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tima (1) noi annoveriamo: e puotesi contemplare la somma sapienza del Figliuolo; e questa mira la seconda Gerarchia: e puotesi contemplare la somma e ferventissima carità dello Spirito Santo; e questa mira la terza Gerarchia, la quale più propinqua a noi porge delli doni ch'essa riceve. E conciossiacosachè ciascuna Persona nella Divina Trinità triplicemente si possa considerare, sono in ciascuna Gerarchia tre Ordini che diversamente contemplano. Puotesi considerare (2) il Padre, non avendo rispetto se non ad esso; e questa contemplazione fanno li Serafini, che veggiono più della prima Cagione, che nulla Angelica natura. Puotesi considerare il Padre, secondochè ha relazione al Figliuolo, cioè come da lui si parte, e come con lui si (3) unisce; e questo contemplano li Cherubini. Puotesi ancora considerare il Padre, secondochè da lui procede lo Spirito Santo, e come da lui si parte, e come con lui si unisce; e questa contemplazione fanno le Potestadi. E per questo modo si puote speculare (4) del Figliuolo e dello Spirito Santo. Per che convengono essere nove maniere di Spiriti contemplanti (5), a mirare nella Luce che sola sè medesima vede compiutamente (6). E non è qui da tacere una parola. Dico, che di tutti questi Ordini si perderono alquanti tosto che furono creati, forse in numero della decima parte; alla quale restaurare fu l'umana natura poi creata. Li Numeri, gli Ordini, le Gerarchie narrano li cieli mobili, che sono nove; e 'l

(1) ultima noi annoveriamo, così il cod. 135 secondo ed il Vat. Urb. e che l'ultima noi annoveriamo, P. E. ch'è ultima noi annoveriamo, ediz. Biscioni.

e

(2) Puotesi contemplare, la pr. ediz. ed il cod. Gadd. 134. E forse contemplare si dee più correttamente leggere anche l'altre due volte.

(3) con lui sè unisce, l'ediz. Biscioni.

(4) contemplare, P. E.

(5) contemplativi, codici Gadd. 134, 135 primo, 3, e P. E. (6) pienamente, P. E.

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decimo annunzia essa unitade e stabilitade di Dio. E però dice il Salmista: « I cieli narrano la gloria di » Dio, e l'opere delle sue mani annunzia (1) lo firma»mento. » Per che ragionevole è (2) credere che li movitori del cielo della Luna siano dell'Ordine degli Angeli; e quelli di Mercurio siano gli Arcangeli; e quelli di Venere siano li Troni, (3) li quali, naturati dell'Amore del Santo Spirito, fanno la loro operazione connaturale ad esso (4), cioè lo movimento di quello cielo pieno d'Amore; dal quale prende la forma del detto cielo uno ardore virtuoso, per lo quale le anime di quaggiù s'accendono ad amare (5), secondo la loro disposizione. E perchè gli antichi s'accorsono che quel cielo era quaggiù cagione d'Amore, dissono Amore essere figliuolo di Venere; siccome testimonia Virgilio nel primo dell'Eneida, ove dice Venere ad Amore: Figlio, virtù mia, figlio del sommo padre, che li dardi di Tifeo (6) non curi. E Ovidio, nel quinto di Metamorfoseos, quando dice che Venere disse ad Amore:

(1) annunzia, così il cod. Vat. 4778; tutti gli altri mss. e le stampe: annunziano lo firmamento. Basta però ridursi alla memoria il latino del salmo: Cœli enarrant gloriam Dei, et opera manuum ejus annuntiat firmamentum, per avvedersi che annunziano plurale è errata lezione. V. il SAGGIO, pag. 25.

(2) Così il cod. secondo Marc., il Vat. Urb., ed i Gadd. 134, e 135 secondo. L'ediz. Biscioni: ragionevole è a credere. (3) li quali naturati ecc. fino a secondo la loro disposizione, passo interlineato dal Tasso.

(4) Adottiamo la lezione del cod. Vat. Urb. e Gadd. 134: connaturale ad esso, cioè ad esso Santo Spirito. La volgata è connaturale ad essi.

(5) ad amore, P. E.

(6) Nel SAGGIO, pag. 93, si è notato che Dante non fu esatto traduttore di questo passo di Virgilio. Qui basti il dire che abbiamo letto Tifeo col cod. primo Marciano e colla sana critica, rigettando il goffo idiotismo Tifece, adottato con infinita bonarietà dal Biscioni. Abbiamo pure rigettato il glossema di tutti i testi: di Tifece, cioè quello gigante.

Figlio, armi mie, potenza mia (1). E sono questi Troni, che al governo di questo Cielo sono dispensati (2), in numero non grande, del quale per li Filosofi e per gli Astrologi diversamente è sentito, secondochè diversamente sentiro delle sue circolazioni; (3) avvegnachè tutti siano accordati in questo, che tanti sono, quanti movimenti esso fa; li quali, secondochè nel Libro dell'aggregazione delle Stelle epilogato si trova dalla migliore dimostrazione degli Astrologi, sono tre. Uno, secondochè la Stella si muove verso lo suo epiciclo; l'altro, secondochè lo epiciclo si muove con tutto il cielo ugualmente con quello del Sole; il terzo, secondochè tutto quel cielo si muove, seguendo il movimento della stellata spera, da Occidente a (4) Oriente, in cento anni uno grado. Sicchè a questi tre movimenti sono tre movitori. Ancora si muove tutto questo cielo, e rivolgesi coll'epiciclo, da Oriente in Occidente, ogni di naturale una fiata; lo quale movimento, se esso è da Intelletto alcuno, o se esso è dalla rapina del primo mobile, Iddio lo sa, che a me pare, presuntuoso a giudicare. Questi movitori muovono, solo intendendo, la circolazione in quello suggetto propio che ciascuno muove. La forma nobilissima del cielo, che ha in sè principio di questa natura passiva, gira toccata da virtù motrice (5) che questo intende: e dico toccata, non corporalmente, per tanto di virtù, la quale si dirizza in quello. E questi movitori

(1) Il Poliziano, all'ultimo verso del primo libro, nella Giostra: O Figlio, o sola mia potenzia ed armi. PERTICA RI. (2) disposti, codici Marciano secondo, Barb., e Gadd. 135 secondo.

(3) Quindi innanzi tutto il passo, fino al termine del Capitolo, è contrassegnato dal Tasso in margine, colla postilla: Tre moti in ciascun cielo, e tre motori. Sono anche interlineate le parole: tanti sono, quanti essi movimenti ecc...... Astrologi,

sono tre.

(4) in Oriente, P. E. (5) movitrice, P. E.

sono quelli, alli quali s'intende di parlare, ed a cui io fo (1) mia domanda.

CAPITOLO VII.

Secondochè di sopra nel terzo Capitolo di questo Trattato si disse, a bene intendere la prima parte della proposta Canzone convenía ragionare di quelli Cieli, e de' loro motori; e (2) nelli tre precedenti Capitoli è ragionato. Dico adunque a quelli (3) ch'io mostrai (4) che sono movitori del cielo di Venere: Voi, che, intendendo, (cioè collo 'ntelletto solo, come detto è di sopra) il terzo ciel movete, Udite il ragionar; e non dico udite, perch'egli odano alcuno suono; ch'elli non hanno senso; ma dico udite, cioè, con quello udire ch'elli hanno, che è intendere per intelletto. Dico: Udite il ragionar ch'è nel mio core, cioè dentro da me, chè ancora non è di fuori apparito. (5) È da sapere che in tutta questa Canzone, secondo l'uno senso e l'altro, il cuore si prende per lo secreto dentro, e non per altra spezial parte dell' anima e del corpo. Poi (6) gli ho chiamati a udire quello che dire voglio, assegno due ragioni,

(1) Il primo cod. Marciano: fo la mia domanda.

(2) Questo e manca in tutti i testi; ma è necessario per l'ordine del discorso. Sottintendi: e di ciò nelli tre ecc.

(3) a quello, tutti i codici e le stampe; ma è sproposito di gramatica, perchè il pronome è riferito a motori plurale.

(4) L'aggiunta del che sembra necessaria, se pure non si vuole che Dante abbia scritto: ch'io mostrai essere movitori. (5) Ed è da sapere, P. E.

(6) Poi per Poichè: modo frequentissimo presso gli antichi; e Dante stesso ne fa uso più volte nella Commedia. Purg. 10. 1: Poi fummo dentro al soglio della porta. Par. 2. 55: Certo non ti dovrien punger gli strali D'ammirazione omai; poi dietro a' sensi Vedi che la ragione ha corte l'ali.

Vol. I.

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per che io convenevolmente deggio (1) loro parlare : Ï'una si è la novità della mia condizione, la quale, per non essere dagli altri uomini sperta (2), non sarebbe così da loro intesa, come da coloro che 'ntendono i loro effetti nella loro operazione. E questa ragione tocco quando dico: Ch'io nol so dire altrui, sì mi par nuovo. L'altra ragione è: Quando l'uomo riceve beneficio, ovvero ingiuria, prima dee (3) quello retraere a chi gliele fa, se può, che ad altri; acciocchè se egli è beneficio (4), esso, che lo riceve, si mostri conoscente vêr (5) lo benefattore; e s'ell'è (6) ingiuria, induca lo fattore a buona misericordia colle dolci parole. E questa ragione tocco quando dico: Il ciel, che segue lo vostro valore, Gentili creature che voi sete, Mi tragge nello stato ovio mi trovo; cioè a dire : l'operazione vostra, cioè la vostra circulazione, è quella che m'ha tratto nella presente condizione; perciò conchiudo e dico, che 'l mio

(1) deggio a loro parlare, P. E.

(2) esperta, cod. Vat. Urb.

(3) prima di quello retraere, l'ediz. Biscioni. La lezione dec è sicura; e lo stesso Biscioni riscontrolla in un suo mss., che deve essere quello che ora ritrovasi nella Biblioteca di San Marco in Venezia, e che noi citiamo sotto il nome di primo Marciano. Malamente adunque egli ritiene nel suo testo di quello. Le prime ediz., malamente anch'esse, hanno da quello. retraere qui si deve intendere per riferire, riportare. V. il SAGGIO, pag. 35.

(4) Leggiamo beneficio col cod. Marciano secondo, col Vat.. Urb., e col Gadd. 134. Le stampe hanno beneficiato.

(5) inverso lo benefattore, codici Gadd. 134 e 135 secondo. (6) Qui tutte le stampe leggono e se la 'ngiuria induca lo fattore; parole dalle quali risulta uno stranissimo senso, fuor tutti i confini del sano giudizio. Il codice secondo Marciano legge: e sella ingiuria. Ma avendo detto prima l'Autore se egli è beneficio, sembra regolare che qui debba ripigliare e s'ell'è ingiuria ecc., come ottimamente ne ha suggerito la Biblioteca Italiana.

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