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S. VIII.

Un possessor di ricchezze solitarie è in uno stato puramente passivo. Arbitro dei mezzi di acquistar beni di ogni genere, egli vive ordinariamente in un torpore che lo tiene indeciso nella scelta dell'acquisto, e lo tien sospeso nel sentimento del possesso. La facilità di ottenere gli rende insipido il gusto di avere ottenuto. Le sue facoltà stupidite, le molle dell'anima spossate, l'energia dello spirito distratta non gli permettono di godere il soave progresso di un'esistenza operosa. Egli ha con se il cadavere di una potenza, che riducendosi ad atto lo priva dell' attual maniera di esistere senza renderJo più contento della sua condizione: questa potenza è con lui, ma non in lui. Egli non è dunque felice (1).

(1) Non possidentem multa vocaveris

Recte beatum; rectius occupat

Nomen beati, qui Deorum

Muneribus sapienter uti,

Duramque callet pauperiem pati.

Horat. Od. 9. Lib. IV.

S. IX.

Un di ricchezze diffusive se conpossessor sidera queste come mezzi del suo ben essere e non come termini della sua perfezione, e se fortifica co' sostegni del ben particolare la vacillante macchina del ben comune, egli è già nel sommo grado di approssimazione verso l'estremo termine della carriera perfettibile. Una folla di virtù sociali già gli tende la mano; un treno di consolanti affezioni lo siegue dappertutto. La beneficenza lo rende contento di se stesso, la gratitudine lo rende contento degli altri. La vernice del piacere abbellisce i momenti della sua vita, e la sua vita anima gli oggetti che lo circondano. Egli insomma mettendo in azione le inerti ricchezze ritrova in quelle i mezzi più sicuri di proteggere l'innocenza, di sollevar la virtù, di soccorrere la miseria, di compensare il merito, e quindi riducendo ad atto la potenza de' segui rappresentativi ch' egli possiede si gode il prospero stato di un'esistenza operosa. L'opulento perciò può ritrovar la feli

cità nella benefica circolazione de' suoi tesori.

S. X.

A torto dunque lo spirito filosofico ci vien tanto declamando l'abborrimento delle ricchezze, e forse con men ragione l'entusiasmo politico va tanto esagerando le funeste cicatrici della disparità delle fortune, quando il vizio non è già nel possesso de' beni o de' segni che li rappresentano, ma nella rapacità della man che gli acquista o nella tenacità della man che gli occupa. Si additano intiere popolazioni oppresse dalle sciagure, innocenti famiglie divorate dalla fame, poveri anelanti sotto il peso della miseria, per dar luogo al fasto, all' orgoglio, all'avidità della corrosiva opulenza. Tutto può succedere quando si perverte l'uso dei mezzi indifferenti, che possono condurre ad un buon fine. Gli eroici slanci delle virtù più sublimi possono degenerare ne' vizj più atroci; ma non perciò il biasimo dovuto a questi può defraudare quelli della giusta lode. Gli acquisti eccessivi producono, è ve

ro, la disparità delle fortune, ed all'estrema disparità delle fortune per lo più vien dietro la miseria de' popoli; ma questa risulta costantemente dall' acquisto vizioso o dall' ingiusta detenzione delle ricchezze, non già dall' innocente metodo di ammassarle o di possederle. Colui che scava la tomba ad un gran volume di beni superflui, de' quali priva se stesso e defrauda i suoi simili, è un mostro di avarizia che meriterebbe esser seppellito col suo tesoro ; e se il colosso della sua privata fortuna ha per base la pubblica indigenza, il popolo che lo vede e lo soffre è il più misero della terra. Ma quel che per le vie legittime di un'esistenza operosa esercita le sue forze ed i suoi talenti per acquistare a se stesso gli agi e le delizie della vita, e per somministare agli altri i sussidj contro la morte, ben lungi di rendersi oggetto di abbominazione diviene il genio tutelare di tutto un popolo, che benedice nella di lui fortuna il perenne deposito del ben comune (1), perchè se la liberalità è una

(1) Cumberland, des Loix naturel, cap. VII §. 5.

virtù, i suoi punti di appoggio son la provvidenza che acquista e la prudenza che conserva; detestabile è dunque l'abuso, l'uso legittimo delle ricchezze (1).

S. XI.

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Tutti gli uomini animati dal generale istinto di ben esistere corrono avidamente all' esca dell'utile (2), ma non tutti hanno l'istessa agilità per raggiungerlo opportunamente. Si detesta l'eccessiva disuguaglianza delle fortune come se fosse. tutta opera dell' uomo, e non si bada che la natura non ha ripartito con parità geometrica le influenze del cielo, la fecondità della terra, l'attività delle forze e la perspicacia de' talenti. La disparità delle cause dee necessariamente produrre

(1) Neque enim solum nobis divites esse volumus ; sed liberis, propinquis, amicis maximeque reipublicae. Singulorum enim facultates et copiae, divitiae sunt civitatis. Cicero de Offic. Lib. III.

(2) Universos homines et bonos pariter, atque malos lucri cupidos esse. Plat. Dial. 1. de Stud. lu; crand.

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