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come sempre la teorica con la pratica de' suoi precetti, non lascia di palesare l'imprudenza di Licorta suo padre, nello stabilimento della lega fra la repubblica degli Achei e Tolomeo Epifane re d'Egitto, e di lui parla come d'uomo straniero, non come di padre. E benchè in molti luoghi della sua storia egli si mostri parzialissimo d'Arato, principe della repubblica degli Achei, e lo commendi come uomo intero, industrioso, di buon consiglio, e tanto benemerito della repubblica, che dopo morte fu da lei onorato con quelle dimostrazioni d'ossequio maggiore, che eran dovute agli eroi, non lascia con tutto ciò di riprenderlo come tardo nelle risoluzioni, codardo nell'imprese, timido nelle zuffe, ed in mill'altre cose difettoso e mancante. Ottone vescovo frisingense figliuolo di Leopoldo o sia Lupoldo marchese dell'Austria, e nipote d'Arrigo IV imperatore, scrisse, fra l'altre cose, due libri de'fatti di Federigo Barbarossa, ne' quali parlò si francamente, secondo le leggi della verità, che a giudicio d'Enea Silvio, che poi fu Pio II sommo pontefice, non parve zio di Federigo, come era. Licet fratris nepotisque gesta memoriæ traderet, qui romanorum pontificum hostes fuerunt; ita tamen historiæ leges servavit, ut neque cognatio veritati, neque cognationi officeret veritas. E come l'esser parco ne' biasimi degli attinenti e degli amici, purchè del tutto i loro errori non si nascondano, meriti qualche pietà; così all'incontro il lodar men del dovere i nemici, non passa senza macchia dell'ingenuità e della fede dello scrittore. Anzi fra le persone ben nate e di generosi costumi, è ricevuto per legge, che del nemico sempre onoratamente si parli. Loda però Marco Tullio scrivendo a Cecinna, singolarmente Cesare, e dice, admirari se solere gravitatem et iustitiam et sapientiam Cæsaris, qui nunquam nisi honorificentissime Pompeium appellat. E Seneca osserva che quantunque Asinio Pollione fosse mortal nemico della gloria di Cicerone, con tutto ciò vestendo la persona d'istorico, gli tesse un elogio con tanta eloquenza, che in tutti i libri suoi non v'è luogo più elegantemente maneggiato di quello; onde non parve che volesse lodar Cicerone, ma gareggiar con lui di facondia. Bellissimo è l'accidente d'Annibale e di Scipione. Questi due fulmini di guerra, per ragion della patria nemici, emuli per disiderio di gloria, l'uno de'quali non poteva trionfare se non

con l'esterminio dell'altro, irritati ambidue dalla memoria delle offese passate, sospesi dal dubbio della vittoria pendente, bramosi d'acquistare alle lor patrie l'imperio o di Cartagine o di Roma, dietro del quale veniva poi la signoria dell'universo; in somma l'uno contro l'altro acceso per cagione dell'odio privato e del pubblico, vengono a parlamento. Nel rimirarsi l'un l'altro, riverisce ognuno la virtù del nemico, e dando luogo allo stupore il discorso, si fermano senza parlare, negoziano poscia per la pace, ma indarno; combattono per l'imperio, vince Scipione constat utriusque confessione, nec melius instrui aciem, nec acrius potuisse pugnari: hoc Scipio de Annibalis, Annibal de Scipionis exercitu prædicarunt, dice Floro nella sua storia. Nobilissima gara degna di quegli incliti capitani, che stimavano il valor del nemico, perchè lo conoscevano in lor medesimi. E perchè altri modi vi sono, oltre l'aperto biasimo, ne' quali sogliono gli storici di mala intenzione palesar l'astio loro, saranno altrove considerati, e qui perciò si tralasciano, per non render sazievole ed importuna la presente scrittura.

Per conchiusione di questo trattato intenda l'istorico, che la coscienza e la riputazion sua vanno indivisamente accompagnate con la verità, e che non dee, mentre procura altrui l'immortalità co' suoi scritti, procacciar a sè medesimo l'infamia. Riguardi con necessaria provvidenza la posterità, il giudicio della quale, come lontano dalla passione, sarà incorrotto e sincero; e vegga se gli mette bene al prezzo degli onori e degli utili, forse indarno pretesi da personaggi viventi, comperar l'odio de' posteri ed un'eterna macchia al suo nome. Consideri che all'opere dell'intelletto, parte cosi principale dell'anima, troppo vile è la mercede dell'argento e dell'oro, che può essergli somministrato da chi vorrebbe farlo mentire; e con generosità degna d'un animo ben disciplinato e composto, non chiegga fuor di sè stesso il guiderdone delle sue letterate fatiche. Anzi rinvolto nella sua propria virtù, e ricco di quell'onoratissimo patrimonio, che si distende oltre l'imperio della fortuna, e non soggiace alle voglie stemperate de' principi, accetti gli onori e i comodi se gli vengono offerti, non gli richiegga negati; ma con un tenore invariabile di mente salda e costante, rimiri tutte queste bassezze umane come inferiori alla gran14

MASCARDI.

dezza de' suoi pensieri, e tanto nel goderne, s'abbondano, quanto in dispregiarle, se mancano, viva ugualmente magnanimo, in questo solo riconoscendosi per uomo che non sa disdire alle sue voglie la gloria, vero ed unico nodrimento degli animi generosi.

TRATTATO TERZO.

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DELLA POLITICA ISTORICA.

Chi disse l'Istoria essere il vero libro de' principi, parlò da prudente e s'appose; perchè nè più agevolmente, nè con istudio più proprio, s' addottrinano i principi che nell' Istoria. Le continue sollecitudini del principato, non lasciano luogo alle speculazioni morali o politiche; sottentra con la dottrina dell'esempio l'Istoria, ed in breve ora guernisce l'animo del regnante de' suoi più veri ornamenti. Niuno dunque corra a riprenderci, se la Politica nel corpo dell' Istoria argomentiamo di riconoscere nel seguente Trattato.

CAPITOLO PRIMO.

SE DELL'UOMO POLITICO SIA PROPRIA CURA LO SCRIVER L'ISTORIA,

E COME.

Guerra, origine d'ogni cosa, ma specialmente porta gran dovizia d'istorici. Querela contro le penne imprudenti. Pazzia erudita degli Abderiti, ch' andavano recitando le tragedie per le strade.

liscono.

-

quali si scuopre.

Uomo

di stato, per opinion d' alcuno, proprio artefice dell'Istoria. -Ragioni di Sidonio che la confermano. Esempio di scrittori che la stabiSi confuta con la riprova delle ragioni, l'equivoco delle Esempio d'Annibale e di Filippo II, con una ricorsa sopra le azioni principali d'entrambi. Cesare convinto di falso ne' Commentari. Si nota la petulanza dello Scaligero il Vecchio. Di se stesso possono scrivere i Santi e non altri. - Dagli uomini di stato s'aspettano l'Effemeridi, non l'Istorie. — Qualità necessarie ad un buon componitore d' Istorie.

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Strani ed impensati avvenimenti partorisce la guerra, i quali, e per la novità maravigliosi, e per la frequenza innumerabili, e per l'atrocità compassionevoli, diero occasione all'antico proverbio de' Greci, bellum omnium pater. Ma niun parto più mostruoso da lei si propaga, che l'infinita figliuolanza degli

istorici, che in un solo portato esce alla luce del mondo. La mossa d'armi fatta ne' tempi di Luciano contro de' barbari, ed una sola sanguinosa giornata nell' Armenia, fe' subitamente pullular mille Tucididi, mille Senofonti e mille Erodoti. Oggi che il re di Svezia vittorioso delle discordie de' principi tedeschi, scorre depredando la Germania, e valendosi dell'imprudenza di chi ha seminata la peste nelle viscere de' propri stati, con progressi maggiori della loro opinione, nelle ruine altrui fabbrica i suoi trionfi; un intero popolo di scrittori si vede surto, che riempie il mondo di fogli, e sollecita alla fatica gli stampatori. Prodigiosa fecondità, e non inferiore a quella tanto celebrata di Cadmo. Cosi pare che insieme con le spade si forbiscan gli ingegni, che col sudore de' combattenti s'irrighino le menti degli istorici, che fra gli strepiti militari si risvegli l'animo de' letterati, e che col sangue de' guerrieri si purifichi l'inchiostro degli scrittori. Infelice condizione di cosi nobile insieme e malagevole mestiere. Non s'è veduto finora che l'arti più meccaniche e vili sieno esercitate da chi non l'intende; nè il calzolaio maneggia i ferri dello scultore, nè prende a cucire un vestito chi non è sarto. Ma lo scriver l'istorie è oggi riputata faccenda dozzinale e comune all'ignorante non meno ch'al dotto, a chi per lunga esperienza ne'maneggi di corte è capace degli affari de'grandi, ed a coloro parimente che nodriti negli agi della patria e della casa paterna, non han saputo mai di che volto sieno i negozi de'principi. Scrive l'istorie colui che non ha per avventura mai letto altro istorico che Palmerino d'Oliva e Florestano, che non ha studio d'eloquenza ed esercizio di stile, che non ha contratto abito alcuno di prudenza civile, che non sa che cosa sia elocuzione, che non conosce l'ordine nelle scritture, che non intende la corrispondenza delle parti in tutto il corpo dell'istoria, in somma, che per prurito d'ingegno, e forse anche per abbondanza d'ozio, abbraccia, a cagione di diporto, quel che non si fa bene senza lunghissimo studio da un maturo e perfetto giudicio.

Scribimus indocti, doctique poemata passim,

diceva Orazio, dolendosi di que'cervelli sfaccendati, che, volendo entrare in dozzina con gli Omeri e coi Virgili, sbadiglian

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