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Stabilito adunque, che il titolo del diritto di espropriazione in Roma fu in principio la pubblica necessità, poi la utilità pubblica, e che in questo diritto furono compresi, nei tempi dell'impero in modo speciale, gli abbellimenti e gli ornamenti delle città nonchè i diletti ed i piaceri, in modo però da non abusarne, mi preme avvertire, che a me sembra lontana dal vero la opinione di quegli scrittori, che affermano essere stati nei primi tempi la conquista, di poi la confisca i soli titoli del diritto di espropriazione in Roma.

Infatti la conquista non ad altro approdava, che a costituire l' « ager publicus » ossia a ridurre le terre dei vinti sotto la diretta e immediata proprietà dello stato « Immobilia non cedere militibus sed reipublicae (1). » Ma ho già dimostrato, che non si può trattare di espropriazione, quando lo stato contro i privati possessori rivendica i suoi diritti. E per questo che il diritto di espropriazione per causa di pubblica utilità cade soltanto sopra quei beni, che sono omai entrati a far parte della proprietà privata del cittadino Ro

mano.

Quanto poi alla confisca dirò essere vero, che questo mezzo di espropriazione fu usato durante le guerre civili contro gli alleati della avversa fazione. Infatti dopo la vittoria di Silla si vide per la prima volta questa specie di espropriazione dei beni privati non giustificata, come si usò per lo avanti, dal pubblico giudizio o dalla sentenza del giudice, ma soltanto da un' editto arbitario del tiranno (2). Tutto questo è vero, ma però a mio avviso prova soltanto l'esistenza di un' infeliçe quanto eccezionale periodo di tempo, in cui alle leggi furono anteposte le rappresaglie, gli odî di parte, le violenze, tutte insomma le umane passioni che giammai potranno essere il titolo di un diritto. Del resto mi preme osservare, che anche queste espropriazioni forzate furono imposte sotto il pretesto del pubblico bene e colla promessa di un compenso, che non fu mai pagato, es

(1). HEINECCIUS -Lib. II Tit. I § 348 Elementa juris civili. - Conf. tr. 20 $1 Dig. XLIX De captivis et postliminio XV; fr. 13 Dig. XLVIII Ad legem Juliam peculatus XIII.

(2). Vedi anche MOMMSEN, LIDDEL

Sat. II VIRGILIUS, Egloga I.

Storia di Roma HORATIUS Lib. II

sendo stato vôto di danaro l' erario. Così ad es: avvenne negli anni 711 di Roma, quando dopo la battaglia di Filippi si dovettero ricompensare oltre a 170,000 soldati co'beni tolti ai privati (1). Ond'è che se queste espropriazioni furono fatte, lo furono non sotto il titolo di una confisca, ma sotto quello della pubblica utilità: nè poteva farsi altrimenti anche da un tiranno.

CAPITOLO III.

Dei soggetti esproprianti.

Il principio al quale dobbiamo attenerci è il seguente; cioè che in Roma per utilità pubblica si intese quella dello stato in generale e che perciò lo stato fu il solo e legale espropriante.

Ciò non toglie che le provincie, i municipi, le colonie, i pagi, i vici, i consorzi idraulici ed in genere tutte le corporazioni organizzate non potessero espropriare per delegazione dello stato nel loro diretto interesse, poichè in fine i vici, i pagi, le colonie, i municipi, le provincie, riunite insieme, formano lo stato e ciò che è fatto nell'interesse delle parti giova anche al tutto. Si aggiunga che le provincie, i municipi ecc.. dovettero più volte intraprendere lavori pubblici di grande importanza, come acquedotti, strade ecc., lavori che naturalmente esigevano espropriazioni di terre (2). Della verità di questa asserzione ci possiamo persuadere quando si esamini il decreto venafrano (BRUNS, Fontes ecc. Cap. VI, I, 36-40) nel quale si ha su tale proposito il tipo della legislazione dei municipi, delle colonie, dei pagi ecc., che agivano medesimamente dello stato (3).

(1). Vedi APPIANO, op. cit. V, 5.

2

2). Conf. FRESQUET Mais faut-il allor plus loin, et les personnes morales, dont l'aggregation formait l'Etat romain, pouvaient-elles y avoir recours; ainsi les villes, le municipes, les pagi, les vici, les corporation organistes? Pour les municipes et les pagi, le doute ne nous semble pas possible, car il avaient à faire des travaux publics importans, comme des acqueducs, des gre niers pour réunir les denrées dont la prestation était faite en nature, des routes, dont l'entrectien était surveillé par des magistratus spéciaux, puisque nous lisons dans Siculus Flaccus : « Vicinales autem viae, de publicis quae divertuntur in agros, aliter muniuntur per pagos, idest per magistros pagorum, qui operas a possessoribus ad eas tuendas exigere soliti sunt. » Loc. cit. pag. 102.

(3). « Le colonie » dice CAPUANO nella sua storia più volte citata (1 Epoca Lib. I Cap. IX) oltre alle leggi ed alle istituzioni dello Stato romano, pare che avessero diritto di stanziarne da sè nei propri Senati e ciò secondo alcuni scrittori. Così CICERONE nella orazione Pro Sextio sfidava il suo avversario a citare i decreti del Decurionato di Capua « Recita quaeso, quid decreverint

Del resto che le colonie ed i municipi ecc.. potessero, almeno dopo la legge italica e la ulteriore sua estensione alle provincie, espropriare per delegazione dello stato e nel loro interesse diretto, si ha una prova nel Cap. XCIX della Lex Coloniae Genetivae, già altrove citato, ove l'espropriazione è nettamente prescritta. « Quae aquae publicae in oppido colon. Gen, adducentur, II vir (1) qui tum erunt, ad decuriones cum duae partes aderunt, referto per quos agros aquam ducere liceat. Qua pars maior decurion. qui tunc aderunt duci decreverint, dum ne per it (d) aedificium, quot (d) non eius rei causa factum sit, aqua ducatur, per eos agros aquam ducere ius potestasque esto neve quis facito, quominus ita ducatur (2). »

Altra prova si ha dal fatto di essere talvolta venuto Cesare col proprio (s) (p) in soccorso alle finanze municipali insufficienti all'Impresa. In una lapide di Jader in Dalmazia si legge:

Imp. Nerva. Traian (us)... pont. max. tr(ib). (pot...) aquaeductum. colon (is). (s) (p) (perfecit.)

In. quod. ante. impen (derant.) (jussu).

Sacratissimi. princi (pis) (hs) (3).

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Un'altra iscrizione prova, che sovente per simili lavori i municipi e le colonie fecero le spese del proprio, compreso il pagamento ai privati delle espropriazioni, che necessariamente dovettero farsi per attuare simili imprese pubbliche.

Q. Vibuleius. L. F.
L. Statius. Sal. F.

Capuae decuriones. » Altri affermano che le colonie, formando parte dello Stato romano, non avevano altre leggi ed istituzioni che quelle di Roma, siccome avvisa Gellio, essendo esse, secondo il suo modo di esprimersi, « altrettante piccole immagini e copie di Roma. » Alcuni distinguono fra colonie romane e latine. Il vero è che tutte, rispetto al loro organismo, furono conformi e si esemplarono su quello dello Stato romano. Lo stesso dicasi dei Municipi, come afferma anche il Sigonio. « Quemadmodum in coloniis, eodem modo in Municipiis quamdam reipublicae speciem atque imaginem fuisse animadvertimus..... Nam si ordines quaeramus decuriones, equites et plebem inveniemus; si consilia publica in Senatum et populum; si magistratus et sacerdotes in dictatorem, II viros, censores, aediles et questores et flamines municipiorum incidemus. » Questo anche si ritiene dalla maggior parte dei Romanisti moderni, i quali credono che la somiglianza fra le istituzioni delle colonie e dei Municipi e quelle dei Romani non sia opera del caso, ma proposito delle colonie e dei municipi stessi, i quali cercavano di esemplarsi del tutto sopra Roma. » Vedi anche WALTER n. 199.

(1). Vedi MомMSEN Corpus inscriptionum latinarum - Index rerum IV, res municipalis.

(2). Vedi BRUNS

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Fontes juris romani antiqui -Edit. IV, pag. 120. Anche vedi l'Art. 2 linea 6-8 del decreto venafrano, che sembra ripetere press' a poco lo stesso.

(3). MOMMSEN Corpus inscriptionum... III 2909.

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1 privati cittadini di loro diritto non ebbero mai la facoltà di costringere un terzo alla cessione della sua proprietà. E a tale proposito vedansi le già ricordate leggi tutte spettanti al diritto privato, (Const. 12 Cod. II Tit. XX; Const. 11 Cod. IV Tit. XXXVIII; Const. 13, 14 eod; Const. 3 in fin. Cod. II Tit. III; Const. 1 Cod. IV Tit. XLIV; fr. 2 Dig. XXXVII Tit. XII; fr. 70 Dig. VI Tit. I; fr. 9 Dig. XXV Tit. II) le quali approdano alla medesima conclusione, che nessuno può essere costretto da un privato cittadino a cedere suo malgrado i propri beni. È vero, che si hanno monumenti che ricordano, come talvolta i magistrati municipali in attestato di gratitudine per gli onori ricevuti dai concittadini costruirono o risarcirono acquedotti col proprio danaro (2), come altre volte furono i patroni della città (3) ed anche i semplici cittadini non rivestiti di dignità municipali (4); ma in tutti questi casi, essi non poterono comandare le necessarie espropriazioni, se non in forza di un decreto a tale scopo emanato dalle autorità cittadine.

(1). RITSCHL LIII, 3; Corpus I, 1141 Preneste fra le rovine delle terme.

Questa iscrizione fu trovata in

(2). Vedi il marmo di Capena, GALLETTI, Capena, 23; la lapide di Mellaria in Spagna, Corp. II, 2343; la lapide di Vesunae (Perigueux) ORELLI 4019; la ladide di Porto Torres (Colonia Turritana HENZEN 7080; la lapide reatina, Corp. III, 3116.

(3). Vedi il marmo dell' isola Arba sulle coste della Dalmazia, Corp. III, 3116; l'altro di Pola, HENZEN 6632; l'altro di Cimiez, HENZEN 6633; l' altro d' Interamna al Liri, MOMMSEN 1, 4618.

(4). Vedi il marmo veronese scoperto nel 1821, BORGHESI, 6, 197 ; Corp. V, 3402; la lapide di Alby, ORELLI 199; la lapide di Hugo, Santesteban del Puerto, nella Tarragonese, Corp. II, 3240; la lapide di Chieti; la lapide trovata nelle rovine di Castulo, Corp. II, 3280; la lapide di Igabrum, Cabra, Corpus II, 1614. Vedi TACITO, Annali Lib. III, 72.

Nè il diritto che è concesso al privato di tagliare gli alberi sporgenti sopra il suo fondo e di passare per il fondo altrui, o per raccogliere i frutti ivi caduti dal suo albero (1), o per recarsi al sepolcro, onde compiervi i riti religiosi (2), o portarsi al proprio fondo non essendovi strada che vi conduca. (3), nè il diritto in forza del quale colui, che ha per due anni coltivato un fondo stato abbandonato dal proprietario, non può essere mai obbligato a restituirlo, diventandone egli stesso proprietario (4) ed altri molti non sono casi di vera espropriazione, perchè o non importano spossessamento materiale della proprietà, come nel caso del passaggio pel fondo altrui, o perchè si presume, come nel caso del fondo deserto, che il vero proprietario col suo silenzio, protratto per ben due anni, abbia tacitamente acconsentito a che la sua proprietà passasse in altri senza compenso alcuno. « Nam si biennio fuerit tempus emensum omnis possessionis et dominii carebit iure, qui siluit (5), » essendo di sommo interesse allo stato, che i fondi fossero coltivati in quel tempo in cui l'agricoltura erasi abbandonata (6).

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Della espropriazione dei beni mobili.

Cominciando dai beni mobili, dirò, che presso i Romani potevano anche questi essere oggetto del diritto di espropriazione per causa di pubblica utilità. Anzi, come ho già notato, la espropriazione dei beni mobili fu anteriore a quella dei beni immobili, per

(1). Dig. XLIII De arboribus caedendis XXVII; Dig, XLIII De glande legenda XXVIII.

(2). Dig. XI De religiosis et funerum sumtibus VII in specie il fr. 14 prin. (3). Conf. Art. 593 Cod. civ. Il diritto di passaggio necessario sul fondo altrui, onde recarsi al nostro è un concetto cosi naturale, che vi deve essere stato anche nel diritto romano, sebbene non vi sia un testo che ce ne dia la assoluta certezza. Vedi in proposito la bella monografia del BRUGI (Archivio giuridico, Vol, 25) intorno all' asserita mancanza nel diritto classico di principî relativi al passo necessario.

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(4). Const. 8 Cod. XI De omni agro deserto LVIII.

(5). Loc. cit.

(6). Conf. quanto ci dice SVETONIO al Cap. VIII ove parla di Vespasiano: Deformis urbis veteribus incendiis ac ruinis erat: vacuas areas occupare et aedificare si possessores cessarent, cuicumque permisit. » Conf. fr. 7 Dig. De officio praesidis Lib, I Tit. XVIII, e Const. 4 Cod. De jure republicae Lib. XI Tit. XXIX.

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