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lunque persona; questa regola subisce però le appresso eccezioni.

4. La cessione, non può sotto pena di decadere dalla obbligazione, farsi maliziosamente, persone, che per loro potere e credito, potrebbero facilmente opprimere il debitore (in potentiorem) (1).

2. Non si può, sotto pena di decadere dalla obbligazione, cederla a chi amministra come tutore e curatore i beni d'una persona contro la persona medesima, nè durante, nè dopo la tutela o curatela (2).

§. 353. III. Oggetti della cessione.

zione è una alienazione: solo dunque può cedere, chi ha la libera disposizione delle cose sue. Ogni cessione esige in oltre il consenso del cedente. Colui che ha trasferito in una persona un diritto, o che ne ha acquistato uno per lei, è pure legalmente obbligato di cedere l'azione che vi ha rapporto (8). Ma il consenso del debitore ceduto non è necessario per dar vita alla cessione (9).

§. 355. V. Effetti della cessione (10).

A. La cessione non opera cangiamento alcuno fra- cedente e debitore; il cedente non perde alcun suo diritto sul credito; egli può per lo contrario, perseguitare il debitore, fintantochè il cessionario non ha notificata la cessione al debitore (44): egli deve in tal caso rilasciare al cessio

In generale si può cedere tutti i crediti e azioni formanti parte del patrimonio del cedente, poco importa che le azioni sien reali o personali (3). Ma le azioni quæ vindictam spirant (4), le pene criminali che tendono a in-nario il vantaggio che gli procura l'afliggere una pena pubblica (5) e tutte le azioni popolari (6) non possono formare oggetto di cessione. Quindi, un'azione cedibile non può più esser ceduta dal momento che è portata in giudizio (7).

zione (12). Ma s'egli intenta l'azione. posteriormente alla persecuzione avanzata dal cessionario, o alla notificazione della cessione fatta al debitore, potrà essere da questi respinto colla eccezione del dolo (13).

B. Gli effetti della cessione fra cc

§. 354. IV. Condizioni della cessione. dente e cessionario, e fra questi e il

La cessione di un credito o d'un'a

debitore, sono i seguenti:

4. Essa trasferisce al cessionario

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31, pr. D. XIX, 1.
XLVI, 3. fr. 12, D. L, 16.
(6) Fr. 5, D. XLVII, 23.

(7) Cost. 2, 3, 4, C. VIII, 87. - Mühlenbruch, §. 31.

1.

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(8) Fr. 31, pr. D. XIX, 1. fr. 14, pr. fr. 80, pr. D XLVII, 2. Cost. 4, C. iv, 39. fr. 49, §. 2, D. XLI, 2. - fr. 2. §. 5, D. X, 2. fr. 41, §. 1, D. XLVI, fr. 76, D. XLVI, 3. Cost. 2, 11, 14, C. VIII, 41, - Mühlenbruch, §. 36-39. (9) Cost. 3, C. IV, 39. Nullameno egli è in diritto d' opporsi alla divisione del credito ceduto che gli recherebbe pregiudizio. Arg. fr. 27, §. 8, D. XV, 1. (10) Mühlenbruch, §. 46-64. (11) Cost. 3, C. IV, 35. Cost. 4, C. VIII, 17. (12) Fr. 23, §. 1, D. XVIII, 4. (13) Fr. 16, pr. D. II, 14. - fr. 17, D. II, 15. Cost. 3, C. VIII, 42.

VIII, 42.

Cost. 3,

C.

ogni diritto del cedente, non che tutti i diritti accessorj (1).

2. Il cessionario deve sottoporsi a tutte l'eccezioni che il debitore potrebbe opporre al cedente (2).

3. Il cedente garantisce al cessionario la vera esistenza del credito ceduto, tranne quando glie n' ha fatto donazione; egli non è tenuto della solventezza del debitore che in quanto l'ha garantita, o trovasi in dolo (3).

§. 356. VI. Lex Anastasiana.

Per evitare che persone o per avidità di guadagno, o nella veduta d'ingannare il debitore, acquistino crediti, l'imperatore Anastasio ordinò, che colui, il quale acquistasse una obbligazione per un prezzo minore del suo vero valore, non potesse esigere dal debitore un prezzo maggiore di quello che aveva pagato, aumentato degl'interessi da calcolarsi a forma della legge. Questa disposizione fu in seguito rinnovata da Giustiniano con più precisione e chiarezza (4).

2. Non si applica che alle obbligazioni aventi per oggetto danaro o altre cose fungibili.

3. Ma, ov' anco riunisca queste due condizioni, non trova eccezionalmente applicazione:

a) Nel caso di cessione in pagamento (in solutum), quando le parti non hanno intenzione d'eluder la legge (5).

b) Quando coeredi e legatarj si cedono reciprocamente delle obbligazioni per facilitare la divisione.

c) Quando la cessione ha luogo per conservare e difendere il possesso d'una cosa che serve di garanzia a una obbligazione; per esempio, quando un creditore pignoratario o ipotecario di grado posteriore, paga chi lo precede, per subentrare in suo luogo e vece (6).

d) Quando l'obbligazione ceduta è indeterminata ed incerta al tempo della cessione (7).

e) Infine, quando si cede una universalità di crediti (universitas nominum) (8).

4. Nel caso in cui il debitore invochi contro il cessionario la legge

il

Da due combinate ordinanze emergono i seguenti principj: 4. La legge d'Anastasio non riguar-d'Anastasio, questi ha per effetto d'eda che le obbligazioni comprate; ma stinguere a profitto del debitore, si applica anco alle obbligazioni ven- reliquato della obbligazione non padute in parte, e in parte donate; per- gata, e di diminuire per ciò la obblichè altrimenti si eluderebbe facilmente gazione, per l'ammontare di questo la legge.. reliquato (9); da ciò ne segue che il

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§. 117, nota 9.

(3) Fr. 4, 5, D. XVIII, 4.

3, D. XXI, 2.

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.

(4) Cost. 22, 23, C. IV, 35. J. A. Bach, Exercit. jur. civ. de lege Anastasiana. Lips. 1855, et in ejusd. Opusc. ed. Klotz. Hala, 1767, n. 9. B. H. Reinold, Diss. ad legem Anastasianam; in ejusdem opusc. ed. Jugler, p. 279. J. Ch. Schele, Spec. de justis limitibus lege Anastasiana nominis cessioni positis. Helmst. 1794. - Fr. Ge. Anckelman, Diss. de cessione nominis Goett. 1791, §. 7. 13. Glück, Comm. part. 16, . 1024. Mühlenbruch, §. 30-53. Mackeldey

(5) Per esempio, io prendo in prestito una certa somma, e cedo in seguito, in pagamento (in solutum) un credito più considerevole. Arg. Cost. 23, citata.

(6) Una Costituzione posteriore di Giustiniano (Cost. 24, C. IV, 35) distrugge tutte queste eccezioni, ma questa costituzione è una lex restituta non glossata.

(7) È vero che la legge non parla di questa eccezione; ma un credito incerto e indeterminato, non vale per certo il suo valore nominale, e colui che lo paga un prezzo minore, non l'acquista pro vitiori prectio.

(8) Mühlenbruch, p. 535. Al presente la legge d'Anastasio non s' applica più alle recognizioni che sono al por

tatore.

(9) Secondo le parole espresse della

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cessionario deve sempre fornire la prova del pagamento della obbligazione ceduta, poichè egli non può esi

gere dal debitore che la quota del suo pagamento e che questo fatto serva di base alla sua azione (1).

CAPITOLO TERZO
Del danno e sua Refezione (2),

§. 357. I. Nozione del danno.

Assai spesso un'obbligazione mira fin dal principio, alla refezione dei danni, e ogni obbligazione si risolve infine in una domanda d'indennità, quando per colpa del debitore, l'oggetto primo della obbligazione, o non è stato, o non ha potuto esser prestato. Il danno (damnum) è in generale ogni perdita che taluno ha provato (damnum factum seu datum) o che per lo meno ha temuto nel suo patrimonio (damnum metuendum s. infectum) (3). Il danno è positivo (damnum emergens o semplicemente damnum, nel vero significato della

ba

Cost. 23, §. 1, citato: « Omne quod superfluum est et per figuratam donationem translatum, inutile ex utraque parte esse censemus; et neque vi qui cessit actiones, neque ei qui eas suscipere curavit aliquid lucri vel fieri, vel remanere, vel aliquam contra debitorem, vel res ad eum pertinentes esse utrique eorum actionem ». Mühlenbruch, pag. 529. Thibaut, Systeme, §. 80. - Questa opinione però non è seguita da certi autori che vogliono dar continuazione alla obbligazione per la parte non pagata, come obbligazione naturale, a pro del cessionario.

(1) Thibaut, Systeme, §. 80.-- Mühlenbruch, p. 577. - Vi sono degli autori i quali pensano che il debitore debba fornirne la prova: P. L. F. Eber, Diss. de probatione cessionis legi Anastasianæ repugnantis. Jenæ, 1781, §. 34. Comm. jur. civ. XXVI, (2) Donello 13, 23. Ch. G. Wehrn, Doctrina juris

parola), allorquando vi è realmente diminuzione del nostro patrimonio (4); è negativo (lucrum cessans s. lucrum interceptum), allorquando ne viene impedito un lucro (5). Le due specie di danno, riunite, si designano nel diritto romano colle parole, id quod interest (6), per quanto una tale espressione non dinoti per ordinario se non ciò che è dovuto come riparazione di danno (quanti ea res est) oltre il prezzo della cosa danneggiata o distrutta (7); sovente ancora non si designa, con quella espressione, che il danno positivo (8). L'obbligazione di risarcire il danno che qualcuno ha sofferto, dicesi præstatio damni

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§. 358. II. Della causa del danno.

Il danno può provenire: A. Dal caso fortuito (casus). B. Da un fatto o da una omissione volontaria dell' uomo.

1. Se il fatto o l'omissione proviene da colui che soffre il danno, si deve applicare la regola: quod quis ex culpa sua damnum sentit, non intelligitur sentire (1).

2. Ma se il danno proviene dal fatto di persona diversa da quella che lo soffre, si distingue:

a) Se il fatto era lecito; allora si fa luogo all' applicazione della regola: qui jure suo utitur neminem ledit (2). | b) Se il fatto o l'omissione era illecita, illegale, nasce l'obbligazione di rifare il danno, ove possa venire imputato al suo autore (dolus, culpa, mora).

Infine, il danno può provenire:

C. Tanto da un fatto o da una omissione volontaria dell'uomo, quanto dal caso fortuito senza cui non sarebbe avvenuto (casus mixtus); allora si prende in considerazione il fatto o l'omissione, anzichè il rischio (3).

(1) Fr. 203, D. L, 17.

(2) Fr. 151, 155, §. 1, D. ibid. (3) Fr. 1, §. 4, D. XLIV, 7.

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(4) Fr. 1, 3. 4, D. XLIV, 7. - Cpr. fr. 15, §. 2; fr. 59, D. XIX. 2. - fr. 2, §. 7, D. L, 8. fr. 24, §. 4, D. XXXIX, 2. fr. 3, §. 1, D. IV, 9.. (5) Per esempio, fr. 25, § 6; fr. 33; fr. 59, D. XIX, 2. fr. 11, §. 5, D. IV, 4. fr. 24, §. 4, D. XXXIX, 2.

(6) Fr. 9, §. ult., fr. 11, pr. D. XII, 1. fr. 5, §. 14; fr. 10, §. 1, D. XIII, 6. Dig. XVIII, 6.

(7) Fr. 23, in fine; fr. 185, D. L, 17. Cost. 6, C. IV, 21. Jo. Ch. Brandenburg, Diss. sistens, principia generalia de damno casuali ejusque præstatione.

Gætt. 1793.

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§. 359. A. Del caso fortuito (casus).

Il caso fortuito (casus) è qualunque avvenimento nocivo che l'uomo non può prevedere, o che, per lo meno, le sue forze non valgono ad impedire (4); è per questa ragione che il caso fortuito dicevasi ancora, nel diritto romano, vis major, vis divina, vis naturalis, factum (5). Il danno che il caso fortuito dee farci temere dicesi: rischio e pericolo (periculum) (6). Il caso fortuito deve in generale esser riguardato da chi ne sente danno, come una disgrazia, e niuno è in obbligo di risarcirio (præstare damnum) (7), a menochè non abbia convenuto (8) di prestarlo, o che non esista altro motivo d'obbligazione; per esempio, quando abbia cagionato il danno per sua colpa (9), o che per disposizione particolare di legge, non sia tanto a ripararlo (10).

§. 360. B. Del dolo e della colpa (14). I. Nozione.

Culpa, presso i Romani, comprende tutto ciò che noi diciamo fallo; per

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D. XIX, 2. fr. 23, 82, §. 1, D. XLV, 1. (10) Per esempio, nel caso della noxa e pauperies. Ist. IV, 8, 9. D. IX, 1. (11) Donello, Comm. jur. civ. XVI, 7. - Lebrun, Saggio sulla prestazione delle colpe. Parigi, 1764; pubblicato nuovamente con una dissertazione del Pothier su questo Saggio, a Parigi, 1813. Thémis, VII, pag. 129. - Gries, De generibus et gradibus culpæ. Goetting. 1805. Fr. Schoeman, Delia refusione del danno, part. 2. Giessen, et Wetslar, 1806. - E. Lohr, Die Theorie der culpa, o Teoria della colpa. Giessen, 1806. L. Dresch, De indole et gradibus culpæ, Mannheim, 1808. - Gensler, Exerc. juris civilis ad doctrinam de culpa. Fasc. 1, Jenæ, 1813. - Hasse, Die culpa des rœm. Rechts, o Della colpa per diritto romano. Kiel, 1815. M. D' hauthuille ha pubblicato nella Rivista della Legislazione e della Giurisprudenza una breve esposizione della dottrina d' Hasse. La Rivista delle Riviste del diritto ha riprodotto

ma

2. La colpa lata (culpa lata, latior s. dolo proxima) è una omissione intenzionale di un fatto che noi dobbiamo eseguire per allontanare un danno dal terzo (3). Oltre questa omissione che costituisce la colpa grave, considerasi ancora come tale:

a) Quando per volontà rechiam danno con un fatto illecito, è vero, ma senza mala intenzione, per capriccio, leggerezza, petulanza (4);

conseguenza qualunque illegalità im- | danno, per cupidigia, scaltrezza e, in putabile, senza distinguere se resulti generale, con intenzione colpevole dal fatto (facto) o dall' omissione (decipiendi causa, lucri animo, (omissione), ove provenga dalla vo- litia) (2). lontà dell'agente, o da semplice inattenzione o negligenza. Presa in questo generale significato, la nozione della colpa comprende anche il dolo (1). Le idee di colpa e di dolo hanno dunque questo carattere comune, di fatti o omissioni illecite, che recano ad altri pregiudizio; reciprocamente, ogni fatto od illecita omissione, in questo significato, è una colpa. Nullameno per regola generale, l'omissione d'un fatto non costituisce attacco ai diritti altrui e non è una colpa; solo nei casi in cui una cagione particolare ne obbliga ad allontanare il danno da un terzo, non possiamo omettere il fatto che allontana questo danno. Per tale omissione si agisce contro ai diritti dell'altro, e siamo in colpa per ciò. Ma nel senso tecnico della parola il diritto romano fa una distinzione fra dolus, culpa lata, culpa, et omissio diligentiæ, second ochè in ogni | illegalità si considera l'intenzione dell'agente, o secondochè il danno posa sopra un fatto od omissione. Prese in senso stretto le idee di dolo e di colpa si determinano nei modi seguenti:

4. Il dolo è ogni manovra fraudolenta commessa con intenzione di far

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b) Quando senza volontà di far danno, non abbiamo agito colla previsione d'uomo ragionevole (dissoluta negligentia, nimia securitas) (5).

c) Quando non abbiamo impiegato, amministrando le cose altrui, le cure che portiamo nelle nostre (6). In questi due ultimi casi l'agente è sempre considerato come se avesse voluto nuocere.

3. La semplice colpa è qualunque danno illecito fuori dell'intenzione, ma derivante da un fatto positivo, che noi cagioniamo ad altri, per inavvertenza o mancanza di riflessione; non si considera in tal caso la degradazione della negligenza, la quale però non deve essere della specie della colpa grave (7).

4. Finalmente, la diligenza (diligen

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(4) Fr. 7, pr. D. XVI, 3.
7, D. IV, 3. fr. 8, §. 10, D.
(5) Fr. 30, f. 3, D. IX, 2.
pr. D. XVII, 1. fr. 213, §. 2.
pr. D. L, 16.

fr. 7, §. XVII, 1.

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fr. 29

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(6) Fr. 32, D. XVI, 3. fr. 22, §. 3, P. XXXVI, 1.

(7) La parola culpa è presa in questo senso, quando da una parte è opposta al dolo e dall' altra alla diligenza. Cost. 11, C. IV, 35. fr. 8, §. 3, D. XLHI, 26. fr. 11, D. III, 5. fr. 23, D. L, 17. - fr. 5, §. 2, D. XIII, 6. - fr. 1. pr. D. XXVII, 3, poco importa la degradazione della negligenza. E per questa ragione che non vi ha in diritto nessuna differenza fra culpa, culpa omnis, culpa levis, culpa levissima; questa ultima espressione non si presenta che una sola volta; fr. 45, pr.

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