50 55 Quo clamor vocat et turba faventium, Gemmas et lapides aurum et inutile, Mittamus, scelerum si bene paenitet. Pravi sunt elementa et tenerae nimis Formandae studiis. Nescit equo rudis Venarique timet, ludere doctior Seu Graeco iubeas trocho, a Giove Capitolino. Sottintendi feramus che è di senso quasi eguale al Mittamus del v. 50. nos. S'intende « noi, Romani, il cui impero è minato dal lusso e dalla corruzione >>. 46. vocat: presente, perchè il poeta ha ancora negli orecchi gli applausi che scortarono al tempio il trionfo del 725. faventium: naturalmente anche, anzi sopratutto, linguis; non però in quel rituale significato di « tacere » che vedemmo in Carm. III, 1, 2, ma in quello primo di « pronunziare verba bene ominata» giacchè la lunga teoria dei donatori si avvia al tempio tra il clamore della folla. 48. Gemmas: « perle ». Cf. Properzio, I, 14, 12: lapides: « pietre preziose >>. 49. Summi ... mali: cioè dell'avimateriem propriamente « il materiale da costruzione ». La stessa immagine hai in Sallustio (De con. Cat. 10): igitur primo pecuniae, deinde imperi cupido crevit: ea quasi materies omnium malorum fuere. 50. Mittamus: « gettiamo >. bene: « di cuore ». -- legitur rubris gemma sub aequoribus. inutile: litote per « letale ». dità del guadagno. 51. Eradenda. Eradere è il verbo proprio del purgare la terra dal loglio che si fa col rastrum. Noi potremmo tradurre « estirpare ». cupidinis: « del desiderio » con speciale riguardo all' avarizia. 52. Pravi: poichè cupido è mascolino, come in Carm. II, 16, 15. elementa: << principii » detto metaforicamente delle perle, delle pietre preziose, dell'oro. tenerae nimis: « ahi troppo tenere! » giacchè tenere si dovrebbero essere le menti dei giovani ai quali qui pensa il poeta, ma troppo tenere e prone per conseguenza alla auri sacra fames le rende l'ambiziosa smania del lusso. 53-54. asperioribus ... studiis: «< con una più severa disciplina ». 54. rudis: « inesperto a cavalcare. Molto aveva tralignato come vedemmo in Carm. 111, 2, 4 la cavalleria 55. Haerere: esagerazione poetica che immedesima quasi l'uomo e il cavallo. Non saprei se l'equo del verso antecedente in dipendenza da Haerere si abbia a considerare piuttosto per un dat. (cf. Sat. I, 10, 49: Haerentem capiti multa cum laude coronam) o per un ablat. (cf. Vergilio, Aen. X, 361: haeret pede pes densusque viro vir). 56. doctior: « troppo valente» con ironia. 57. trocho: il τρoxós ossia cerchio dei Greci (Graeco... trocho dice non senza sprezzo il poeta romano), che allora col disco era stato importato a Roma dai ginnasi greci e divenuto di moda, era uno dei passatempi preferiti da giovani e romana. 60 adulti. Seu malis vetita legibus alea, Consortem socium fallat et hospites Heredi properet. Scilicet improbae Curtae nescio quid semper abest rei. XXV. Quo me, Bacche, rapis tui Plenum? Quae nemora aut quos agor in specus, sono ignote. ... Antris egregii Caesaris audiar vetita legibus alea. Queste leggi ci periura... fides : cioè << la per fallat: anche in Am. 40) e hospites. 58. malis: da malo. 59. Cum: « poichè ». fidia ». 60. Consortem socium: « compagno d'affari ». << è intenta a ingannare » ciò che trattandosi di un socius rebus minoribus ... turpissimum est (Cicerone, Pro Roscio d'altra parte impedisce di vegliare su l'educazione dei figli. Sono i forestieri in relazione d'affari coi mercatores romani. 61-62. Indigno heredi: cioè all'erede che non ne è degno, perchè non ne saprà fare buon uso. Il buon uso non è qui però quello ironico e gioviale di Carm. II, 14, 25. 62. properet: « s'affretta ad accumulare ». Ma l'idea secondaria ha cacciato la principale. Cf. Carm. III, 19, 12 e II, 7, 24. Scilicet. Innanzi a tamen dà alla proposizione significato concessivo, quasi in suo luogo si trovasse quamvis o altra simile congiunzione. Puoi tradurre qui « E certo crescono ». improbae: « insaziabili ». Cf. Carm. III, 9, 22. - 64. Curtae semper rei: «< al patrimonio sempre difettoso », al quale cioè pare sempre che manchi qualcosa (nescio quid). XXV. Orazio sente in sè, nel suo spirito una concitazione nuova, dalla quale nascerà un'opera d'arte (il poema lirico forse che abbraccia le prime sei odi del libro?) che non conoscerà precursori. Per quella parentela dunque che altre volte dicemmo avvertita dagli antichi tra la ispirazione poetica e l'orgiastica agitazione dionisiaca, il poeta prorompe nel canto seguente a Bacco; un canto che nei passaggi rapidi e disordinati, se non nella forma, arieggia gli antichi ditirambi dei Greci. Se l'opera qui augurata sono veramente le sei prime odi del libro, la composizione di questa venticinquesima dovrebbe esser collocata probabilmente vicino alla loro, nel 727. mora ... 1. Quo: perchè il poeta ha l'illusione e l'impressione di esser rapito, come in Carm. I1, 19 e III, 4, 6-8 in altri luoghi, ad altro aere. 1-2. tui Plenum: « pieno del tuo spirito ». Cf. Carm. II, 19, 6. 2-4. nespecus... antris: le divine solitudini amiche della poesia. 2. in: da riferirsi naturalmente anche a nemora. Cf. Aen. VI, 692-693: Quas ego te terras et quanta per aequora vectum Accipio...! 3. Velox: « celeremente ». — mente nova: perchè quasi cangiata dal nume che in lei s'accoglie. 3-4. Quibus Antris: dat. di agente. Le grotte amene Aeternum meditans decus Stellis inserere et consilio Iovis? Indictum ore alio. Non secus in iugis Hebrum prospiciens et nive candidam Lustratam Rhodopen. Ut mihi devio Mirari libet! O Naiadum potens Proceras manibus vertere fraxinos, Nil parvum aut humili modo, Nil mortale loquar. Dulce periculum est, ... sono concepite qui dal poeta come l'uditorio della sua poesia. La stessa immagine hai in Vergilio, Ecl. VI, 82-83: quae Phoebo quondam meditante beatus Audiit Eurotas, dove si riscontra anche meditari nel senso medesimo che qui al v. 5. egregii: come in Carm. 1, 6, 11. 5. Aeternum decus. Sottintendi dal verso seguente: stellarum et consilii Iovis. 5-6. meditans (il verbo proprio della elaborazione artistica che precede il canto pensato) Stellis inserere et consilio Iovis: attendendo cioè alla composizione di un poema su l'apoteosi di Cesare, destinato ad aumentare il numero delle stelle, come il divo Giulio, e quello degli dei.7. insigne: «una parola sublime » o forse anche e meglio << la parola sublime ». 8. Non secus: « non altrimenti ». Il termine di paragone ac ego è sottinteso. - in iugis: « su le cime » di un monte più alto del Rodope che la Baccante vede ai suoi piedi. · 9. Exsomnis: « insonne per divina virtù che l'agita e la sostiene nelle peregrinazioni dietro il carro del dio. stupet: «va in estasi ». — Euhias: nome delle Baccanti, conforme a quello di Bacco Euhius. Cf. Carm. I, 18, 9. 10. Hebrum: oggi Maritza. prospiciens: « scoprendo » quando, forse, seguendo il carro del dio, giunge su quelle vette dall'India e da altra terra 11. barbaro: cioè barbarorum. 12. Lustratam: « percorsa >>. devio: « uscito di via » ossia dalla via comune. E la parola va intesa anche nel senso allegorico, perchè il poeta, secondo Porfirione, anche qui intellegi vult se inusitatum Romanis carmen tractare. 13. vacuum (da riferirsi anche a ripas): « deserto ». E c'è lo stesso significato allegorico che notammo in devio del verso antecedente. 14. libet: poeticamente per iuvat. Naiadum. Sono propriamente le ninfe delle acque: e le ninfè già altra volta abbiamo visto compagne di Bacco. Cf. Carm. II, 19, 3. potens: « signore » come in Carm. I, 3, 1. 16. vertere: remota. dal significato di « capovolgere » trasferito a quello di » sradicare ». 17. Nil: «nessuna parola ». parvum: « meschino ». humili modo: « in pedestre metro ». 18. mortale: « destinata a morire » o forse anche che proceda da un mortale ». In realtà appena può considerarsi mortale il poeta invasato dal dio. loquar: meno comune in questo senso che dicam. torcolo. Dulce periculum est : « È un pericolo che mi riempie di allegrezza ». 19. Lenaee: il nome che al dio deriva da Aŋvós, il 20. Cingentem: a sè o a quelli che lo seguono? E dubbio. Meno dubbio pare invece, per ragioni di chiarezza, contro la quale Orazio non suol peccare, che Cingentem sia da riferire a deum e non a un me, soggetto sottinteso di sequi. XXVI. Il poeta, che fu pure non ultimo soldato nel campo d'amore, non è riuscito ad espugnare la fierezza di Cloe. Si reca dunque pieno di sconforto al tempio di Venere e dedica a lei le sue armi e la sua lira, a quel modo che gli antichi usavano abbandonando un'arte od un mestiere consacrarne gli strumenti alla divinità protettrice. E delle tre strofe della poesia le prime due accompagnano l'atto del dono, la terza contiene una preghiera alla dea perchè fiacchi ella l'orgoglio che ad Orazio non è riuscito domare. Nessun indizio cronologico. Per Cloe cf. Carm. I, 23. 1. Vixi: nello stesso significato di « ho chiuso la mia vita» che assume non di rado anche fui. Cf. Aen. II, 325-326: Fuimus Troes, fuit Ilium et ingens Gloria Dardaniae. Ma mentre nei versi vergiliani piange un immenso dolore, qui dietro il velo sottile delle parole sorprendi il riso fine dell' humour. puellis: brachilogia poetica per amoribus puellarum. Così in Quintiliano (II, 3, 1) hai idoneos rhetori pueros per idoneos rhetoris disciplinae, cioè « maturi all'insegnamento del retore ». nuper: qui « fino a ieri » sebbene nuper possa assumere anche un significato più lato. Cf. Epod. VIIII, 7. 3. arma: quelle più sotto numerate nei vv. 6-7 e che servirono a forzare le porte bene o piuttosto mal difese delle dolci nemiche. defunctum... bello: «che compì le sue guerre » da riferirsi naturalmente anche ad arma. L'espressione è coniata su l'analogia del comune vita fungi. 4. Barbiton: « la lira» indicata anche altrove con questo nome. Ma l'uso della parola greca e l'unione delle armi e del barbitos hanno fatto supporre a qualcuno che passi qui come un'eco della poesia d'Alceo, il quale divise veramente la vita tra le armi stasiotiche e il canto. paries: giacchè le armi e la lira vi penderanno sospese. 5. Laevum: perchè forse la statua della dea volgeva il viso da quella parte. marinae: perchè nata dalla spuma (após) del mare. 6. ponite. Il poeta con una mossa ormai a noi nota rivolge il discorso ai pueri che lo accompagnavano con le arma, mentre egli portava il barbitos. 6-7. lucida Funalia: torce 10 Funalia et vectes et arcus O quae beatam diva tenes Cyprum et Tange Chloen semel arrogantem. XXVII. Impios parrae recinentis omen Ducat et praegnans canis aut ab agro fatte di funi spalmate di cera o di pece, che servivano al doppio scopo e di far luce è di minacciare il fuoco alle porte troppo amanti dei limitari. 7. vectes: « scarpelli » per forzare chiavistelli e serrature. arcus: portati più per far paura (minacis) che non per ammazzare l'invisus ianitor di Carm. III, 14, 23. - 8. Oppositis: « chiuse sul viso ». 9. beatam: « felice ». L'epiteto è tanto più adatto in quanto Cipro in origine si chiamò Macaria ossia << la felice >>. 10. Memphin. Perchè Venere sia qui nominata specialmente come signora di Menfi, non è chiaro: però d'un preteso santuario di Afrodite in quella remota città d'Egitto parlano Erodoto (II, 112) e Strabone (XVII, 807). tem Sithonia nive: cioè axeíuavτoν come la chiama Bacchilide (fr. 30, 1). Ma Orazio, secondo quanto dicemmo a Carm. I, 1, 13, ha aggiunto di suo una determinazione geografica. 11. Regina: « mia regina >>. sublimi: « celeste >>. 12. Tange: non come il poeta le cui armi erano buone a minacciare soltanto. semel: da riferirsi naturalmente a Tange; ma posto non senza malizia vicino ad arrogantem. caren XXVII. Come nell'ode undecima di questo libro la ostinazione di Lide contro il marito servì di pretesto al poeta per esporre in forma lirica la leggenda delle Danaidi, così in questa la partenza di Galatea gli offre il modo di rimaneggiare in una lunga saffica l'antico mito di Europa, che ispirò già tra i melici greci Stesicoro, Simonide, Bacchilide, appare parodiato nella Batracomiomachia (v. 75 e segg.) e dettò nell'età alessandrina un notissimo componimento di Mosco. Il nome di Galatea, che è, come si sa, proprio di una Nereide, fu qui molto probabilmente attribuito da Orazio alla bella perchè il suo viaggio era per mare (cf. vv. 17-24); e non è nemmeno improbabile che un più stretto legame passasse tra il mito d'Europa e la situazione reale della pellegrinante, la quale potè, suppongo, prepararsi a passare il mare per seguire un amante a quel modo che la principessa fenicia doloso Credidit tauro latus (vv. 25-26). L'anno della composizione è ignoto, la stagione fu quella del tramonto di Orione, nella prima metà di novembre (cf. vv. 17-18). 1. parrae: un uccello dal quale fin da tempo assai antico si solevano prendere auguri. Cf. Plauto, Asin. 260: picus et cornix a laeva, corvus parra a dextera consuadet. Ma che uccello sia non può con sicurezza affermarsi. I più pensano alla civetta o al barbagianni. recinentis: < insistente ». 2. Ducat; « guidi », « meni ». Ma piuttostochè un congiuntivo desiderativo (al poeta in fondo non importa che segni ma ORAZIO, Liriche, comm. da V. USSANI, vol. II. |