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di esperienze tanto nelle piante monoiche che dioiche, nelle quali se s'impedisce l'azione dei fiori maschili sui femminei, non ha luogo la produzione del seme. Il medesimo accade nei fiori ermafroditi se prima dell'esclusione del polline ne vengano asportati gli stami. E tal necessità si prova ancor dallibridismo, dal quale si può conchiudere che il polline di una pianta è buono a fecondar non solo gli individui della stessa specie, ma quelli altresì delle specie vicine. Coll'aiuto delle fecondazioni artificiali si possono render fruttifere le piante che non lo sono, si possono produrre nuove varietà e nuove specie: e ciò giova non poco anzitutto all'orticoltura.

A profittar poi in pratica delle fecondazioni arteficiali è necessario seguire alcune regole risguardanti tanto la scelta dei soggetti, quanto ancor la raccolta del polline; nonchè il modo e tempo di applicarlo.

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Nè solo il Sommo Artefice provvide con sì graziosi ingegni alla riproduzione della specie nelle piante fanerogame, ma dalle ripetute osservazioni microscopiche a' dì nostri risulta, che ancora nelle piante sprovvedute di fiore esistono degli organi di riproduzione analoghi allo stame ed al pistillo, tuttochè ridotti ad un'estrema semplicità, distinti col nome di anteridie e di archeogeni, dai primi dei quali si emettono dei corpuscoli che fecondano alcune cellule contenute nel fondo dell'organo stesso femmineo, ossia dell'archeogeno.

MATURAZIONE DEL FRUTTO.

Compito in tal modo l'atto di fecondazione nelle piante, le varie parti del fiore sì delicate per natura muoiono, cadono, si disseccano, ad eccezione dell'ovario che ingrandisce e si trasforma in frutto, e dell'ovulo che unitamente si sviluppa e passa a costituire il seme. L'ovario incomincia a farsi centro d'attività ed attira a se stesso il succo che ascende. Da ciò risulta che una troppo grande quantità di fiori e di frutti, spossando l'albero, nuoce alla produzione dei fiori nell'anno che segue, e perfino ai frutti dell'anno stesso, molti dei quali per mancanza di nutrimento cadono prima di maturarsi. Col crescere i frutti che hanno un pericarpio secco eseguiscono le stesse funzioni delle foglie, cioè assorbono acido carbonico ed emettono durante il giorno l'ossigeno unitamente ad una gran proporzione di vapor d'acqua. Quelli che hanno un pericarpio carnoso e succulento perdono meno di questa, ed in principio si comportano come gli altri; ma cangiando di colorito ed avvicinandosi alla maturità assorbono invece l'ossigeno, e tramandano acido carbonico anche nel giorno. Dal che ne segue, che si generano vari principii nei frutti, i quali non si rinvengono nelle altre parti del vegetale. Il calore poi e la luce, come risulta dalle esperienze, determinano e favoriscono soprattutto la maturità dei frutti e tendono a svilupparvi la materia zuccherina.

Il tempo necessario alla maturità dei medesimi

varia a seconda delle diverse specie, e può essere accelerato sia per la puntura degli insetti, o ad arte procurata, che agisce stimolando le funzioni delle cellule stesse del frutto, sia per l'incisione annulare, la quale praticata sulla corteccia del ramo che porta i fiori, ritarda l'ascensione e la discesa degli umori, e fa sì che il fiore leghi più facilmente ed il succo stesso si vada più completamente elaborando nel frutto.

Maturandosi il pericarpio ancora il seme si perfeziona. L'umore acquoso nell'ovulo dopo la fecondazione sempre più diminuisce, l'embrione cresce, incomincia a mostrar diversità di parti, ed il seme reso perfettamente maturo acquista, generalmente parlando, un peso specifico maggiore dell'acqua, nella quale per conseguenza non più galleggia, ma affonda.

DISSEMINAZIONE.

Giunta una tal epoca, i frutti o cadono sul suolo con la pianta che muore, o si distaccano dalla medesima per putrefar sul terreno, dove servono di cibo altresì agli animali, ovvero si aprono in vario modo per lasciarne sortire i semi: viene con ciò ad effettuarsi la disseminazione.

Con tal atto ha la natura sempre più assicurato la riproduzione nelle varie specie dei vegetali. Difatti i semi più leggieri, e quelli in ispecie muniti di appendici alate o piumose, sono con la massima facilità a grandi distanze trasportati dai venti, come quelli delle eriche, dell'olmo, dell'acero,

del frassino, del salcio, del pioppo. Molti frutti maggiormente polposi son mangiati dagli animali, e in ispecie dagli uccelli, che ne depositano or qua or là cogli escrementi inalterati gli ossicini, come accade nell'alaterno, ginepro, nespolo. Alcuni pericarpi aprendosi con elasticità scagliano di per se i semi ad una distanza più o meno grande, come ha luogo nell'elaterio, nell'euforbia, nella cardamina. Talune semenze sono munite di speciali appendici igrometriche, di punte uncinate o avvolte in spira, che per l'effetto alternativo dell'umidità e del calore distendendosi e raccogliendosi si rotolano e progrediscono sul terreno, come i semi dei gerani, dell'avena, della stipa ecc.

Nè solamente colla disseminazione sono le semenze allontanate dalla pianta madre, ma vengono altresì poste nelle circostanze più favorevoli al loro germogliamento. I semi più voluminosi, quelli p. e. della quercia, del faggio, del castagno, del marrone d'india, distaccandosi dalla pianta poco prima che cadano le foglie, non hanno campo, venendo quindi ricoperti da queste, di prosciugarsi, ma con facilità possono senza alterazione mantenersi nell'inverno ed in primavera trovare il terreno eziandio ingrassato dalla decomposizione delle medesime. I semi meno grossi, come quelli del tiglio e dell'alno, cadono sul terreno quando è già caduta buona porzione di foglie, e vengono in tal modo meno profondamente ricoperti.

Aggiungendo ora a tutti questi artifizi il numero per lo più strabocchevole delle seinenze che può produrre ciascun individuo, e la facoltà che queste

hanno di conservare per un tempo più o meno lungo la virtù germinativa, chiaro apparisce che con sapienza infinita l'Autore della natura ha stabilmente assicurato nei moltiplici rappresentanti del regno vegetale la loro riproduzione.

ALCUNI FENOMENI GENERALI DELLA

VEGETAZIONE.

Oltre dei fenomeni più comuni e indispensabili alla vita delle piante se ne osservano degli altri che si possono chiamar generali della vegetazione. Entrano in questa categoria la colorazione, lo sviluppo di luce e calore, la direzione, nonchè alcune specie di movimenti ed il sonno così detto delle piante.

Per ciò che riguarda la colorazione, benchè la verde sia la più propria delle medesime e la più comune, ben visibile soprattutto negli organi giovani, ed originata dalla formazione della clorofilla sotto l'influsso della luce solare nelle cellule sottoposte all'epidermide; pure altre colorazioni non di rado si osservano cagionate sia dalla modificazione della stessa clorofilla, sia da quella di qualche altro principio colorante proprio d'alcune date parti dei vegetali. Si sa che talune materie coloranti possono tramutarsi in altre o per l'azione degli acidi o degli alcali, o per una maggiore o minor quantità di ossigeno; ma è cosa più verosimile supporre con Berzelius, che in molti casi abbia luogo la formazione di materie coloranti distinte. E difatti alcune

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