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molti il NIEBHUR, il PUCKTA ed il MOMMSEN, essere necessariamente nei primi tempi di Roma nazionale e collettiva. Nello stato risiedè il dominio degli immobili (1) ed i cittadini ebbero l'usufrutto e l'amministrazione di qualche parte del suolo pubblico. E questo, come altrove ho detto, non solo è provato dal fatto, attestato dalle istorie, che nelle politiche associazioni, finchè non si giunge ad un certo grado di civiltà, il dominio delle cose immobili risiede nello stato, ma lo conferma, in special modo in Roma, l'essere rimasta sempre nella mente del popolo quella idea, almeno come una finzione (dominium eminens). Ed infatti GAIO (2), ai suoi tempi, che come afferma il PADELLETTI (3) furono quelli del secondo secolo dell'impero, poteva scrivere: « In eo (provinciali) solo dominium populi romani est vel Caesaris; nos autem possessionem tantum et usumfructum habere videmur. » Ed anche CICERONE afferma, che ai tempi di Romolo, la privata proprietà consisteva nei beni mobili, cioè nel bestiame e che i cittadini avevano soltanto il possesso, non il dominio, dei campi; in seguito fu divisa la proprietà delle campagne tra i privati cittadini. « Tum (Romuli temporibus) erat res in pecore et locorum POSSESSIONIBUS ex quo pecuniosi et locupletes vocabantur (4). » Inoltre i beni di famiglia, nei primitivi tempi di Roma, si chiamarono « pecuniam vel familiam » certamente dal vocabolo « pecus» ed i beni dei servi e dei figli di famiglia si dissero « peculium » e ciò dimostra, che non vi fu in

(1). Secondo il NIEBHUR tutto il territorio apparteneva allo Stato, il quale tuttavia ne concedeva a titolo di possesso e godimento precario quelle parti, che non servivano all'uso comune ed al culto. Egli perciò distingue il territorio nel rapporto dello stato e nel rapporto dei privati. Rispetto all' uno lo denomina ager pu blicus rispetto agli altri « possessio. » Questo sistema che il NIEBHUR svolge fino alle sue ultime conseguenze e che era stato limitato ai soli immobili, venne da altri esteso anche ai mobili. Così fece il PUCKTA Istituzioni §. 40 Nulla però vieta » egli dice che il materiale da guerra, persino quello che ogni singolo cittadino portava seco alla guerra e doveva conservare sempre in stato servibile, fosse considerato proprietà dello stato. Per una stirpe bellicosa, come erano i Ramnes, ogni cosa mobile do- . veva certo assumere un tal carattere, sia immediatamente, sia mediatamente, siccome noi facilmente possiamo raffigurarci; chè in una consorteria tutta di rapina e di guerra, fino a tanto che questo carattere predomini, ogni bene deve considerarsi come soggetto alla comune destinazione. » Vedi contra l'IHERING. Lo spirito del diritto romano. (2). Lib. II, §. 7.

anno 1874

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(3). Vedi Archivio Giuridico diretto, dal prof. FILIPPO SERAFINI - Vol. 13 Conf. POTHIER Trattato delle Pandette Vol. 1 prolegomeni CAPUANO Il diritto privato dei romani Vol. I, parte I, Cap. II §. 2, ove in nota si afferma, essere vissuto Gaio sotto l'imperatore Adriano ann. 117 era volg.

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(4). CICERONE De Republica -Si noti che il verbo possidere indica in tal caso il godimento, per parte degli occupanti, dell'« ager publicus. »

quell'epoca in Roma una privata proprietà delle terre. Finalmente la forma della mancipatio» antichissimo modo d'acquisto del dominio, si adatta naturalmente più alle cose mobili che alle immobili, sicchè sembra, che in antico dovesse applicarsi solo a quelle.

E quando, conquistato da Romolo l' ager romanus » NUMA, il fondatore morale di Roma (1), ne effettuò la divisione (2), non come credette il MONTESQUIEU, tra gli individui in lotti perfettamente uguali, ma, come pensa NIEBHUR, tra famiglie patrizie, tale divisione non distrusse l'idea della proprietà nazionale, ma ne operò, una delegazione. L'« ager publicus » rimase proprietà dello stato e per concessione di questo le famiglie patrizie ne ebbero il solo possesso (3). E come poteva altrimenti avvenire, quando la proprietà immobiliare fu in Roma, come ho sopra accennato, una conseguenza della conquista? Il territorio del nuovo stato, l'« ager romanus » o « publicus » essendosi conquistato da tutta la nazione, togliendolo ai vinti, era logico, che tutta insieme la nazione. doveva esserne, considerata come padrona e non i singoli individui. < La proprietà nazionale sovrana » dice GIRAUD (4) « ciascuno la possedeva come popolo e niuno come individuo. Questa è la proprietà quiritaria per essenza e la sua prima forma è una specie di pubblica comunità e più tardi la proprietà individuale non ne fu che una solenne emanazione... » Ed infatti è Romolo, che ad ogni cento cittadini da il possesso di duecento ingeri, come vuole FESTO Romulus centenis civibus, ducenta iugera tribuit (5), » è Numa che divide il possesso dell'« ager publicus, » è il re Tarquinio Prisco, sola e viva personificazione dello stato, che concede il pubblico territorio ai privati, perchè vi costruiscano case, come ci narra LIVIO (6), « Ab eodem rege (Tarquinio Prisco) et circa forum privatis aedificanda divisa sunt loca, » è soltanto la repub

(1). TITO LIVIO Hist Lib. I, 8 « Qui regno ita potitus, urbem novam, conditam vi et armis, jure eam, legibusque ac moribus de integro parat. »

(2). « Numa primum agros, quos bello Romulus coeperat divisit viritim civibus » CIC. Repub. DIONIGI aggiunge, che li divise fra le trenta curie, assegnandone i confini con « lapides terminales » ed introducendo l'annua festa, che dalle pietre terminali egli chiamò « terminalia » I, 7; II, 74 PLUTARCO, Numa 16.

(3). NIEBHUR, ammettendo che il dominio dello stato fosse un vero cd assoluto diritto di proprietà ne concluse che il possesso e godimento dei patrizii, che pel VICO sarebbe parte della proprietà, che gli stessi avevano dei terreni, fosse una concessione, che loro faceva lo stato e che poteva a piacimento ritirare. Vedi NIEBHUR per quanto concerne l'«ager publicus » Vol. 2, pag. 167-176, Storia di Roma VICO, La scienza nuova.

(4). Recherches sur le droit de proprieté chez les Romains.

(5). FESTO - V Centuriatus ager:

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(6). Hist. Lib. I, 35.

blica quella, che nei primi tempi aveva il diritto di ricuperare le terre assegnate ai cittadini (1), è colla prescrizione, che lo stato ricupera la proprietà dei beni di chi era cassato dal ruolo dei cittadini, è la romana legislazione, che non riconosce nei figli o in altri parenti alcun diritto assoluto ai beni paterni e di famiglia. Infatti fino alla Legge delle XII Tavole la libera disposizione delle proprie sostanze in caso di morte era condizionata al consenso del comune romano, ragunato nei Comizi Curiati (2).

Da quanto ho esposto finora mi è lecito argomentare, che fino a quel tempo in cui lo stato fu l'unico proprietario dei beni immobili e i cittadini ebbero l'usufrutto e l'amministrazione di qualche parte del suolo pubblico, non si può parlare di espropriazione per causa di pubblica utilità, poichè è moralmente e materialmente impossibile espropriare chi non ha proprietà, ma semplice possesso. Per conseguenza in questo periodo di tempo lo stato, come unico. proprietario dei beni immobili, esercitò il suo diritto nel modo il più assoluto senza ledere diritti, che ancora non esistevano.

Ma quando la civiltà in Roma ebbe segnato un sufficiente progresso, quando lo stato, colle sempre nuove distribuzioni e concessioni di terra tolta ai vinti (3), collo stabilire colonie (4), col permettere le occupazioni dell'« ager publicus » (5), nonchè la libera

(1). FRONTINUS, De Agrorum qualitate (Grom. vet. p. 50); AGGENUS URBICUS, ibid. p. 72.

(2). Vedi, GELLIO XV, 27 GAIO II, 103 PADELLETTI Diritto Romano Cap. IV e note, Cap. XVI e note.

Storia del

(3). Vedi in genere tutte le leggi agrarie, in specie poi la Lex Thoria agraria, colla quale il possesso del territorio pubblico, fu cangiato in piena e libera proprietà e la legge di Q. Servilio Rullo, colla quale pure si dette la proprietà ai possessori dell'« ager publicus. » CICERO De lege agraria III, 2,7; II 25-27. 28, 76, 78 - Vedi MACHIAVELLI - Discorsi sopra T. Livio Lib. I, cap. 37, che pure ammette aver avuto per oggetto le leggi agrarie la divisione al popolo dei campi tolti ai nemici.

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(4). Vedi WALTER Storia del diritto romano.

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(5). Si noti, che i primi ad acquistare una proprietà fondiaria privata furono i patrizi, poichè solo i patrizi ebbero, nei primi tempi di Roma, il diritto di occupare l'« ager publicus » come apparisce chiaramente da quanto LIVIO afferma al Lib. II, 48; IV 48, 51, 53; VI 5, 14, 37, 39 DIONYS, VIII 14. 70, 73; X 32. 37 e come hanno ritenuto VICO La scienza nuova - HEYNE Leges agrariae pestiferae et execrabiles 1793 (Vedi Opuscula accademica Vol. 4) di cui dice NIEBHUR, che restitui alla storia il concetto romano delle leges agrariae e ispirò il suo sistema intorno all'«ager publicus» ed alle leggi agrarie (V. notizie su NIEBHUR) il NIEBHUR - Storia di Roma il BEAUFORT, MARIO PAGANO (Saggi politici - Saggio V, cap. 20) il WALTER Storia del diritto romano il DUNI Del governo civile di Roma il MEYER e tanti altri, sebbene però MOMMSEN - Storia di Roma - il BECHER, il LANGE, l' HUSCHKE ed altri lo abbiano negato, perchè essendo necessaria per coltivare le campagne una gran quantità di braccia e di danaro si dovette permettere anche ai ricchi plebei di acquistar parte dell' ager

(V.`notizie

disposizione delle proprie sostanze in caso di morte, gran passo questo, dice MOMMSEN, per introdurre la piena libertà individuale nel diritto di proprietà, ed inoltre colle compre volontarie del privato territorio, per distribuirlo alla plebe (1), ebbe secondato il naturale passaggio della proprietà nazionale e collettiva dei beni immobili nella proprietà privata e individuale ed i Romani, alla nozione della proprietà privata sui beni mobili, cioè sugli schiavi e sul bestiame, familia pecuniaque, (2) aggiunsero la conoscenza della proprietà privata, sugli immobili, appoggiandosi in tal modo tutta la proprietà sulla formale e tacita trasmissione, che la comune romana fece ai privati, allora penso, che si dovette riconoscere da tutti i cittadini il diritto di espropriazione per causa di pubblica utilità. Poichè infatti al principio fondamentale della espropriazione, noto, a mio avviso, a tutti gli uomini fin dal momento in cui fu costituita da essi la società, si aggiungeva per i Romani il principio di socialità dominante la costituzione romana, il concetto che essi avevano dello Stato e quella idea, che sempre, anche quando la proprietà individuale fu radicata, restò presso i Romani di far provenire dalla repubblica o dall'imperatore quanto possedevano.

Del resto, sul primo nascere della proprietà privata immobiliare, il diritto di espropriazione per causa di pubblica utilità non si dovette praticare e ciò non tanto, perchè in quei primi tempi della repubblica non ve ne dovette essere, come più innanzi dimo

publicus.» Ma apparisce il contrario dalle sopra accennate testimonianze degli antichi autori. Ne dai nostri avversari si deve opporre, che i patrizi pretendevano di aver soli questo diritto e che perciò non lo volevano concedere alla plebe; poichè l'impero era allora nelle mani dei patrizi ed essi soli avevano e difendevano il diritto di poter occupare l'« ager publicus. » Soltanto dopo le leggi agrarie di Spurio Cassio, tribuno nel 267 e di Licinio Stolone negli anni di Roma 377, fu concesso finalmente il diritto alla plebe di occupare l'«ager publicus,» sebbene tal diritto le spettasse anche avanti, avendo insieme ai patrizi acquistate alla repubblica le terre tolte ai nemici. Vedi LIVIO II 24, IV 49 DIONYS X 36, 37. Cosi anche i plebei cominciarono ad avere una proprietà fondiaria privata. (1). AURELIUS VICTOR De vir. illust. Saturninus CICERO De lege agraria I 1-2, 27, 72 - DIONE CASSIO XLII, 54 - APPIANO De bello civ. II 94 SVETONIUS Caesar, 38.

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(2). MOMMSEN - Storia Romana, Lib. I, Cap. XI. « La proprietà è sempre fondata direttamente o indirettamente sull' assegnazione fatta dallo stato di cose singole a singoli cittadini e precisamente se trattasi di proprietà fondiaria, la quale deriva dalla attribuzione di determinate porzioni delle terre comunali ai singoli cittadini. Anzi, siccome la terra aratoria presso i Romani continuò ad essere per lungo tempo coltivata in comune e fu divisa soltanto in un epoca proporzionalmente più recente, così la nozione della proprietà privata non si fermò sui beni immobili, ma sibbene sullo stato degli schiavi e del bestiame... » CICERO - De Repub. 2, 3, 14.

strerò, la necessità, quanto perchè lo Stato, restando ancora proprietario di buona parte del terreno pubblico « ager publicus » nè per sè valendosi del medesimo, non aveva ragione di togliere quello, che gli individui avevano acquistato. Ed infatti la proprietà fondiaria privata si conservò per lungo tempo, come ci affermano gli scrittori, limitatissima di fronte alla proprietà pubblica « Non ita Romuli-praescriptum et intonsi Catonis auspiciis veierumque norprivatus illis census erat brevis - commune magnum (1). » In seguito però, vivendo insieme ed ampliandosi la proprietà privata e la pubblica, il diritto di espropriazione dovette essere esercitato dalla Repubblica sulle proprietà private dei cittadini, poichè, come ho già avanti dimostrato, non si può chiamare diritto di espropriazione quello di ricuperare il pubblico terreno per causa di pubblica utilità, diritto, che sempre esercitò la Repubblica, finchè ebbe una esclusiva proprietà territoriale.

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Quindi è, che a me sembra avere sbagliato il MEYER (2) a riconoscere fino da SERVIO TULLIO, eppoi nella legge agraria di SPURIO CASSIO, nella legge ICILIA - De Aventino publicando - e nella legge di C. LICINIO STOLONE, che vietava ad un cittadino di possedere più di 500 iugeri di terre pubbliche (3), il primo principio del diritto di espropriazione « apparent initia juris expropriationis (4). » Infatti in tutti questi casi la Repubblica non altro fece, che assegnare alla plebe quei terreni di assoluta proprietà pubblica, i quali o erano stati precariamente occupati dai patrizi (che, dopo cacciati i Re, si credevano a torto i soli padroni della repubblica) ma che non erano ancora caduti nella loro proprietà privata, come ad es: quelli della legge di LICINIO STOLONE e quelli contemplati dalla legge ICILIA De Aventino publicando (5); oppure non erano stati ancora occupati nè dai patrizi, nè dai plebei, per essere stati tolti

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(1). HORAT. Carm. Lib. II, 12 - Vedi anche PLINIO, Histor. natur. XVIII 6 e COLUMELLA De re rustica I, 3.

(2). GEORGIUS MEYER De jure expropriationis in imperio romano Dissertatio inauguralis

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Marburg 1857.

(3). NIEBHUR e con esso i più celebri scrittori, come MOMMSEN, LANGE, WALTER, GOETTLING opinarono e con ragione, che questa legge si riferisce al<< ager publicus. » Infatti perchè questa legge doveva togliere ai loro padroni i fondi di proprietà privata, quando tutti i tumulti fatti dal popolo per la questione agraria si erano sempre riferiti all'« ager publicus ?» Inoltre LIVIO dice che Licinio Stolone vietò « ne quis plus quingenta agri POSSIDERET Lib. IV, 35). Ora il verbo possidere significa il diritto che esercitò colui che occupò l'« ager publicus. »

(4). MEYER loc. cit. Cap. 3, pag. 17-18.

(5). LIVIO III, 31, 32, VI 35, 37; DIONYS X 31, 32; APPIANO De bello civili I 8 PLUTARCH. Tiberius Gracchus c. 8, Cammillus c. 39 VELLEIUS PATERCULUS II, 6.

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