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EPISTOLA

Bella felicità; tu fei di ogni Ente,

IV.

Che refpira quaggiù, mobile, e fine;
Qual nome io potrò darti, onde ciafcuno
Ti ricerchi, ti fiegua, e ti ravvili?
Tranquillità, piacer, pace, dolcezza,

Un non fo che ti dirò in fin di grato,
Di pregevol, che ogni Uom dentro al fuo cuore
Con perenne defio chiama, e fofpira.

Tu fei, la cui fperanza adulatrice
Porge lena, e riftoro ai petti umani
Contro i colpi di morte, e del deftino

Fiffo, e cangiante oggetto, a cui fon ufi
Rivolgersi a vicenda, e faggi, e stolti
Con formarne ciafcun quella confufa
Immagine, che a lui fembra più vera.
Tu fempre a noi vicina, in quel moment
Ch' altri crede fermarti, allor ti involi;
Pianta, che avesti origine nei Cieli,
Se qui pofta tra noi da man Divina
Degni di poffederti anco i Mortali
Tu credi, addita loro in qual Regione
Debbanti rintracciar, fotto qual Clima.
Forfe tra l'Opulenza adulatrice

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D'una Corte con brio fiedi faftofa ?

Dalle di gemme, e d'or ricche miniere

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Forfe fortifti ad abitare il Mondo ?

Forfe ful margin di fcoprirti, è d'uopo,
Del chiaro Fiume, che il Permeffo irriga:

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Tra quel faper, che inebria la focofa
Immaginante fantasia dei Vati ?

O all'ombra degli allori, onde la fama
Fregiar promette il crin d' Eroi guerrieri?
Qual è il Regno felice, ov' hai la Cuna,
O quello in cui di comparir paventi?
Ah che qualor la noftra industria è vana,
Onde tra noi felicità germogli,
L'arte accufar fi dee, non il terreno ;
Il più orribil foggiorno, il più giocondo
Poffon del pari a lei fervir d'afilo

;

O già mai non fi gufta, e non fi vedę,
O fi trova egualmente in ogni lato :
L'oro quel feduttore onnipotente

Non ha fopra di lei forza, ed impero ;
Virtù l'attrae, del merto fi compiace;
E fe le fpalle volge difdegnofa
Dei Regi alle pompofe altere Corti,
Nel tuo foggiorno, Amico, ella fi cela
Per godervi in amabile ritiro

I fuo ftabil ricetto, il fuo ripofo.

Famofi fpirti voi, che di natura

I fegreti fpiate, e cui rischiara
Filofofia la non fedotta mente,
Infegnatemi voi, per qual cammino
Della felicità s' approdi al porto;

Ma nei voftri volumi io più m'interno
Altro fcoprir non fo, che incerti fogni,

E fpeciofe immaginarie fole;

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L'un vuol, che in altrui prò fpenda la vita
L'altro, che in un difutile ripofo

Io tragga i giorni miei. Lieto e tranquillo,
Mi rifponde alcun d'effi in fenfo ofcuro,

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Che val felicità l' effer contento.

Taluno intiera nel piacer la pone,

In cui vuol ch' Uom s' ingolfi a fuo capriccio ;
Severo un' altro ogni defi condanna,

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Vuol torre ogni paflion benchè leggiera;
E trar la vita d'ogni brama esente

Chiama viver con pace, e con diletto.
Oh vane idee d'immaginar fallace!
Onde mal fi comprende un don si bello,
E feguendo l'error fi lafcia il vero.
Altri fu tutto a dubitar fon ufi,

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E con profuntuofo altero ingegno

Sdegnano in cerca andar d' un bene incerto
Che in niun lato tra noi, penfan, s'annidi.

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Di quefte folli ingannatrici guide Fugga ciafcun le perigliofe traccie : Meglio è con fermo piè drizzare i paffi

Dietro a quell' orme,

quell' orme, che fegnò Natura,

Ogni condizione, ogni talento

Effer ponno felici; a quefto oggetto

Ciafcun, fol che lei fiegua, ove l'inclina,
Soavemente è tratto; erra lontano

Da quefto fin, chi ver gli eftremi è volto.
Quei che dritto penfar, bontà di cuore
Vantar può tra i fuoi pregj, entro fe fteffo
Compita già felicità poffiede.

Del Ciel fi lagna ogn' un; ftolto l'accufa
Che nega ad un con ingiustizia avara
Ciò, che ad altri difpenfa a larga mano.
Se diè a tutti ragion, col ricco dono
Volle tutti non men render felici.
L'universal vantaggio è fempre il primo
Scopo, onde agifce la Cagion Suprema;

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Oggetto un fol non è delle fue cure.

Nè un fol, ma tutti vuol paghi e beati,
E nel riparto dei diverfi Beni

A un tal principio stabilmente mira.

Ma fe il ben dei mortali (odo taluno
Dirmi) è l'oggetto dei Decreti eterni,
Per qual cagion nei doni fuoi fi fcerne
Tanta fra tutti difegual mifura,
Ně arride a tutti egual la forte amica?
L'Ordin, quell' immutabile e fupremo
Delle Leggi del Cielo Autor primiero,
L'Ordin vuol, che talun per fenno splenda,
Quefto per grado, e quello per ricchezza,
Ed altri infin per fcienza, arte, ed ingegno,
Benchè più d' un di lor nei fuoi natali
Sembraffe affatto d'ogni pregio ignudo :
Ma chi a fondo conofce, in che fi debba
Ripor l' effer felice, e non fi affida.
All inganno dei fenfi, affai ravvifa,
Che fenza ancora il fragile foftegno
Di quefti fpeffo all' Uom beni dannofi
A quel bramato fin giugner fi puote.
La provida Bontà regolatrice

De Sovrano Motor fpande fu tutti

Egualmente il fuo amor, le fue premure,
E appunto vuol delle fue Grazie in quefta
Sproporzion mirabile, e fagace,
Che la comun felicità fi fondi ;
Quindi è, che dai fcambievoli foccorfi
Onde a vicenda bifognofi fiamo
Con coftante armonia vuol che dipenda;
Tal che mentre ciascun da questa ascosa
Forza tratto è a giovar folo a fe ftello,

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L'univerfale utilità proccura.

Quel, che nella Natura agifce, e regna,
Mifto prodigiofo in ogni lato,

La guerra degl' inftabili Elementi

Delle Stagioni il variar perenne
Non giovan forfe all' Univerfo intiero ?
L'apparenza ingannevole di tante

Nel vero ben diverfità non pone,

Condizioni differenti, alcuna

Che fempre è in fe l' ifteffo, e non fi cangia,

O del più gran Monarca in cor rifieda,

O alberghi in fen del fuddito più vile.
Quando col foffio animatore infufe
Iddio nel noftro fral, fpirto vitale,

Il fonte, onde il ben fgorga, anco vi pofe,

E febben di Fortuna i varj doni

Divider volle, a fin che in tutti eguali

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Non foffer di odj, e di contrasti eterni
Afpre cagioni, Ei ne lafciò con retta
Legge a tutti in comun la massa intiera.
Se ad effer fortunato afpirar puote
Ciafcun, fe a tutti un tal favor concede
Il Ciel con giufta fcelta, e con mifura,
Dunque follia non fora andare in traccia
Di ftabil pace in quei teforj, al cafo
Non a virtù, nè a probità dovuti.

L'inftabile Fortuna i fuoi feguaci
Delle fue grazie a fuo talento onora ;
Se ai lor voti ella è facile, o ribelle,
O felici gli chiama il volgo ignaro,
O miferi gli crede: eh noi più faggi
Abbandoniamo quefte idee fallaci,
E là miriamo, ove l'Eterna cura,

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