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Vina craterae, vetus ara multo
Fumat odore.

Ludit herboso pecus omne campo,
Cum tibi Nonae redeunt Decembres;
Festus in pratis vacat otioso
Cum bove pagus;

Inter audaces lupus errat agnos;
Spargit agrestis tibi silva frondes;
Gaudet invisam pepulisse fossor
Ter pede terram.

giunto a vina. 7. craterae: dat. dunque o genit. di un femm. cratera, parallelo al maschile crater, crateris e come lui derivato dal greco κρητήρ, etimologicamente in relazione con κεράννυμι, come si ricava anche dall'ufficio cui il recipiente era destinato. Cf. Carm. I, 29, 8. vetus ara: «l'antico altare » che Orazio doveva aver trovato, quando entrò in possesso della sua proprietà. 8. odore: «< incenso >>.

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13. au

9. herboso campo: « su l'erboso piano ». Intendi di qualche prato, presso il fiume, dove non veniva a mancare mai l'erba nemmeno nella stagione invernale. 10. tibi: «< in tuo onore >>. 11. otioso: cioè liberato dal giogo. 12. pagus: « il villaggio » per i pagani che lo componevano. Una descrizione bellissima, e viva ancor oggi, di queste feste campestri potrai leggere in Ovidio, Fast. III, 525-542. daces: «imbaldanziti » dalla presenza di Fauno, che è Lupercus. Il poeta dovè avere in mente qualche adagio campagnuolo, forse anche qualche apologo del vicino Cervio che garriva sempre aniles Ex re fabellas (Sat. II, 6, 77-78), nel quale la gran pace di quella festa campestre veniva simboleggiata e idoleggiata in una tregua persino tra quelle due razze alle quali discordia sortito obtigit (Epod. III, 1-2). 14. Spargit: per mano, s'intende, dei pagani. agrestis frondes. Rami e foglie anche in altre feste venivano sparsi, come oggi, su la via che menava ai santuari. Ma qui le frondi sono agrestis quali si convengono a una divinità villereccia e sole offre il pagus ai rustici devoti. 15. invisam: « l'odiata » perchè cagione delle sue fatiche. pepulisse: « avere respinto da sè » o, dandosi all'infinito del perfetto il valore che può avere l'aoristo greco, « respingere ». Ne deriva una leggera differenza di significato, giacchè nel primo caso il Gaudet andrebbe inteso dei ballerini che si riposano dopo la danza, nel secondo dei danzanti stessi. · 16. Ter: « in tre note » o « in tre tempi >>.

...

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XVIIII.

Quantum distet ab Inacho

Codrus pro patria non timidus mori
Narras et genus Aeaci

Et pugnata sacro bella sub Ilio:
Quo Chium pretio cadum

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XVIIII. lo mi figuro la scena così. Molta gente è unita da un ignoto anfitrione (cf. v. 6) a convito in casa di L. Licinio Varrone Murena, il fratello di Terenzia, da poco entrato nel collegio degli auguri, e c'è uno che parla di cose dotte e grandi, ma disdicevoli alla lieta gaiezza del convito. Il poeta interrompe coi vv. 1-8 i noiosi discorsi e prorompe poi in una poesia che accoglie in sè tutto il disordine ideale (non il formale, si badi) degli antichi ditirambi e ricorda fortemente anzi supera l'ode vigesima settima del libro primo, per i rapidi passaggi coi quali il poeta rivolge successivamente la parola, prima al dotto inopportuno oratore, poi al puer, poi al rex convivii, poi a un interruttore, poi alle tibicinae e citharistriae presenti al banchetto, poi ad altri e infine a un Telefo nel quale non mi par improbabile (dico non improbabile, perchè nell'ode ci sarebbero in questo modo tre allusioni a Murena, cioè ai vv. 7, 10-11 e in fine, e una sola al v. 6 al convitante, che si potrebbe identificare con Telefo) possa nascondersi qui Murena stesso, che si chiamava Lucio (cf. lux), se il greco Thλepos fu interpretato da Orazio, come accennai a Carm. I, 13, per « lungi splendente ». La data dell'ode è affatto oscura. 1. Quantum distet: « Quanto sia più recente >>. Inacho. Cf. Carm. II, 13, 21. 2. Codrus: l'ultimo re d'Atene che si sacrificò per la patria, quando l'Attica fu invasa dai Dori e un oracolo ebbe predetto che avrebbe vinto dei due popoli quello del quale fosse morto nella guerra il re. Codro dunque, entrato nel campo nemico sotto mentite spoglie (altrimenti i Dori conscii del responso l'avrebbero risparmiato), fu ucciso e gl'invasori abbandonarono l'Attica, appena il fatto si riseppe. Così la leggenda. 3. genus Aeaci: «i discendenti di Eaco» che presero gran parte alle due distruzioni di Troia, onde il plur. bella (se pure non è un plurale per singolare) del verso seguente. Nella prima distruzione della sacra città che si dovè ad Ercole, era tra i primi eroi della Grecia un figlio d'Eaco, Telamone; nella seconda tre nepoti di Eaco, Achille figlio di Peleo, Aiace e Teucro figli di Telamone, e un pronepote, Pirro di Achille. 5-6. Quo Chium pretio cadum Mercemur: « quanto ci costi il vin di Chio » questione più piccola sì, ma più importante delle precedenti. Ma il pensiero del poeta non è chiarissimo per noi. Si allude proprio al prezzo che il vino di Chio faceva sul mercato o non piuttosto all'uso presso gli antichi non raro pel quale i convitati portavano all'anfitrione un qualche dono che poteva quasi parere lo scotto (pretium) del banchetto offerto loro? (Cf. Carm. IIII, 12, 14-16: pressum Calibus ducere Liberum Si gestis, iuvenum nobilium cliens, Nardo vina merebere). E, dato che l'allusione sia a questo uso, bisogna dare a Quo il valore di

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rena.

Mercemur, quis aquam temperet ignibus,
Quo praebente domum et quota

Paelignis caream frigoribus, taces.
Da lunae propere novae,

Da noctis mediae, da, puer, auguris
Murenae..... Tribus aut novem

Miscentur cyathis pocula commodis?
Qui Musas amat imparis

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<< Quanto grande» o di « Quanto piccolo »? Tutti interrogativi, ai quali riesce molto difficile dare una sicura risposta, mentre dalla diversa risposta il senso di tutto il passo risulta non poco modificato. 6. Quis aquam temperet ignibus? Secondo un antico scolio i vini greci si solevano bere mescolati con acqua calda, il cui uso può parer qui più naturale perchè dal v. 8 si ricava che il simposio ebbe luogo nella stagione invernale. Or dunque perchè questa del temperare aquam ignibus doveva essere cura dell'anfitrione, la frase viene con tutta probabilità a significare « chi sia il convitante ». Altri pensano invece a un servo destinato a quell'ufficio. 7. Quo praebente domum. Era, come suppongo, Muquota: «a che ora » poichè era l'ora più fredda, fra tutte, la mezzanotte, secondo il v. 10. 8. Paelignis ... frigoribus: perchè la terra dei Peligni tra Corfinio e Sulmona era celebre pei rigidí inverni. 9. Da. Il poeta rivolge la parola al puer ad cyathum. (Cf. Carm. 1, 29, 1). lunae novae: genit. in dipendenza da un cyathum sottinteso. Cf. Carm. III, 8, 13. Perchè il poeta volesse bere alla luna nuova, noi non sappiamo. Erano forse le Calende, il primo giorno del mese, νουμηνία. 10. noctis mediae: l'ora in cui il poeta parla. 11. Murenae... L'enumerazione del poeta che avrebbe certo domandato un altro cyathus alla salute dell'anfitrione è a questo punto, se non erro, interrotta dal rex convivii con una sua lex (cf. Catullo, XXVII, 3: lex Postumiae iubet magistrae) simile a quella che si legge in Ausonio (Eidyll. 11): Ter bibe vel totiens ternos e che il poeta ripete subito in forma interrogativa, quasi a dire: Ho bene inteso? 12. Miscentur: << si riempiono » con un uso analogo a quello dell'italiano « mescere », giacchè spesso nel linguaggio poetico o per vaghezza di una meno solita maniera di dire o perchè in una circostanza accessoria vegga l'artefice maggior colorito poetico che nell'azione principale, questa viene sostituita da quella. Onde in Orazio stesso hai sonare (Epod. XVII, 46; Carm. II, 13, 26 per celebrare (l'idea secondaria è quella del suono della lira che accompagna la voce del celebratore), ludere (Carm. I, 32, 2, IIII, 9, 9) per scribere (l'idea secondaria è quella della minor gravità che accompagna la poesia erotica di fronte a quella stasiotica o gnomica), fino deproperare (Carm. II, 7, 24) per nectere, sostituendosi all'idea fondamentale dell'intrecciare quella della fretta con la quale si deve compiere l'azione, e così via. Or qui all'idea fondamentale di « riempire » si è sostituita, se ben veggo, quella laterale del « mescere » che si faceva prima nel crater l'acqua col vino. Altri diversamente. cyathis. Cf. Carm. I, 29, 8. commodis: « colmi ». 13. Musas imparis. Non intenderei «le Muse di numero dispari » chè dispari, come il nove, è anche il tre. Ripenserei invece a un luogo dell'Arte poetica (v. 75-76): Versibus

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rato ».

Ternos ter cyathos attonitus petet
Vates. Tris prohibet supra

Rixarum metuens tangere Gratia
Nudis iuncta sororibus?

Insanire iuvat. Cur Berecyntiae
Cessant flamina tibiae?

Cur pendet tacita fistula cum lyra?
Parcentis ego dexteras

Odi: sparge rosas. Audiat invidus
Dementem strepitum Lycus

Et vicina seni non habilis Lyco.
Spissa te nitidum coma,

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16. tan

impariter iunctis querimonia primum ... inclusa est, dove quell'impariter (= ita ut alter alteri impar sit) è inteso, nè diversamente si potrebbe, della differente lunghezza dei due versi che entrano nella composizione del distico elegiaco, e vorrei per analogia intendere qui Musas imparis come detto per metonimia della « poesia in metri diseguali » divenuta per brachilogia poetica « poesia diseguale ». « Poesia diseguale » è naturalmente, per eccellenza, la lirica. · 14. Ternos ter: piuttosto che tre soli, per quella affinità che, come altre volte notammo, parve agli antichi scoprire, tra l'ebbrezza e l'estro poetico. attonitus: << ispi15. Tris etc. La nuova interrogazione ci avverte che si è levata la voce di un interruttore: « Bada, poeta: le Grazie paurose dell'eccesso che le offende non permettono più di tre ciati »>. gere. Nota la delicata scelta del verbo, che solo conserva sapore di riserbo in mezzo al tumultuoso linguaggio dell'ebbrezza. 17. Nudis. Non è qui soltanto epitheton ornans, ma contiene la spiegazione anzitutto del Rixarum metuens del verso precedente. 18. Insanire: cioè « bere fino alla follia ». Cf. la nota a Miscentur del v. 12. Cur. Il poeta si rivolge alle tibicinae e alle citharistriae presenti al banchetto. 18-19. Berecyntiae tibiae: lo stesso che il corno berecinzio di Carm. I, 18, 13-14, giacchè il flauto frigio usato nel culto orgiastico di Cibele e invocato qui per questo a compagno dell'ebbrezza era di forma curva. Cf. Ovidio, Fast. IIII, 181: inflexo Berecyntia tibia cornu. — flamina: propriamente «i soffi ». Ma noi con un'idea laterale: « le armonie ». 20. pendet: dal chiodo. Cf. Pindaro, Ol. I, 25-26: Awpíav ånd ¤ópμirra πασσάλου Λάμβαν. 21. Parcentis: « avare». Il poeta volge il suo discorso ad altri, forse ad uno schiavo che faceva distribuzioni di fiori ai convitati. 22. sparge rosas: segno di prodigalità, giacchè si era nel cuore dell'inverno (cf. v. 8) e dovevano queste esser rose di stufa o importate, come usava, dall'Egitto o anche artificiali.

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23. invidus:

<< invidiando perchè vecchio non può imitare le follie dei giovani come vorrebbe la giovine moglie. 23. Dementem: ipallage per dementium. 24. vicina: la moglie di Lico, Rode (cf. v. 27), di cui solo qui ricorre il nome. Doveva dunque aver li presso la casa. non habilis: « disadatta » per la differenza delle età o meglio forse « indocile », « riottosa». Cf. la nota a petit del v. 27. 25. te. Nota l'antitesi tra questo pronome, ripetuto egualmente in arsi nel verso seguente, e il Me in sede

ORAZIO, Liriche, comm. da V. USSANI, vol. II.

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pure importante, al principio del v. 28.

26. Puro ... Vespero: « la

limpida (ossia << senza nubi ») stella della sera ». Cf. pura ... luna in Carm. II, 5, 19-20, sole puro in Carm. III, 29, 45.

27. Tempestiva:

<< pronta ». petit (te): « viene a te» lasciando la casa e recandosi al banchetto a dispetto del marito. 28. lentus: per antitesi a tempestiva « pigro », « tardo ». Glycerae. Cf. Carm. I, 19, 5.

XX. Il poeta avvisa Pirro (Пuppo è lo stesso che flavus « il biondo», aggettivo, o forse anche che Flavus, cognomen romano) innamorato del fanciullo Nearco (nome anche questo coniato forse dal Greco a indicare chi si trova nel primo fiore, apyn, della giovinezza o VEÓτns) dei pericoli a cui va incontro, giacchè il giovinetto ha un altro (non forse era un'altra ?) amante, il quale insorgerà contro il rapitore come la leonessa omerica contro i cacciatori che le furarono i figli: ὥστε λὶς ἠυγένειος Ὧι ῥά θ ̓ ὑπὸ σκύμνους ἐλαφηβόλος ἁρπάσῃ ἀνὴρ Ὕλης ἐκ πυκινῆς· ὁ δέ τ ̓ ἄχνυται ὕστερος ἐλθών· Πολλὰ δέ τ ̓ ἄγκε ̓ ἐπῆλθε μετ ̓ ἀνέρος ἴχνι ̓ ἐρευνῶν, Εἰ ποθεν ἐξεύροι· μάλα γὰρ δριμὺς χόλος αἱρεῖ (II. XVIII, 318-22). Se non che la leonessa oraziana raggiungerà attraverso le schiere dei cacciatori il suo nemico e ne sorgerà una terribile lotta, alla quale fa felicissimo contrasto nell'ultima strofe la veramente greca figura del fanciullo conteso che assiste impassibile e indifferente al cimento.

1. moveas: « rimuovi » dalla tana dove per un momento la madre li abbandonò. 2. Gaetulae... leaenae. Cf. Carm. I, 23, 10. catulos. Cf. Carm. III, 3, 41. E non faccia meraviglia il plurale: l'emulo sorgerà alla difesa dell'amor suo insidiato come la leonessa a quella dei propri figli. 3. post paulo: insolito e per questo poetico invece di paulo post. inaudax: neologismo oraziano di non troppo sicuro significato. Generalmente si interpreta per åτoλuoç, quasi « perduto il tuo coraggio »; ma ben più callida iunctura pare quella fugies inaudax se si dà all'inaudax il significato intensivo di « audace fino alla temerità». Cf. l'uso di impotens in Carm. III, 30, 3 e di impotentia in Epod. XVI, 62. 4. raptor: sostantivo d'agente posto qui con valore di participio perfetto attivo. 5. iuvenum catervas: « la folla dei cacciatori ». 6. insignem: « bello ». In questo significato, senza un ablat. strumentale che lo accompagni, ricorre anche in Vergilio (Aen. VII, 762): Virbius insignem quem mater Aricia misit. repetens: col significato finale che

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