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benchè estenuata da quelle volontarie sofferenze, onde disagiasi quel che dell' uomo procede dal limo della terra, affinando lo spirito che è soffio di Dio. E quasi sua propria la famiglia di Cristo, i poveri da lui soccorsi lo intorniano, e una fanciulla genuflessa apprende il lembo della sacra veste a baciarlo, lasciato per poco il cieco cui s'era fatta guida pietosa.

Sollevata per due gradini sul piano del pavimento la mensa dell' altare mostrasi ricca di marmi di colore e ben intesa nel trifido scompartimento, il mediano dei quali, che è in tondo, racchiude la croce di metallo dorato. A specchi di pietre mischie, e fasce di bianco lunense disegnasi per acconcio modo il pavimento, e gli corrisponde lo spartito della vela distinto in stucchi dorature ed affreschi. Ornansi le pettine ciascuna di un putto di mezzo tondo poggiantesi sull'orlo d' un vase ansato che occupa il maggiore stretto tra i dossi di due archi; felicissimo. ricordo di un gentile pensiero del Peruzzi. Al di sopra del grazioso puttino si svolge come da un nascimento il doppio fogliame dorato e di rilievo, caramente girato sicchè tutto se ne adempia lo spazio che verso l'alto allargasi in forma di pieduccio. Una zona di cerchio a teste d'angelo di consimile lavoro viene quadrispartita da quattro candeliere esse pure in istucco ed oro, che lasciano in tra sè posto onde adagiarvi dipinti a fresco i quattro scrittori della buona novella, e in mezzo ad essi nel più alto e centrale segmento della volta intorniato di vivi raggi lo Spirito in figura di colomba che dettava loro le pagine sante consolatrici dell' afflitta umanità.

Nel sesto che sovrasta all' altare è rappresentato

Dio Padre nella sua gloria, e nei due laterali sono condotte pure a fresco due figure d'angeli chinati e genuflessi in atto di adorazione. Questi affreschi ed il quadro dell' altare sono pregevole opera del valoroso dipintore Casimiro de Rossi da Ivréa, il quale non vi ha però sorpassato la bella fama che per altri dipinti avea levato di sè. Chi ben comincia ha maggior debito coll' arte.

Ma l'adornezza maggiore di questa nuova cappella le viene dai due monumenti sepolcrali disegnati dall'architetto Benedetti, ed intagliati nel marmo dallo scultore ornatista Giuseppe Palombini. Ove la candidezza del sasso non dorato ancora dal tempo non rivelasse la recente data dell'opera, arguirebbesi certamente mendace la scritta, che dice di Agostino, di Luigia e di Ferdinando Feoli ivi sepolti di fresco : la grazia delle proporzioni e dei profili, e la finitezza degli ornamenti si in fatto d' invenzione architettonica, come in lavoro di mano, richiamerebbero la mente ai tempi beati dell' arte risorgente, e diciamolo pure, ad alcuno di quei maestri d'allora poco avanti ricordati, senza che gliene addivenisse per ciò scapito di nominanza.

Fu Agostino Feoli ingegnoso uomo, probo e caro non pertanto alla fortuna, che di civile modico stato levollo a principesca opulenza. Pervenuto agli anni senili, frutto di sobria giovinezza, questa sacra cappella si scelse a luogo di riposo ed a memoria del nome suo. Niun lavoro però era stato commesso neppur serrato il contratto dell'acquisto, allorquando addormiasi nella tranquilla pace dei credenti, legando al nipote Pietro l'avere e la pia sua volontà. Ma

il grato animo dell' erede non si tenne accontentato al deporre nella tomba il congiunto trapassato, senza onore di monumento; e adornata la cappella di marmi, di dipinti, d'ori e di stucchi, intitologli quello dei due che è a destra dell' altare col busto che ne rammenta le sembianze state di lui mentre che visse. E di rimpetto al nome del padre pose l'altro a testimonio d'amore in verso la madre sua, e un giovinetto fratello, miseramente rapito dal fortuito scoppio d' un' arme micidiale di mezzo l'innocente divagamento della caccia.

A chiusura della cappella sorge in due ali il davanzale distinto in aggraziati riquadri portante il nome del committente Pietro Feoli e l'anno del lavoro fornito, sculti in due eleganti cartelle, avendo suo luogo lo stemma famigliare ripetuto negli sportelli, ed intagliato su targhe di buona forma intorniate di delicati svolazzi di nastro dal sanese Marchetti.

Egli non incontra alle arti del bello come alle lettere, che soli ed abbandonati i loro cultori possano di per sè stessi raggiungere la prefissasi meta. Non abbisogna favore di potenti od aita di ricchi uomini all'istorico, all'oratore, al poeta per uscire dalla schiera volgare: lo spirito che lo agita gli basta a correr tutta sua via, la coscienza di sè stesso lo ricatta del livore che lo strazia; nè l'esilio a Dante, nè a Torquato il settenne carcere furono d' impedimento che tuttavia non cantassero i loro canti immortali. Altrettanto non è però dato all' artista, che non può incarnare i propri concetti senza il soccorso d'altrui, e cui fallando l'occasione, l'ingegno istesso torna inutile, come pianta che non valga a dar frutto. Però

pietoso provvedimento di cielo ha voluto bene spesso ai maestri più solenni nelle arti accompagnare altri spiriti eletti di uomini, per dovizie ed altezza di dignitá grandi, per virtù d'animo grandissimi, perchè scambievolmente se ne confortasse la gloria degli uni e degli altri. La istoria della chiesa di S. Maria del Popolo nel buon secolo delle arti ce ne dona frequenti e splendidi esempi. Continuando adunque la romana munificenza propizia governatrice delle arti, raro animo e proveggente mostrò Pietro Feoli che volle meglio riguardare all' amore del bello che allo spendio, riccamente decorando la sua cappella: e ben fidonne il divisarla al cav. Giambatista Benedetti valoroso architettore, che alla maestria non commune in tutto che s'appartiene all' arte di Vitruvio e di Bramante, aggiunge il pregio di lealtà intemerata e di modesta cortesia.

Riverente amico, quale m' è dolce di essergli, ho voluto pubblicamente rallegrarmi con lui, descrivendo la bell' opera uscita dal suo compasso, e le artistiche memorie del tempio in che degnamente è collocata. E tanto basti senza giunta d'inutili encomi; perciocchè meglio per la vista che per iscritto s'intendono le cose dell'arte, e talora più l'uomo s'af fatica divisarne a parte a parte le bellezze, e meno chiara l'idea se ne rappresenta a chi legge.

P. L. BRUNI ARCH.

Sulla mitra. Dissertazione di monsignore Pietro Giuseppe Rinaldi Bucci.

CAPITOLO I.

ORIGINE DELLA MITRA

Il nome di mitra (mithra, infula) è comunissimo

presso gli antichi scrittori tanto sacri, quanto profani. Le varie denominazioni però date dai medesimi a questo ornamento del capo fece insorgere la difficoltà di riconoscere la forma della mitra usata dagli antichi, e dalle diverse persone che la portavano.

È quì a sapersi, secondo viene riferito dal Thiers (1), che la mitra fu talvolta ornamento comune sì degli uomini, sì delle donne di tutt'i tempi, e di qualsivoglia nazione e religione. Ed infatti il Buonarroti (2) ci fa sapere che le donne hanno usato di una specie di mitra per ornamento del capo, detta ancora tiara.

Riporta il Macri (3) che nel secolo IV la mitra, come oggidì il velo, era nell' Affrica contrassegno di vergine dedicata a Dio. Asserisce egli essere stata una tal mitra di lana tinta di colore purpureo, di

(1) Istoria delle parrucche cap. VI. §. 2.

(2) Dei medaglioni p. 412.

(3) Hierolexicon, vocab. Mitra.

C.A.T.CLXXII.

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