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da quei malefici il successore, s'incamminò la causa con ogni rigore, e ne perirono molti, precipitati piuttosto dalle fraudi degli avversari, che puniti dall'equità delle leggi. Ostentavano i giudici il debito della giustizia, ma non avevano riguardo ad altro, che all' irritata passione di Valente, che disiderava vendetta. Regaliter turgidus, pari eodemque iure, nihil inter se distantibus merilis, nocentes innocentesque maligna infectatione volucriter perurgebat, ut dum adhuc dubitaretur de crimine, Imperatore non dubitante de pœna, damnatos se quidam prius discerent, quam suspectos, con ciò che segue diffusamente. Chi legge attentamente Ammiano in quel luogo, ha una selva foltissima di precetti. Al principe di pesar con giudicio le relazioni che, sotto pretesto di zelo, gli vengono date da' cortigiani, acciocchè l'altrui sagace malignità, non abusi la candidezza della sua mente, e lo spinga ad usar l'armi del principato, in adempimento delle voglie mal regolate de' calunniatori. A'ministri di .dar tempo alla crescente passione del principe, acciocchè, sedato quel primo impeto che lo rapisce a risoluzioni precipitose, discerna tranquillamente il dovere d'opporsi all' arti de' cortigiani, che talora, sotto nome di sommaria giustizia, vorrebbono levar le difese all' innocenza; e spingendo con l'apparenza della pietà il principe a decretar una pena ch'essi dipingono per piacevole, opprimono i loro nemici; con ricordarsi nullam esse crudeliorem sententiam ea, quæ est, cum parcere videtur, asperior. E cento altri migliori che ad ognuno può suggerire il proprio giudicio; ed io passo alla fine.

Mori un nipote a Tiberio ch'era figliuolo di Druso, e tutto che gli uomini privati, non che i principi, nelle perdite de' loro congiunti, dalle pubbliche faccende per qualche giorno s'astengano (per lasciare alla natura il suo diritto di lamentarsi e di piagnere, o per mostrare almeno il sentimento che richiede un danno si grande), ad ogni modo Tiberio nihil consuetum agere prætermisit, dice Dione, principi curam Reipublicæ propter privatum infortunium relinquendam non putans. Come poteva meglio Dione lasciar un efficace insegnamento a' principi, di quello che suggerisce l'esempio di Tiberio, accompagnato dalle prudenti parole dello scrittore? Ma questo è forse si manifesto, che può cadere nella seconda specie d'insegnamento obliquo,

che dicemmo riferirsi in persona d'altrui, senza ch' apparisca l'istorico; i quali, perchè principalmente nelle diceríe si rappresentano in abbondanza, si lascia il considerargli, dove si prescrive il modo di formar regolatamente le diceríe.

Conchiudo con Paolo Emilio, uno de' chiari lumi della nobilissima città di Verona, frustra conscriptio esset et memoria rerum, nisi eam sequerentur regnandi præcepta; suæque cuique, Reipublicæ Regiæve exempla frugifera.

CAPITOLO QUARTO.

DELLE DIGRESSIONI SPECIALMENTE POLITICHE,

E CHE LUOGO ABBIANO NELL' ISTORIA.

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Significazioni del nome Episodio, tanto fra' Greci, quanto fra' Latini; largamente si prende per ogni cosa fuor del proposito principale: come i buffoni ne conviti, le musiche nelle conversazioni, le comedie nelle nozze. Episodio poetico, e sua natura: s' esamina; come s'introduca nella favola, ed a che fine. — - Episodio oratorio, e sua diffinizione ed origine. - Episodio, o sia digressione istorica, non si permette da qualch'uno, e perchè; Bastian Macci ripreso; ornamento che non si disdice all' Istoria. — Si dividono le digressioni. - Si nota l'Argentone; di nuovo si riprende la petulanza del Macci; si passa alle digressioni tollerabili, e poi alle viziose. Si confutano le ragioni di chi non l' ammette.- Regole delle digressioni: rade in numero, congiunte con la materia, non intrecciate l' una con l'altra ec.

Non trovo in tutta la materia dell'arte, quistione più ostinatamente agitata, e fino al di d'oggi lasciata in forse, di quella in cui si richiede, se le digressioni in un' istoria ben regolata abbian luogo. Perchè non contenti coloro che le sbandiscono affatto, di recar le ragioni (se n'hanno alcuna), passano alle invettive; e, con biasimevole animosità, il fiore degli antichi scrittori riprendono. E se bene alla questione par ch'abbian dato occasione le materie politiche, tanto frequentemente esaminate dagli scrittori d'istorie; onde principalmente al presente trattato appartiene l'esamina di questa materia; tuttavia perché non franca la spesa che di nuovo si replichi altrove, con tedio di chi legge, diviseremo dell'argomento assai largamente

e fin da'primi principj, non ristringendoci alle sole digressioni politiche o morali.

La digressione, così nomata in Italia da' più eleganti e prosatori e poeti, negli idiomi forastieri sortisce diversi nomi, che tutti vogliono richiamarsi ad esamina, per non lasciar pur un'ombra di dubbio, che rendesse men chiara la dottrina di questo capitolo. Egressus o egressio fu da' latini appellata, come si vede in Quintiliano, ed anche excessus, per sentimento di Servio. I Greci l'hanno differentemente nomata. Aristotele in molti luoghi, ma specialmente nella poetica, la chiama έπεɩσóδιον; da Ermogene e dagli altri retori è detta ἔκβασις ο veramente raρéxẞaois. Tutte queste voci però hanno il significato medesimo: imperciocchè l'egressus o egressio de' latini, è tutt'una cosa che l'exßaois; e la maρéxßzois de' Greci, derivandosi la prima dal verbo exßárva, che significa egredior, e la seconda da rapézßávo, che s'esprime con la voce latina digredior; tanto che rapportati questi nomi nella nostra lingua vulgare, ottimamente, uscita o svagamento s' appellano, o, per favellar secondo l'uso più ricevuto, digressione. La voce poi adoperata da Aristotele Telσódiov, si deriva dal nome dos che significa propriamente via o viaggio; tuttochè il modo e l'ordine, secondo i Latini ratio, come vitæ ratio, doctrinæ ratio, possa parimente con questa voce significarsi; tanto che sódiov sarà un deviamento, un uscir della strada, un traviare. Ma per quanto ho potuto fin ora osservare veggo che l'exßaois e la wapinßaois non s'adoprano mai dagli autori per nomi della digressione poetica; ed all' incontro Tò èmeσódiov mai allo svagamento oratorio od istorico non si rapporta, se non se forse alcuna volta dall' Alicarnasseo. È però vero che col suo significato più ampiamente s'estende d'ogni altra voce, da noi fin ora considerata; perchè, come insegna Suida, xxτaxpixōs tuttociò che s'apporta fuori del proposito principale può chiamarsi episodio, il che pur consente Polluce nell' onomastico che 1o diffinisce πράγμα πράγματι σιναπτομειον, una cosa avventizia ed inserita nell' altra; onde disse il Budeo ponitur códiov pro omni adventitio acroamate iucundoque. Si che i buffoni ne' confini, le musiche nelle conversazioni, le commedie nelle nozze potran nomarsi episodio; e così le noma Plutarco.

Dichiarati, per quanto richiede questo luogo, i vocaboli, diciamo brevemente alcuna cosa che ci conduca per via piana e sicura alla certa cognizione della digressione, conveniente all'istoria.

L'episodio, che dicemmo esser proprio della favola poetica, sono quelle azioni che s'introducono dal poeta fuori della primaria, da lui principalmente intesa, nella testura del suo poema; ma però in modo alla primaria soltordinate e congiunte, che unitamente considerate, formano un corpo non mostruoso, ma di parti proporzionate e corrispondenti. E benchè paia che non sempre Aristotele prenda l'episodio in questo significato, chi nondimeno esattamente considera il sentimento del gran maestro, vedrà ch' egli da sè medesimo non è punto discorde, se non se forse nel suono delle parole. Quattro sono i significati in che vien dal filosofo l'episodio compreso: in uno significa la seconda parte di quantità della tragedia; la quale vien dopo il prologo, ma prima dell'esodo, ed è framescolato col coro; si che ridotta la divisione della favola drammatica all'uso de' Latini, vorrà dire, l'episodio della tragedia essere il secondo, il terzo e'l quarto atto. Altre volte prende Aristotele per episodio tutti i successi antecedenti, o che debbono seguir dopo la principal azione, che il poeta elegge per narrativa del suo poema; e si rapportano per via di racconto di persona introdotta, o nell'azione si frappongono per altra via, a fine di riempiere ed allungare il poema. Prendesi ancora l'episodio, senza riguardo del tempo, per quelle azioni accadute in luogo lontano, che sono parti della favola intera, ma per lontananza del luogo, dove si rappresenta l'azione, non possono risapersi, se non per ministerio de' nunzi o d'altra persona. Intende altra volta Aristotele per episodio quegli accrescimenti, che dal poeta l'azion principale riceve, per mostrar la particolarità del fatto, con cui quella universalità, che rendeva a tutti comune la favola, si ristrigne. Aggiugne il Piccolomini l'ultimo significato dell'episodio, che sono quegli augumenti alieni e disgiunti, né l'uno dall'altro, e molto meno dall'azione principale dipendono; onde costituiscono una sorte di favola viziosa, per Aristotele, sotto nome di favola episodica, espressamente dannata. Ma quest'ultima aggiunta del Piccolomini è per ventura soverchia;

che

poiché non dà nuovo significato all'episodio, ma solamente qualifica, per così dire, il già dato. Tutte le significazioni accennate, in questo unitamente convengono, che l'episodio sia un deviamento dall'azione principalmente intesa e propostasi dallo scrittore; in questo all'incontro discordano, che una riguarda le cose nella favola innestate, come lontane di tempo; un'altra come rimote di luogo; un' altra come ordinata a ristrigner a termini particolari l'universalità della favola, e l'altra come parte della tragedia. Ne vi sia per ventura qualcuno che dentro di sè stesso tacitamente conchiuda, il secondo, terzo e quarto atto della tragedia esser parimente episodi; poichè tale non è il sentimento del maestro della poetica. Dice dunque Aristotele, ἐπεισόδιον δὲ μέρος τραγῳδίας τὸ μεταξὺ ὅλων xopixāv pehāv: « L'episodio è una parte intera della tragedia, <«< frapposta agli interi canti del coro. » Quattro volte cantano i cori nella tragedia; alla fine del prologo la prima, e con l'intero canto del coro, favellando all' usanza latina, termina l'atto primo; segue poi l'atto secondo, che vien finito dal secondo intero canto del coro; succede l'atto terzo che termina nel terzo coro; ivi comincia l'atto quarto, che pur finisce nella quarta cantata; e finalmente la favola interamente si compie, senz'altro canto, con l'esodo: sicchè il prologo e l'esodo sono, presso Aristotele, quel che i Latini nomano primo e quinto atto; le parti intere che si frappongono fra due intere cantate del coro, ed episodio s'appellano, rappresentano il secondo, terzo e quarto atto presso i Latini; ed episodi si chiamano, non perché sien totalmente tali, ma perché in queste sole parti han luogo gli episodi dichiarati pur dianzi, i quali nel prologo e nell'esodo non si ricevono.

E tanto basti, per questo trattato, della digressione che si noma episodio, la quale fu introdotta dall'arte, acciocchè aggrandita la favola con varietà d'accidenti, riuscisse il poema più dilettoso.

La digressione or ora detta da Quintiliano egressus et egressio, da' Greci talora éxßaris, e talora apexßaots, si diffinisce, alienæ rei, sed ad utilitatem causæ pertinentis, extra ordinem excurrens, tractatio. Questa, benchè primamente originata dall'ostentazione degli antichi declamatori, approvata nondimeno

MASCARDI.

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