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con maggiore sviluppo nel 6 febbraio del 1859, vale a dire assai prima che fosse cognito per le stampə l'indicato autografo di Volta; cioè assai prima del 28 giugno 1860, quando ebbe luogo l' adunanza del R. Istituto lombardo, nella quale fu quel brano inedito comunicato e quì si avverta che gli atti dell' adunanza medesima furono pubblicati anche più tardi, cioè nella prima metà del 1861.

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A buon .diritto adunque detti per nuove quelle mie sperienze; giacchè nuovo in fatto di scienza per una data epoca, è tutto ciò che non trovasi pubblicato per le stampe all' epoca medesima. Oltre a ciò il merito di una invenzione si deve, tutti ne convengono, a chi la dimostra vera, o per via di sperimenti, o per mezzo di raziocini, e non a chi semplicemente l'ebbe col maggior laconismo asserita, e non affatto dichiarata. Ora il concetto indicato dal Volta in quel suo brano inedito, non solo è una semplice generale asserzione laconicissima, senza veruno sviluppo, e senza veruna dimostrazione; ma neppure manifesta quale dei due attriti, l'uno forte, l'altro debole, sia cagione della elettricità positiva, o della negativa. Quello poi che più monta si è, che il concetto medesimo del Volta, anche supposto dimostrato e sviluppato molto più assai delle indicate mie comunicazioni, ciò nulla ostante, solo perchè dato in luce dopo le medesime, non potrebbe mai togliere ad esse il merito di novità che loro appartiene.

Galileo nel 1641, cioè nell' ultimo anno di sua vita, concepito aveva il progetto di applicare il pendolo agli orologi meccanici, per moderare e regolare la discesa del peso motore dei medesimi. Tutte le disposizioni per mandare ad effetto questa sua idea

si erano concepite dal gran filosofo italiano, il quale per essere allora privo della vista, ne affidò la esecuzione al suo figlio Vincenzo, che pare l'abbia realizzata effattivamente dopo la morte di suo padre, però senza pubblicarla (1). Quindi è che all' olandese Cristiano Huyghens, il quale molto più tardi, cioè nel 1657, perfezionò, eseguì, e pubblicò l'applicazione medesima, si deve, a parere dell' illustre Biot (2), la gloria di questo trovato, e la gratitudine esclusiva dell' astronomia, e di tutte le altre scienze di osservazione pel medesimo. Certamente si accresce la stima che noi dobbiamo ad uno qualunque di quei luminari che furono, quando possiamo far conoscere aver egli veduto più di quello abbia pubblicato; e sono meritevoli di molta lode coloro, i quali così facendo, nuove prove arrecano dell' ingegno inventivo, e del valore di quei sommi che ci precedettero. Ma non per ciò verrà mai diminuito il merito della novità, che taluno acquistò, pubblicando per la prima volta un qualche vero, anteriormente coneepito da chicchesia, senza però che questo l'abbia reso di pubblico diritto: nè qualunque autore di registro manoscritto, ma non pubblicato per le stampe, può ragionevolmente ottare alla priorità rispetto quei fatti, che, sebbene si contengano in quel suo registro, videro già la pubblica luce per mezzo di altro autore, comecchè questo li abbia posteriormente scoperti

(1) V. Le opere di Galileo Galilei, prima edizione completa. Firenze 1855, T. XIV, p. 352.

(2) Comptes Rendus, Vol. 47, settembre 1858, p. 433. Journal des Savants, novembre 1858, p. 661, ove si trova un analisi chiara, completa, e dottissima di quanto si riferisce a Galileo ead Huyghens, sul merito dell'applicazione del pendolo all'orologio.

Roma e la Germania. Discorso di Alfredo Reumont.

Chiamato

mato io, non italiano di nascita, al non sperato nè ambito onore di arringare nel giorno destinato a celebrare l'anniversario della fondazione di Rona, in un consesso in cui le piu egregie doti della mente e dell' ingegno unisconsi ad altezza di grado, chiedo il permesso vostro, eminentissimi principi, onorevolissimi accademici, di condurvi per brevi istanti in contrade straniere, non rallegrate dal costante sorriso di cielo che risplende su questi incantevoli luoghi, dove già uno dei maggiori scrittori meditò sulle storie della repubblica, cadente ma gigante nella sua caduta. Dal dì in cui le aquile romane spinsero il volo oltre il Reno, quell'epico fiumone, come lo chiama il maggior tragico italiano; dal dì in cui Giulio Cesare mise il potente piè sul suolo germanico, duce di uno di quegli eserciti alle estere genti strumenti di straniero dominio, ma nunzi eziandio di una civiltà, i cui elementi più nobili sopravvivono alla rovina del mondo antico: non mai si sciolsero i legami tra Roma e la Germania. Durarono essi con Roma pagana e vincitrice e vinta, e le regioni sino all'Albi fiume e al Danuhio inferiore conservano monumenti e tracce del romano dominio e delle romane guerre, menando vanto sinanche delle memorie di signoria forestiera, inquantochè non era disonore soggiacere alla maestà di

Roma. Mentre a Magonza e a Colonia Agrippina ripetonsi i nomi di Druso, di Germanico, di Claudio; mentre Treveri in riva alla Mosella, da Ausonio cantata, va superba degli splendidi avanzi dell' età di Costantino; mentre ville, i cui musaici rivaleggiano con quei di Otricoli e di Tuscolo, servono ad illustrare le descrizioni pliniane; mentre in cento luoghi scuopronsi avanzi di bagni, di ponti, di castri, di aggeri, e di quelle strade militari la cui rete coprìva il mondo dalle sponde del mare britannico sin all'Eufrate e al Ponto: vediamo nei musei romani quelle statue e quei busti che raffigurano i rozzi figli delle nordiche stirpi, e il simulacro, ora a Fiorenza traslocato, di donna mestamente pensosa creduta la sposa di Arminio, il cui nome suona valore e vittoria e patria nei cantici tedeschi. E più pacifiche conquiste, e più durevoli, succedettero alle guerriere: allorchè, posate alquanto le maggiori invasioni delle genti barbare, sotto il cui impeto crollò l'impero, ma da cui nacque la società moderna, la croce penetrò non nelle sole regioni dove penetrata era la spada, ma spinse la sua marcia trionfale e benefica fin dove non era mai giunto il ferreo braccio dei vincitori del mondo. Da Roma, sedente Gregorio II, procedè all'insegnamento e al martirio l'apostolo di Germania, Vinfrido anglo-sassone, dalla chiesa alzato sugli altari col nome di Bonifazio; e il consiglio di Zaccaria e di Leone III pontefici accrebbe lena e zelo a Carlo Magno che acquistò alla fede la Germania inferiore. Dovunque le opere della civiltà e le creazioni dell' arte tennero dietro al trionfo della religione, di cui Roma rinnovellata era divenuta il

centro, centro insieme della cristiana repubblica, della quale, secondo il profondo concetto religioso-politico del medio evo, era simbolo la corona che dalla mano del pontefice veniva imposta alla fronte dell' imperatore. Colonne marmoree e di porfido e granito, sostegni già di crollati edifizi d' Italia, reggono la chiesa da Carlo ad imitazione di san Vitale di Ravenna costruita, da Leone III consacrata nella reggia d'Aquisgrana. E la statua equestre di Teodorico, che dalle sponde dell' Adriatico fece il lungo viaggio sin vicino al Reno, e il Ciclo delle pitture biblico-storiche nella sala e nella cappella del palazzo d' Ingelheim presso Magonza, nei luoghi dove il sassone vinto univasi al franco vincitore, resero famigliari immagini del bello conservatrici di classiche tradizioni. Frattanto la letteratura romana dell' epoca dei Carolingi, compagna dei primi passi della alemanna, se fu quasi crepuscolo di splendido giorno morente, fu in uno l'alba foriera della gloriosa era del risorgimento. Mentre re e principi, in abito e con animo di devoti pellegrini, venivano a prosternarsi davanti ai sepolcri degli apostoli, altro pellegrino, l'anonimo einsiedlense, raccolse le prime note su i monumenti della città, antesignano alla lunga schiera di coloro che scrissero De mirabilibus Romae.

Allora poi che l'intera Cermania media e parte di quella settentrionale eran già nobil retaggio di Cristo, che sotto Ottone il grande surse il primo vescovado nelle vaste lande che poi si dissero Marca di Brandeburgo, che al tempo del terzo Ottone, alunno di Gerberto e discepolo di san Romualdo, il cristianesimo penetrò nella Novergia e nella Russia; Roma

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