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Se l'occhio noftro al microfcopio eguale Ingrandiffe gli oggetti al par di quello, Che gioverebbe a noi vifta si acuta ?

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Ah che faria ben corto il fuo confine!
Gli ultimi finalmenti, e le minute

Fibre veder potria del più mefchino

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Verme, che appena appena al guardo è noto,

Nè più goder potrebbe il luminofo

Spettacolo, che a lui moftrano i Cieli.

Maggior delicatezza abbiano i fenfi;
Più fino il tatto fia; fempre tremante
L'Uomo a qualunque ftrepito leggiero
Tema avria d' incontrar morte, o perigli.
Con maggior forza, ed impeto maggiore
Urtino le invifibili faette

Degli atomi odorati entro il cervello ;
Dei profumi più grati il violento
Alito al capo, e al cor faria di danno.
Sia più vivo l'udito, ecco che al fuono
Più fordo ei non farà, che nei lor giri
Fanno full' alte vie le sfere erranti ;

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In quei doni, che niega, e che concede,
Poichè fempre egualmente vi rifplende
La Sapienza eterna, e la Bontade.

Tra gli animali tutti ah qual catena,
Ordine, differenza, e gradazione!
Dal più piccolo infetto fino all' Uomo,
Che primo, e Re fopra degli altri pofe,

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Qual di attributi difegual misura!

La talpa, a cui fon le pupille ingombre

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Da folte nubi, e tenebrofi veli,

Della luce il riverbero non vede;

Ma nulla v'è, che fugga al penetrante

Guardo del Lince, e i corpi ancor più opachi,

Moftranfi agli occhi fuoi diafani, e chiari.

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Nell' orror della notte, allor che scorre

Leoneffa affamata le forefte,

Scuopre la cerva impaurita al folo
Strepito della fuga: il can diretto
Dall' odorato in fuo cammin non falla
E d'invifibil traccia i paffi fiegue
Con giudizio follecito, e ficuro.
E chi comprender può, quale infinita
Distanza per la voce, e per l'udito,
Tra i volatili paffi, e il muto gregge
Dell' acquatico regno ? L'ingegnofo

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Ragno fi offervi in fuo recinto oscuro;

Quanto il fuo tatto è vivo, e pronto, e certo!

Su i tefi lacci fuoi fempre vegliante,

Par, che in ciascun dei fili abiti, e viva.

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Che non ftupifci in rimirar, con quanta

Arte maravigliofa fi arricchifce
L'ape fui noftri campi dei tefori,
Onde la primavera il fuol riveste?
Donde difcernimento ha mai si fino,
Che dai fughi più infetti, e più letali,
Sappia eftrarne per noi doni di vita?
Inoltriamoci ancora: Ah qual fra tanti
Diversità d'iftinto! Tu, che fembri
Da lume di ragione effer guidato
Elefante, si cognito per quella
Docilità, che in te ciascuno ammira,

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Qual fopra il porco vil non hai vantaggio?
Uom forfe v'è, che a mifurare arrivi

Quanto l'iftinto tuo, che si vicino
Credefi alla ragion, n'è poi lontano?
Qual breve effer tra lor diftanza appare!
Chi può veder quel vincolo fegreto
Che il pregevole dono di memoria
Al poter di riflettere congiunge ?
O inveftigar quei limiti, che pose

Fra i fenfi groffolani, e il pensier puro,
L' induftre man del Creator Divino?

Lo fteffo iftinto agli Animali tutti

Concedafi e tra lor faccianfi eguali

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In forza, in attributi; ecco difciolto

Di quella dipendenza il forte nodo,

Ond' effi in pace, e in lega infieme stanno.
Difuniti, e difcordi allor vedranfi,

Nè più dell' Uomo tollerar l'impero.
Che val contro di voi l' aftuzia loro?

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E lor forza che val? Della ragione

L'armi a voi fomminiftra il Cielo amico;

E in quefto don, che fol per voi riserba,
Il mezzo non fallibile ripone,

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Onde tutti rimanganvi foggetti.

Negli fpazj dell' aria, in terra, in mare,
La feconda Natura in moto sempre
Volgetevi a mirar: fempre indefeffa,
O popula, o abbellifce il mondo intiero..
Scorrete, unite infiem gli Enti diverfi ;
Cominciate da Dio, da quel fupremo
Ente, onde tutti gli altri hanno la vita.
Che infinita catena! che ftupendo
Spettacolo nel ciel Spiriti puri,
Nella terra,

nell' aria, in mezzo all' onde,

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Uomini, pefci, uccelli abitatori,

E infetti numerofi in ogni lato
Invifibili quafi. Or via, rompete
Dell' eterna catena un folo anello ;
Tutto foffopra va, tutto in rivolta
L'ordine, l'equilibrio, il bel concerto,
E nel Caos fi perde, e fi confonde.

Se dei Vortici, u' notano i Pianeti,
Ciafcuno ha il proprio fuo moto diverfo,
Che una fegreta Legge in effo imprime :
Se quinci avvien quell' ordine perfetto,
Che l'intera armonia forma, e foftiene
Dei Cieli luminofi; un fol Pianeta
Trapaffi il fuo confin, dal rimanente
Dei vortici difgiunto, ecco in cadende
Trae feco tutti i differenti globi,
Onde l'union dell' univerfo efifte:

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La Terra allor dal centro fuo rimoffa

Nel Caos antico tornerà confufa ;

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L'un full' altro ammaffati i Soli, e gli Astri

Non faran più diretti, e foftenuti

Dagli altri a lor vicini: la Natura

Tra la confufione agonizzante

Di Dio fin preffo allo ftellato trono
Arrecherà difordine, e fpavento.
Dunque fia d'uopo por tutto in tumulto
Sulla Terra, nei Cieli, a render pago

Dell' Uomo ambiziofo il genio altiero ?

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Se ogni membro ribelle alla fua legge

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Si voleffe fottrar nel corpo umano;

Se il piè veder voleffe, o marciar l'occhio;

Se la man deftinata alla fatica

Pretendeffe del capo aver la forte;

Se ricufaffe in fine ognun di loro

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Allo fpirto obbedir, cui fon foggetti;
Qual difordine? e che ? forfe non fora
L'ifteffo allor, che l' Uom contro il fupremo
Ente, che dona agli altri e moto, e vita,
Si eftolla audace, e con ingiusta brama
Tenti fortir dall' ordine prefcritto ?

Le differenti parti, onde componfi
Quefto vafto Univerfo, a fare un Tutto
Con fublime faper difpofte fono.

Di quefto Tutto il corpo è la Natura;
Iddio quello, che l'anima, e lo muove;
E fe a l'occhio Ei fi cela, i luminosi
Tratti del fuo poter fanno alla mente
L'angufta fua prefenza affai palese.

Nel far la Terra, e nel formare i Cieli,
Egli è del par poffente, e gloriofo;
Egli ineftefo ftendefi per tutto,
Ed indivifo penetra ogni parte;
L'invifibile Egli è ftabil foftegno

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E dei corpi, e dei fpirti; agifce in Effo

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Ogni Ente, il quale ha vita, e in Lui respira.

Senza che niente perda, Ei tutto dona;

Egli difpone, Egli opera, e produce,

Senza che la fua forza, e il fuo potere

O s'alteri, o fi ftanchi, o venga meno;
Egli egualmente e fapiente, e grande,
Nel verme anco più vil, nell' elefante,
Nella formica, e nel leone appare,
Nell' umile bifolco, a cui ricopre
Ruvido manto le callofe fpalle,
Quanto nel Serafin cinto di luce.

Del tuo foverchio ardir prendi roffore
Dunque, o Mortal; coi tuoi profani accenti
Più non t' innoltra a difpregiare audace

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