italiæ est detractus. Ma bellissimo a mio parere è quel

luogo di Giustino, dove Alessandro, dopo l' uccisione di Clito, amico tanto familiare e soldato di tanto merito, dato in preda alla disperazione, risolve di morire. Eodem igitur furore in pœnitentiam, quo pridem in iram versus, mori voluit. Primum in fletus progressus, amplecti mortuum, vulnera tractare, et quasi audienti confiteri dementiam : arreptum telum in se vertit: peregissetque facinus, ni amici intervenissent. Mansit hæc voluntas moriendi etiam sequentibus diebus. Accesserat enim ad pœnitentiam nutricis suæ, et sororis Clyti recordatio, cuius absentis eum maxime pudebat, tam fœdam illi alimentorum suorum mercedem redditam, ut in cuius manibus pueritiam egerat, huic iuvenis et victor pro beneficiis funera remitteret. Reputabat deinde quantum in exercitu suo, quantum apud gentes devictas fabularum atque invidiæ, quantum apud cæteros amicos metum et odium sui fecerit ; quam amarum et triste reddiderit convivium suum: non armatus in acie quam in convivio sedens terribilior. Tunc Parmenion et Philotas, tunc Amynthas consobrinus, tunc noverca fratresque interfecti, tunc Attalus, Eurilochus, Pausanias, aliique Macedoniæ extincti Principes occurrebant. Ob hæc illi quatriduo perseverata inedia est, donec exercitus universi precibus exoratus est precantis, ne ita mortem unius doleat, ut universos perdat, quos in ultimam deductos barbariem inter infestas et irritatas gentes bello destituat. Nė dee lasciarsi senza considerazione un altro luogo di Quinto Curzio, pieno di giudizio e d'affetto; in cui dopo la morte d'Alessandro si descrivono i pensieri dell' esercito desolato e privo della sua guida: Vigor eius, et vultus educentis in prælium milites, obsidentis urbes, evadentis in muros, fortes viros pro concione donantis, occurrebant oculis. Tum Macedones divinos honores negasse ei pœnitebat, impiosque et ingratos fuisse se confitebantur, quod aures eius debita appellatione fraudassent; et cum diu nunc in veneratione, nunc in desiderio Regis hæsissent, in ipso versa miseratio est. Macedonia profecti ultra Euphratem, mediis hostibus novum imperium aspernantibus, destitutos se esse cernebant, sine certo Regis hærede, sine hærede regni, publicas vires ad se quemque tracturum. Bella deinde civilia, quæ secuta sunt mentibus augurabantur. Iterum non de regno Asiæ, sed de Rege ipsis sanguinem esse fundendum. Novis vulneribus veteres rum

pendas cicatrices. Senes debiles modo petita missione a iusto Rege, nunc morituros pro potentia forsitan satellitis alicuius ignobilis. Has cogitationes volventibus nox supervenit, terroremque auxit. Ma, come io dissi, tanto s'avvicina questo artificio a' confini della poesia, che s'altri non si trattiene, scapperà co' piedi in Parnaso, e ne diverrà ridicolo fra gl' istorici.

Ma se pericolo alcuno ha da cessare con la sua diligenza il componitor dell' istorie, questo è l'eccesso nella lode e nel biasimo, in cui può di leggieri cadere lusingato dal prurito di giudicare. E perchè questa è materia troppo importante, e molte cose comprende che agevolmente sviluppar non si possono in pochi versi, si rimette a capo separato il ragionarne a bell' agio, per divisar del modo che dee tenersi da chi disidera d'esercitar il mestiere, con sodisfazione de' lettori e sua propria.

TRATTATO QUARTO.

Preparata ne' Trattati antecedenti la materia proporzionata all' Istoria, e dalle mani della Verità in poter della Politica tramandata, acciocchè col doppio sigillo dell' una e dell'altra, fosse dallo scrittore riconosciuta per buona, è ormai tempo ch' egli di ben disporla s'ingegni; onde par necessario che della struttura istorica si ragioni. Ma perché molte dottrine a ben condurla son bisognevoli, che non portate con distinzione e con ordine, potrebbono agevolmente ritardar al leggente l' intelligenza degli insegnamenti che si daranno; faremo il pregio dell'opera, se in un brevissimo trattato, per modo di digressione stringendole, all' argomento da noi principalmente inteso della struttura, prepareremo, con tôrre i tralci di mezzo, strada più sicura ed agevole.

DIGRESSIONE INTORNO ALLO STILE.

Quell' accidente medesimo che negli studi più fioriti della mia gioventù, per lascivia d'ingegno, m' avvenne, mi si rinnuova oggi in età più matura, per necessità di sapere. Udiva nelle raunanze accademiche e ne' privati congressi de' giovani studianti, dirsi gran cose di quell' amor di Platone, che dalle bellezze visibili rapisce gli animi all' amore delle invisibili. Niuna sorte d'argomento correva allora più familiare per le bocche di tutti, niuna dava a' verseggiatori materia più favorevole, niuna suggeriva a' dicitori più benigno soggetto. Ond' io per non trovarmi sempre in guisa di pellegrino, fra tanti cittadini della Repubblica di Platone, mi diedi con grande ardore a misurar con

l'occhio e molto più col pensiero, le riverite memorie di quel valente filosofo; dentro le quali quello ch' io mi trovassi, non è bello in questa occasione il ridire. So ben certo che la dottrina platonica non aveva col favellar de' miei amici legittima consonanza; interrogai dunque fra di loro quei che meglio guerniti mi parevano di dottrina: a' quali (quando finalmente ristretti da' miei quisiti, dopo molto ondeggiamento, s'ingegnavano di rispondermi) non venne mai fatto di assegnarmi la vera diffinizione dell' amore che platonico addimandavano, secondo i veri principii del lor maestro. L'istesso avvenimento in materia dello stile m'incontra. Qual voce è oggi fra' letterati e fra gli indotti più dimestica di questa? Chi non ardisce, o sappia o non sappia, di giudicar degli stili? A qual uomo, benchè di mezzano intendimento, non s' odono uscir di bocca le sentenze diffinitive, che dannano gli autori più grandi, e che molto hanno faticato per meritar qualche lode? Costui non ha stile; questo è uno stile troppo aspro; quest' altro è stil malagevole ; quello è confuso, è duro quell' altro. Vinto io dalla libertà degli umani giudicii che quanto ha men di sapere, tanto s' arroga più di licenza, ho pianta l'infelice condizione de' valorosi letterati; poichè non osa più la penna, benchè famosa, di spiegar il suo volo per gli incogniti campi della posterità, veggendo il cielo del secolo presente tanto oscurato dai nembi dell'ignoranza e dell'invidia, che tuona sopra gli storici, balena in faccia degli oratori, e fulmina anche gli allori su le fronti già venerabili de' poeti. Mi diedi dunque con sollecitudine di molte notti vegliate, a rintracciar nell' opere degli autori greci latini, se potessi veramente stabilir nella mente con qualche chiarezza che cosa sia stile; in che sia riposto, di quali parti si componga, o più tosto dall' accoppiamento di quali parti risulti. E perche nelle memorie lasciateci dagli antichi non trovai cosa d'intera sodisfazion mia, ebbi ricorso ad uomini de' più dotti che fioriscano in Roma; alcuni de' quali con ingenuità degna di letterato che non trascuri per la cultura dell' ingegno il costume, confessarono d'udir i miei motivi come del tutto nuovi e non preveduti, per aver essi fin ora camminato sotto buona fede con la corrente; altri riputando l'interrogazione non punto malagevole e perplessa, m'apportarono prontamente la diffinizione

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