Il folo Ente penfante con ragione,
Nel ravvifar, che tutti i paffi fuoi
Lo guidano alla tomba, un fol momento Forfe ei potrebbe refpirare in pace,
E veder fenza orrore il fuo deftino?
Quel, che agli Enti prefiede, Ente fupremo,
O l'inftinto li guidi, la ragione,
Con paterna amorevole premura, Quanto ciafcun di lor perfetto refe, Volle con forte egual render felice.
Un' impulfo, una legge a tutti diede,
Che verfo un fcopo tal li trae con forza, Ed a compier li porta il lor deftino,
O per caso ciò fegua, o con disegno.
Se diretti dal Ciel nel proprio inftinto Trovano i Bruti una ficura scorta,
Ch' altro debbon bramar? Vorrefte forfe Che gl' iftruiffe un' abile maestro ?
Un fervo efperto all' Uomo è la ragione, Ma fervo freddo, indocile, codardo; E talor ci convien nel maggior' uopo Forzar la fua lentezza a darci aita; L'inftinto agifce fempre, anima, sprona, E fenza invito alcun fempre è prefente: La ragion ci foccorre in qualche iftante, E l'inftinto non manca in tempo alcuno : Egli fempre follecito, e fedele Tende fenza efitar verfo la meta, Segnata a lui dalla Cagion fuprema ; Ma libera ragion, d'un tanto dono Orgogliofa fi abufa, al Ciel fi oppone, Nè fi riman nell' ordine prescritto. In van della ragion tu vanti il dono: Preferir dunque debbefi all' inftinto?
Qual confronto tra loro? Iddio governa L'inftinto; e la ragion retta è dall' Uomo. Qual lume è quello mai, che senzo inganno Agli animali a rintracciare apprende
Il pafcolo opportun? che loro infegna A fcegliere il rimedio accortamente
E fchivare il veleno, e cangiar clima, Quando che la ftagion fi cangia anch' essa ? A prefagire i venti, e le tempeste, A refiftere all' urto impetuofo
Dei flutti, che flagellano le fponde, Per ben comune a faticare infieme,
A rimaner tranquilli in mezzo all' acque ? Chi è, che moftra al ragno industrioso A formar con tant' arte il fuo lavoro,
Teffer con tanta maeftria de tele Senza compaffo, regola, è misura ? Moivre forfe pon ne' piani fuoi Coi varj geometrici ftrumenti
Più di proporzione, ordin maggiore? Chi alla prudente Gru fegna il cammino Chi l'addeftra a cercarfi un nuovo afilo, Quando il verno fovrafta, in terra ignota? Chi prefiede al configlio, in cui decifo
Refta il giorno, e del giorno anco il momento Della partenza, e del ritorno infieme?
I benefico Iddio volle, che ogni Ente
Il mezzo aveffe in fe d'effer felice: Ma il bene univerfal fu il grande oggetto, Ch' egli immutabilmente ebbe per fine. Nel trar dal nulla le create cofe; Onde dagli fcambievoli bifogni Convienfi che l'origine primiera
Della comun felicità derivi;
Benchè tanto diffimili tra loro
D' indole, d'attributi, di ftruttura Del Mondo i numerofi abitatori
Con tal' ordin fi ftanno in bella pace; Indi Natura In lui defta, e produce Coll' ardor fuo vivifico, e fecondo Quello fpirto, che l'anima, e mantiene; Tutto di quefto ardor fente la forza, Dilatafi egualmente in ogni parte, E le tracce d'amore in tutto imprime. Gli uomini, i bruti s' amano tra loro; Pofcia fempre facendoli più forte, Dell' un feffo per l'altro il fuoco nafce, Che unendoli, di due ne forma un folo ; Da quefto amor un' altro ne deriva: Mentre il fangue transfondon nella prole, Si amano in lei qual parte di fe ftefli. Moffa da quefto ftimolo foave Degl' ifteffi volatili la turba,
E delle belve o timide, o feroci, Ai pargoletti, ed inesperti figli Con ftudiofa cura aita porge; La madre affettuofa gli alimenta, E veglia il genitore in lor difesa . Divengon grandi in fine? eccoli tofto Ammaeftrati, ed agili a bastanza Correr al par folleciti, e festosi Ad abitar l'aria, le felve, i campi. L'inftinto qui fi arrefta; e ignoti a quelli Reftano ancora, ond' ebbero la vita, Qual non più vifto popolo ftraniero; Ne bifognofi di paterna cura
Effendo allor, difciogliefi quel nodo, Che dolcemente pria gli univa infieme.
Ma la debole tempra, e le fciagure
Degli uomini infelici, un' imbecille Infanzia, una vecchiezza egra, é cadente; I vincoli, onde fon tra lor congiunti, Le indigenze multiplici, e comuni Del reciproco affetto fon fomento Ond' effi s' intereffano a vicenda, E a vicenda foftengonfi tra loro, Finchè il legame rendono più forte L'esperienza, il tempo, e la ragione, Se da una parte il fragile compofto Della guafta Natura al mal c'inclina; Dall' altra la ragione al ben ci move; L'utile dal rifeffo avvalorato Fa, che dal fen delle paffioni istesse Tragga virtù più bella i fuoi natali; Se l'indigenza al benefizio è fprone, Da quefto gratitudine proviene; E in tal guifa all' affetto naturale Benevolenza aggiungefi più pura; Queste foavi tenere premure Entro del cor tenacemente impreffe Dai padri fi propagano nei figli; E quefti fono accoftumati appena A tanto bella, e neceffaria legge, Che i genitori alla vecchiezza giunti
Vengono a chieder lor fiacchi, e languenti Quell' ifteffo amorevole foccorfo,
Ch' effi lor diero già nei più verdi anni; Memore il figlio allor di quella etade Sin dentro all' avvenire il guardo spinge Confola il padre, e quel riftor gli porge, Che decrepito anch' egli un giorno attende. Così il ben, che fi ottiene, o che fi fpera,
Ci tiene avinti in armonia concorde
E quindi ancor con ordine ftupendo L'univerfal felicità refulta,
Che per tante cagioni, e si diverse, Con dolce forza a proccurar fiam tratti. Penfate voi, che l'Uom formato appena, Di man della Natura appena uscito, A cafo erraffe, e fenza legge, o freno? Dio fteffo in quella prima età felice Dell' opra fua follecito, e gelofo, D'erudirlo avea cura, e ad altri il peso Non fidava, che a fe del fuo deftino; Colla fua luce Ei gli fchiaria la mente, E onefte voglie Ei gli deftava in core;
Di fe fteffo l' amor dell' Uomo in petto Regnava, è ver, ma di virtude amico, Obbediente, docile, e tranquillo, D' innocente fcambievole diletto
Non guafta ancora, e limpida forgente.
Di fua nativa femplice bellezza
Nobil moftra Natura agli occhi altrui Allor facea nel giovinetto Mondo,
Ne prendeva dall' arti alcun rifalto,
Che fur pofcia dagli Uomini inventate, E dell' induftria, e dell' orgoglio figlie; D'intelligenza gli Uomini coi bruti Delle forefte fempre verdeggianti Ripofavano all'ombra unitamente, Giorni traendo placidi, e ficuri; Nè fi vedeano infanguinar le mani, Per falvarfi dal freddo, o dalla fame; Senza cultura, fertile il terreno Senza il tagliente vomere, fecondo Porgeva a tutti i nutrimento ifteffo
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