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praecurrat acie columnarum, cuius decus tantum est, ut privata iuste negligeretur paullisper utilitas. Sed ne census sui quisquam intercepta lucra deploret, sed e contrario cum pulchritudine civitatis etiam fortunas suas auctas esse laetetur, pro loco, quod quisque possiderat superaedificandi licentiam habeat. Nam in loco privati aedificii, quod in usum publicum translatum est, occupationem vetustae basilicae iubemus succedere, ut contractus quidam et permutatio facta videatur, quum dominus, qui suum dederat civitati, pro eo habiturus sit ex publico, remota omni formidine quod incusso robore et ipse habere et, quibus velit, tradere, habebit liberam facultatem. » Dat. IV Kal. Nov. Constantinopoli Honorio IX et Theodesio V. A. A. Coss.. (Anno 412).

Un'altra costituzione dell' imperatore Teodosio ad Antonio prefetto della città concede ai privati proprietari delle terre occupate dalle mura e dalle torri di Costantinopoli l'uso delle torri medesime, coll' esenzione dell' obbligo di contribuire alle necessarie riparazioni. (Const. 51 Cod. Theod. XV eod. tit.); (Const. 18 Cod. Iust. XIII eod. tit. XII) « Turres novi muri, qui ad munitionem splendidissimae urbis extructus est, completo opere, praecipimus eorum usui deputare, per quorum terras idem murus studio ac. provisione tuae magnitudinis ex nostro serenitatis arbitrio celebrantur; eadem lege in perpetuum et conditione servanda ut annis singulis hi vel ad quorum iura terrulae demigraverint proprio sumptu earum instaurationem sibimet intelligant procurandam earumque usu publico beneficio potientes, curam reparationis ac sollicitudinem ad se non ambigant pertinere. Ita enim et splendor operis et civitatis munitio cum privatorum usu et utilitate servabitur. » Dat. prid. Non. April. Lucio V. C. Cos. (Ann. 413).

Ancora un'altra costituzione degli imperatori Teodosio e Valentiniano a C. Costantino Pref. della città, stabilisce, che ad alcuni proprietari espropriati delle loro cose ed officine per causa di pubblica utilità, cioè per ampliare delle exedrae » ossia delle pubbliche sale da conferenze, attigue in parte alle scuole pubbliche di Costantinopoli, venga dato un compenso in danaro « pro iisdem de publico pretium iubebit accipere,» (Const. 53 Cod. Theod. XV eod. tit.) Imp. Theodosius et Valentinianus C. Costantino Pref. U.. Exedras, quae septentrionali videntur adhaerere porticui, in quibus tantum amplitudinis et decoris esse monstratur ut publicis commodis possint capacitatis ac pulchritudinis suae admiratione sufficere, supradictorum consessibus deputabit. Eeas vero quae tam orientali quam occidentali latere copulantur, quas nulla a platea aditus atque egressus patens pervias facit, veterum usibus propinarum iubebit adscribi. His tamen ipsis, quae humiliores aliquanto atque angu

stiores putantur vicinarum spatia cellularum ex utriusque lateris portione oportet adiungi, ne quid aut ministris eorundem locorum desit aut populis. Sane, si qui memoratas cellulas probabuntur vel imperatoria largitate vel quacunque alia donatione vel emtione legitima possidere, eos magnificentia tua competens pro iisdem de publico pretium iubebit accipere. » Dat. III Kal. Mart. Constantinopoli D. IV Theodosio A. XI et Valentiniano C. Coss. (Anno 425). Inoltre vi è una costituzione dell' imperatore Anastasio a Marconiano Prefetto del Pretorio, nella quale si ordina, che in circostanze di assoluta nesessità, « urgente necessitate » « si necessitas exigat » « si inevitabilis quaedam causa id fieri exigat » tutti, per la parte che a ciascuno spetta, « adeoque namque huiusmodi onera cunctis, pro qua singulos portione contigerit, volumus irrogari » possono essere costretti, quando si intimano gli acquisti « comparatione indicuntur » dal preside della provincia, a vendere a giusto prezzo a chi ne ha bisogno « eas indigentibus vendant » quella quantità di frumento, olio ed altri generi che è superiore al loro particolare uso « nullus vero cogatur vendere omne id, quod sui usus gratia comparaverit, sud superflua tantum. » Da tale peso nessuno può andare esente, neppure la sacra casa dell' imperatore e dell' imperatrice « ab iisdem comparationibus nec sacratissimam nostrae pietatis, nec serenissimae nostrae coniugis domum patiamur subtrahere. » Però si comanda, che giammai fuori di una grande necessità e senza l'ordine del principe si possa intimare la compra. ai possidenti nulla unquam citra ingentem necessitatem iussionemque principis possessoribus coemptio indicatur» ma quando la compra è ordinata dal principe, ogniuno vi è obbligato in proporzione degli iugeri di terra e dei capi che possiede « ut cum ex mandato principis coemptio indicitur unus quisque (1) pro rata iugorum et capitum, quae possiḍet, coemptioni subiiciatur, nemine excepto. » A questa legge fa eccezione il compartimento della Tracia, non pagandosi in essa i tributi fiscali per intero, essendo i coloni oppressi dalle scorrerie dei barbari, nè essendo bastevole il raccolto dei grani ad alimentare i militi ivi stanziati. Però ogni volta che senza tumulto e danno fare si possa, è comandata anche in queste provincie la esazione in oro ed in generi. Il prezzo del frumento in queste compre-vendite forzate doveva essere quello dei mercati « frumentum autem praebeant non majore pretio, quam in foro distrahatur.» (Cod. X Ut nemini liceat in emptione specierum se excusare XXVII) Const. Dat. III Kalend. August. Constantinopoli, Olybrio V.G. Cons. 494.

(1). Νου. 17 in fin. Πρὸς τὴν ἀναλογίαν τῶν ζευγών ἤ του ζευγοκεφαλών.

Questa costituzione, come si vede, non solo prova, che il diritto di espropriazione per causa di utilità pubblica esisteva, ma che aveva per oggetto anche le cose mobili. Del resto se in certo modo la costituzione in parola si riconnette al diritto di espropriazione, mi preme notare, che essa trova però la sua causa diretta nell' ordine pubblico, che deve essere mantenuto in modo speciale in quelle tristi circostanze, nelle quali vi è la facile presunzione, che possa essere turbato. Infatti scopo ultimo di questa costituzione è l' impedire che durante le carestie, le guerre od altre pubbliche sciagure, il prezzo del frumento, dell' olio e degli altri generi di prima necessità venga dai mercanti alzato in tal modo da renderne impossibile alla bassa gente la compra e così scongiurare quei tumulti ai quali necessariamente sarebbe indotta una plebe affamata. Perciò adunque lo spirito animatore della costituzione in parola è essenzialmente quello di mantenere l'ordine pubblico nei casi di pubbliche calamità; cosa però che indirettamente, come ho detto più sopra, si riconnette al diritto, che ha lo Stato di espropriare o limitare, in certi determinati casi, il libero esercizio della privata proprietà (1).

Il diritto di espropriazione è provato anche dalla Nov. VII nella quale Giustiniano assoggetta al medesimo diritto anche i fondi degli ecclesiastici (Cap. II. § 1) « Permittimus igitur imperatori, ut, si quaedam in commune utilis et ad reipublicae spectans necessitas adsit, quaeque possessionem eiusdem rei immobilis, qualem proposuimus exigat, eam a sanctissimis ecclesiis reliquisque sacris domibus et collegiis illi accipere liceat, ut tamen semper sacrae domus indemnes servetur et ab accipiente res aequalis vel major, quam data est, vicissim detur. »

Finalmente la stessa fraseologia giuridica ci appresta una prova dell' esistenza dell' istituto in parola. Nel Corpus iuris, nelle antiche iscrizioni romane ed anche negli scritti di molti autori latini troviamo ricordato un « jus publicandi » e molte volte usata la parola « publicatio» ed il verbo « publicare. » Or se tutto ciò non vuol dire diritto di espropriazione espropriazione espro

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priare per causa di pubblica utilità, non si potrebbe davvero intendere molte leggi e molte iscrizioni (2). Infatti come spiegare il

(1). Vedi TACITUS Annales Lib. II cap. LXXXVII « Saevitiam annonae incusante plebe (Tiberius) STATUIT FRUMENTO PRETIUM quod emptor penderet, binosque nummos se additurum negotiatoribus in singulos modios. »

(1). Conf. GARBOULEAU Du domaine public - pag. 126 nota e pag. 132. << Nous disons que la publicatio dans ce texte (fr. 33 Dig. Locati conducti XIX, 2) est considérée comme cas fortuit ou de force majeure, et doit par

....

frammento seguente? Fr. 2 § 21 Dig. XLIII Nequid in loco publico vel itinere fiat VIII « Viae autem publicae solum publicum est, relictum ad directum certis finibus latitudinis ad eo QUI JUS PUBLICANDI HABUIT, ut ea publice iretur. » Come intendere ancora il fram. 33 Dig. XIX Locati conducti II? « Si fundus quem mihi locaveris PUBLICATUS EST, teneri te actione ex conducto, ut mihi frui liceat, quamvis per te non stet, quominus id praestes.... nam etsi vendideris mihi fundum, isque prius, quam vacuus traderetur, PUBLICATUS FUERIT, tenearis ex emto (1). »

Con tutto quello che io ho fino ad ora esposto, mi sembra di aver provato l'esistenza in Roma del diritto di espropriazione per causa di utilità pubblica. Infatti il concetto che i Romani ebbero dello stato, il grado elevato di civiltà del popolo romano, il più celebre.costruttore dell' antico mondo, gli scritti degli autori latini e la legislazione romana ci conducono a questo. Mi sia lecito però di ripetere, che in Roma non fu praticata la espropriazione dei beni immobili fino al momento in cui la proprietà fondiaria privata, nata e cresciuta accanto alla pubblica, non ebbe preso un certo sviluppo e Roma avendo esteso le sue conquiste ed aumentato il numero dei suoi cittadini, sentì il bisogno di cominciare le maravigliose opere pubbliche, delle quali ho fatto parola. E questo ci spiega perchè la tradizione, la storia e le leggi non ci diano su primondi dello stato romano neppure un cenno della esistenza di questo istituto. Inoltre quando in sèguito s' incominciò ad esercitare il diritto di espropriazione per causa di pubblica utilità, non è a credere, come a torto hanno opinato diversi scrittori, che, nelle molte e successive rivendicazioni dell' « ager publicus» fatte dallo stato romano, si debbano vedere altrettanti esempi o casi speciali di espropriazione for

conséquent être traduite, par le mot expropriation..... Ou bien on suppose que l'Etat pouvait contraindre le propriétaire à vendre; que le proprietaire à résisté et qu'il y a eu par suite attribution au fisc contre le gré du proprietaire, et sans idée defavorable à celui-ici. Comment traduire cela, si ce n'est par ce seul mot expropriation? «<

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(1). Anche la seguente iscrizione si potrebbe interpretare a favore della mia opinione ID. QUOD. INTRA. CIPPOS | AD. CAMPO. VERSUS. SOLI | EST. CAES. AuGUST. REDEMTUM | A. PRIVATO. PUBLICAVIT ROMAE. ORELLI Inscriptionum latinarum amplissima collectio - Lib. II Cap. XII Loca publica N. 3259. Infatti si potrebbe tradurre espropriandone i privati « redemtum a privato lo fece di pubblica ragione « publicavit. » Nè a me sembra potersi interpretare nel senso di averlo reso di pubblica ragione togliendolo dal suo patrimonio privato, poichè allora invece di « redemtum a privato » si sarebbe letto e suo privato aere, e suo patrimonio publicavit oppure redemtum a suo privato aere patrimonio publicavit. Questa iscrizione del resto lascia aperto l'adito anche ad opposte interpretazioni.

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zata, poichè non vi ha espropriazione quando lo stato rivendica diritti, che a lui solo competono.

Finalmente mi piace accennare, che anche dalle prove finora da me esposte, apparisce essersi dovuta praticare in Roma la espropriazione dei beni mobili molto prima, com'è naturale, di quella dei beni immobili. Infatti la proprietà privata mobiliare fu conosciuta presso i Romani, come ho detto più sopra, molto avanti della fondiaria e molteplici esempi, sopracitati, in special modo di schiavi, a'quali si dette la libertà, ne fanno pienissima fede. E con questo, passo al secondo argomento.

CAPITOLO II.

Del titolo del diritto di espropriazione.

Come apparisce anche dalle fonti giuridiche, i Romani ebbero gli stessi principii, che noi oggi abbiamo, rispetto alla inviolabilità della proprietà privata. Infatti se presso di noi lo statuto fondamentale del Regno all' Art. 29 stabilisce per regola generale che « tutte le proprietá, senza alcuna eccezione sono inviolabili» così presso i Romani un numero non indifferente di leggi approdava alla medesima conclusione, che cioè, in omaggio alla inviolabilità della proprietà, nessuno per regola poteva essere costretto a cedere in qualsiasi modo in tutto od in parte i proprii beni. Così disponevano anche le già esaminate leggi, come ad es: la Const. 12 Cod. II Tit. XX; Const. 13 e 14 eod. loc; Const. 3 in fin. Cod. II Tit. III ; Const. 1 Cod. IV Tit. XLIV ed il fr. 2 Dig. XXXVII Tit. XII; fr. 70 Dig. VI Tit. I; fr. 9 Dig. XXV Tit. II.

Però se questa, come dice l'AcCURSIO, era la regola « regulariter hoc accipe » non mancavano però delle eccezioni. I Romani infatti si accorsero che la proprietà individuale non poteva sempre ed in ogni caso essere un diritto assoluto ed inviolabile, ma che talvolta abbisognava che si restringesse, tal altra che si perdesse ancora. Così nacquero le limitazioni della proprietà e la espropriazione da prima per causa di necessità pubblica ed in seguito, forse per sfuggire alle troppo rigorose interpretazioni, anche per causa di pubblica utilità. Laonde il diritto di espropriazione in Roma ebbe per titolo primieramente la necessità, dipoi la utilità pubblica.

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