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mite dell' imperio, un quartiere d'inverno (1), e vi stanziavano due legioni (2). Della sua prisca grandezza non solamente Plinio (3), e Patercolo (4) e Tolomeo (5), ma fan piena fede anche gli avanzi di un arco maestoso veduto da lei, e i molti ruderi, ch' ella mi dice ovunque si trovino, e più che tutto le lapidi ch' ivi ha copiate, dalle quali due ne scelgo parutemi più notabili. Ambedue si possedevano dal signor conte di Traun d' Abensberg, ch' ella mi accerta le abbia anche fatte con parecchie altre intagliare in rame. La prima dell' anno 211 (6), che lo Sponio disse in ruinis Carnunti prope

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pera inedita sulle figuline, cl. III n. 986, che è nella libreria Va

ticana.

(3) Hist. Nat., l. 2, c. I. (4) Hist., l. 2, n. 109. (5) Geogr., 1. 2, c. 15. (6) Quinto Edio Rufo Lolliano Gentiano e Pomponio Basso essere i Consoli dell' anno presente, non del 210, come scrisse lo Sponio (Misc., E. A, p. m. 815 ), è positivamente affermato dai fastografi latini e greci (RELAND., fast, p. 118), e dalle lapidi (GRUT., 24,7; 404, 6; REINES., cl. VII, n. 16;AVENTIN., Ann. Bojor., p. 56) fra le quali vuolsi notare la Gru

Viennam Austriae recens effossa (1), e che si

legge eziandio nel Donati (2), dice così:

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Il muro da Cajo Antonio rifatto non è il recinto della città, ma una parete all'ingresso del tempio delle Dee Silvane e Quadrivie, il quale aveva unito anche un portico e un cenatorio, detto accubito perchè in esso ad mensaт асситbitur (3). È un' erudizione volgare che

teriana 417, 5, che ci dà i veri nomi del console Gentiano, confermati da un insigne frammento di successioni sacerdotali presso il Mail Marini (Fr. Arv., p. 166).

(1) Misc., E. A., sec. 3, n. 26. (2) Suppl. ad Thes. Insc., p. 177, n. 5. Al CANNEGIETER piacque di leggere QVADRIBurgensi ISidi (De Britt. Matr. Britt., p. 30) con poca felicità. Gli Dei Viali, e

appo

i

le Dee Bivie, Trivie e Quadri-
vie sono in GRUTERO (p. 84, 5,
1015, 1), e le Dee Selve (SV-
LEVAE
LEVAE) o Silvane nel BIAGI,
che le ha da suo pari, or fanno
54 anni, illustrate. (ODER., Diss.,
p. 305.

(3) SCHIASSI, Guida al Museo di Bologna, p. 22; v. il Ducange; v. Accubitus.

templi gentili vi fossero le culine (1) e le camere, nelle quali si preparavano le sacre cene e gli epuli sacerdotali, ricordati di spesso nelle iscrizioni; dove il portico (2), la triclia (3), lo stibadio (4) e il compito (5) son voci e frasi che danno alla nostra molta chiarezza e conferma.

L'altra non meno pregevole, che ora è nel Museo imperiale di Vienna, e che io non ho veduta mai pubblicata, dice:

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Per essa Ella vede, che abbiam notizia delle

(1) BIAGI, Mon. Gr. et Lat.; Mus. Nan., p. 190.

gula ex vitibus (ad Virgil., t. IV, p. 205, Copa): ma questo non è il

(2) CHANDLER, Marm. Oxon., solo significato di triclia. V. il

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peregrine superstizioni introdotte in Roma circa il tempo della guerra Piratica (1), e propagate nella posteriore età (2), segnatamente in quella di Diocleziano e di Massimiano, sino agli estremi confini del romano imperio. Il Sacrario, Vocabolo proprio dei tenebrosi aditi ove si celebravano i misteri di Cerere (3), gl' inizii di Bacco (4) e le Isiache consecrazioni, nel presente marmo significa la cella, ossia lo speléo, che ho altrove provato non essere nè una spelonca, nè un antro, ad arte fatto o nativo, ma una cappelletta, un' edicola, un tempio al tutto proprio del culto di Mitra (5).

Un'altra epigrafe d'incerta fede ha indotto il Lazio a credere che fosse Carnunto colonia romana (6). Ciò può essere per rispetto ai tempi più antichi: ma per quelli, cui riferisco l'Ara ch' esaminiamo si dee chiamar municipio, sì perchè riman sempre dubbia la condizione delle città che nei libri e nei marmi sono qualificate in un modo e nell' altro, sì perchè municipio si dice

(1) PLUTARC., in Vita Pompei. (2) STAT., Theb., l. 1, v. 120. V. ZOEGA, Bassiril. Antichi, t. 2, p. 59; VISCONTI, M. P. C., t. 3;

tav. 21.

(3) MAFFEI, M. V., p. 254, 1. (4) Nov. Lett. di Fir., t. III,

p. 250.

(5) Bibliot. Ital., t. III, p. 53. (6) De R. R., 1. XII, sect. 3, c. 1

due volte nella iscrizione. Il qual grado civile ottenne probabilmente da Vespasiano o da Tito allorchè il concedettero anche a Scarbanzia; per la quale se ce ne fa sicurezza il titolo che ostenta nei marmi (1):

MVNICIPIVM

FLAVIV M

AV Gustum

SCARBAN Tia

per Carnunto si può dedurre dai nomi di Probo presi dall' avolo suo, o quando egli ottenne dai Flavii la romana cittadinanza, o quando questi a Carnunto impartirono l' anzidetta condizione, di non poca importanza in que' tempi per le città.

Imperciocchè senza qui discutere la specifica differenza dei municipj e delle colonie, diremo in genere che il secreto della romana politica, cautamente guardato dalla repubblica e dall' imperio sino all' ultimo suo respiro, fu quello di

(1) SCHOENVIS., AA. Sab., 1. I, c. 6, P. 51. Nel Plinio dell' Arduino (H. N., l. 3, c. 24, n. 27) si legge Scarabantia; ma Scarban

tia era già nella prima edizione del 1469, e ŚCARBantiae si legge in lapide scoperta dallo stesso Schoenvisner l'anno 1780 in Horkau.

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