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Arbitro d'ogni grazia, e d'ogni bene,
Modera 1 Univerfo a tuo talento:

Accufa il Ciel, fe in grembo a te non verfa
Tutti i fuoi doni, e tutte in te non spende
E le fue tenerezze, e le fue cure;

E fe alle doti, onde già fei ricolmo ;

La miglior non aggiunge, e la più grande,
Di renderti impaffibile, e immortale:
Siegui le oblique vie de i tuoi delirj;
Fatti Dio del tuo Dio; ponti in fua vece

Sul trono, ov' Ei già fiede, e senza tema
Giudica ancor la fua giustizia istessa.

Ecco fin dove ambiziofo orgoglio
Fuor del dritto fentier l' Uomo fofpinge:
Nell' Univerfo apri le porte il primo
All' errore l'orgoglio; abbaccinati
Dal fuo falfo fplendor gli Angeli istessi
Ofarono eguagliar al lor Fattore;
Sulle traccie ribelli anch' ei congiura
L'Uomo fuperbo, il fingolar concerto,
Che in vincolo coftante il mondo ftringe,
Cangiar vorrebbe; e non è forfe quefto
Tentar di farfi al Creatore eguale?

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S'io cerco a quefto altier per qual cagione

Di tante accefe faci il Ciel rifplenda,

Che ful doppio Emisfero e notte, e giorno
Intreccian danze, e regolati giri,

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E fan vaga comparfa agli occhi altrui ;
O con qual' arte, e fimetria, disposta
Sopra i cardini fuoi la Terra pofi
Feconda tanto, e tanto bella infieme;

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,, lo fon, risponde tofto il cieco orgoglio, Di tutti quefti doni io fon l'oggetto: Veglia per me la provida Natura,

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Ciò, che più mi diletta, o mi fatolla;
La fua man liberale a mio profitto

Rende di dolci frutti, e ameni fiori

Fertili i campi, ed i giardini adorni;

,, Fa, che fpunti al mattin fresca la rosa,

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E fulla vite il grappolo maturi;

"I fulgidi metalli, ogni teforo,

,, Che nelle fue miniere il fuolo afconde,

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Si riferbano a me; quei venti istelli

Che deftano nel mar guerre, e tempefte,

" Non foffian, che per trarmi in varj lidi;
"Quel Sol, che in fuo cammin tanto sfavilla,
,, Per me fpande i fuoi raggi, e la fua luce;

رو

" Mia Reggia in fine è l'Univerfo intiero.

Ma quando una pefante aura maligna

Diffonde i fuoi mortifieri vapori,

E di funefte ftragi empie la Terra ;

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Quando i fuoi cupi abiflì aprendo il fuolo
Gli abitatori, e le Cittadi ingoja;
Quando il mar procellofo oltre il fegnato

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Confin s'eftolle, e mugghia irato, e freme,
E le vicine impaurite genti

Dentro i vortici fuoi volve, e fommerge;
Quando tutto è in rivolta, e par che tutto
L'ordine fi rovefci di Natura,

Rifpondi, Uomo fuperbo, agifce forfe
Ella folo per te? Si, dice ancora

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» L'orgoglio: attenta alla fua prima legge

"

,, La caufa univerfale, un mal leggiero

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Permette allor, per trarne un ben più grande; "E fe con rari, e pafleggieri eventi

"Dal fuo folito corfo fi difvia,

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: 295

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L'efimero fconcerto appunto serve

A renderlo più forte, e più ficuro

Niente è quaggiù, ch' effer perfetto debba

E che? Da quefta Legge, onde mantienfi
La comune armonia, l' Uomo fottrarfi
Vorrà egli folo ? e non è giusto forfe

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Che ad ogni Ente creato egual fi monftri?
Se a vicende multiplici foggetto

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Tutto nell' Univerfo in varie guise

Si diftrugge, fi cangia, e fi combatte;

Se l'infinita Sapienza eterna

Vuol, che quest' armonia fuffista, e duri

Per mezzo del difordine nel Mondo ;

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E per qual mai ragion v'è chi pretenda

Che Uomo fol dei fuoi tiranni affetti

Scevro effer debba, o non ne fenta il pefo ?

Che fe per tante orribili procelle

L'ordine non fi fcioglie, e non vien meno,

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V'è chi creder vorrà, che l' ordin pera,
Se efiftono un Nerone, un Cromwello,
E tanti iniqui, e fcellerati mostri ?

A che un fegreto ingiufto orgoglio folo
Può in mente altrui deftare un tal penfiero!

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E non può dunque Iddio far, che la colpa

Della giustizia fua ferva ai disegni ?
Convien, ch' Uom faggio egual giudizio porti
E ful fifico Mondo, e ful morale;
Se il governo del primo equo raffembra,
Perchè fpiace nell' altro, e fi cenfura?

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Giugner tant' oltre ingegno uman non puote,
Che quefte arcane vie comprenda appieno;
E ben faggio é colui, che le rispetta,

E non fi affida a un ragionar fallace,
Per feguir quelle idee, ch' entro la mente

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Un lufinghiero immaginar ci defta.

Tutto in profonda pace il Mondo intiero
Dovrebbe refpirar, nè in cor dell' Uomo
Sorgerebbero, a fargli atroce guerra,
Tante femenze ree, tante maligne
Ambiziose brame; ed ei farebbe
Per legge di Natura, e fenza pena,
Del ben feguace, di virtute amico :
Giammai di fofca nube il Ciel coperto
Involerebbe a noi la bella luce.

Del gran Pianeta, che diftingue l'ore,
Ne impetuofo, e torbido Uracano
Tempefte mai folleverebbe in Mare,
"Qual già fotto l'Impero di Saturno

Finfero i prifchi Vati il Secol d' Oro.

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Ma, oh folli, e corte idee! la guerra eterna
Dei difcordi Elementi è quella appunto,

Che il Mondo accorda, e lo conferva infieme;

E fe d'ogni paffion libero, e fgombro.

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L'Uomo traeffe i giorni fuoi, potrebbe,

Quale infenfibil tronco inanimato,

Suffifter forfe? ah che il penfarlo è vano!

Ma oh quanto in ciò, ch' ei brama, erra, e vaneggia ! Mefto è talor, perchè dei Spirti alati

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Di Dio miniftri ei non poffiede i doni,
Lor forte invidia, e non è fazio, e pago,
Se anco di lor più grande ei non diviene :
Talor pone in non cale, e tienfi a schivo
Di fua natia condizione i pregj;
Lagnafi, perchè a lui manca l'irfuta
Vefte dell' orfo e perchè il cervo fnello
Nel corfo non pareggia, e in forza il toro.
Infenfato che fei! credi tu forse,

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Che fe quelle, che ai bruti il Ciel comparte

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Doti, a te non negaffe, il tuo deftino
Saria migliore, il viver tuo più lieto,
E tu meno imbecille, e più perfetto?
Dei corpi lor la teffitura induftre,
Benchè in ciafcun di lor non fia l'ifteffa,
Della faggia Natura affai dimoftra
La provida Bontade: Effa su tutti
A larga man fuoi benefizj fparge,
Ma con proporzione, e con mifura,
E di tutti un' egual cura fi prende,

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Agile è più tra lor chi ha men di forza,

E quel, che è più robufto, è men fpedito.
In fimil guifa il Creatore adatta

Al bifogno il foccorfo, e con si bella
Legge, del fuo faper l'orme v'imprime;
Quegli organi a lor diè, quella figura,
Che al vario fine, onde prodotti fono,
Lor convengano più: tutti han poflanza
D'adempierlo egualmente; egual vantaggio
Hanno a tal' uopo e il più piccolo infetto,
E l'animal, che più fchifofo appare.
Felice è ognun di lor, nè invidia porta
Alla fortuna altrui; fol dunque efente
L'Uomo farà dall' ordine comune,
Onde ver sè d'ingiufto il Cielo accufi?
Come? L' Uomo, che folo effer fi vanta
Ragionevole, e faggio, i giorni fuoi
Trarrà in angofcia, e fpargerà lamenti,
Se tutto non ottien, quafi che foffe
Privo d'ogni conforto, e d' ogni bene?

Se tranquillo effer vuoi, vivi contento

Dei doni, che Natura a te difpenfa,
Né i fuperbi penfieri, e le inquiete

Tue fmanie oltre un tal fegno ardito fpingi.

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